Rappresentare Beckett, con Beckett ma anche contro e oltre Beckett è la scommessa vinta da Sabrina Scuccimarra, e dal regista Martino D'Amico, con questo “Giorni Infelici” evidentemente suggerito, ma non tratto e dunque molto più di una
semplice riscrittura, dal famoso “Giorni Felici” che il drammaturgo irlandese scrisse a inizi anni 60 del '900.
Già la transmutazione del titolo è la prima chiave che ci viene offerta, la chiave di una messa in scena che non dice quello che diceva il dramma di allora, anzi, meglio, dice quello che quella scrittura non diceva, perchè non voleva oppure perchè forse non ve ne era nell'autore precisa consapevolezza.
A partire dalla sintassi che, preservando il comico che anche in Beckett è il miglior sismografo del tragico, si torce quasi dal più tradizionale surreale al più incisivo grottesco, scoprendo non solo il vuoto ma le ferite profonde che quel vuoto celava e continua a celare.
Perché dietro agli stereotipi e agli schemi non c'è solo il vuoto di una esistenza che appare senza senso in un Universo che il suo senso lo ha dimenticato da molto tempo, non c'è solo il vuoto dunque bensì continua ad esistere una Umanità/umanità che soffre dentro quella prigionia, una sofferenza che neanche l'anestesia sociale imperante e sempre crescente può annullare, facendo solo ad essa abituare la nostra anima cauterizzata a forza.
Di questo è segno soprattutto il femminile che si fa pietra di paragone della sofferenza di tutti ma che mostra anche una resilienza di cui, forse, nemmeno Beckett si accorgeva mentre, pur portandola in tutta una sua evidenza scenica, ma non solo, in cui il maschile era ridotto solo ad una 'presenza' strisciante' e senza parola, la diluiva e imprigionava immobilizzandola in un inerte mucchio di sabbia.
In “Giorni Infelici” invece l'uomo è coerentemente l'assente che schiaccia però con tutta la forza e la pesantezza di un “Patriarcato” che però ormai non garantisce più nulla, nemmeno una 'tranquilla' prigionia.
La ribellione di “Donna”, rimasta così unica protagonista in questa pertubante nuova drammatizzazione scenica, parte da qui, dal suo essere circondata non da sabbia inerte ma da un cumulo di fogli su cui è scritta (o scrive?) la parte che è chiamata a recitare quel giorno e ogni giorno, una parte continuamente reiterata ma che improvvisamente e quasi inavvertitamente ma sensibilmente 'slitta' in un altro luogo di 'senso'.
È quest'ultimo un cambiamento, prima drammaturgico e poi registico, essenziale ed illuminante perché, si sa, la scrittura (e con lei il Teatro) è un mezzo, una scialuppa di salvataggio, un tunnel che perfora la montagna di stereotipi che ci sormonta, anche quando semplicemente “Donna” quegli stereotipi li trascrive e all'apparenza li copia, in quanto la scrittura è capace di creare sempre uno spazio tra noi e ciò che siamo.
Un vero e proprio atto di consapevolezza che non ci aspettiamo, che ci prende di sorpresa, e che svela e motiva lo sdoppiarsi metaforico e speculare di Donna, un mimetico specchiarsi che segna lo spazio tra lo schema o lo stereotipo e l'intimità che quello schema o quello stereotipo non possono più governare proprio nel momento in cui, invece del vuoto, incontrano lo spessore dell'essere umano ovvero dell'essere umani del femminile prima e solo poi del maschile, o anche di tutti i generi che appaiono ed emergono alla coscienza.
In fondo e al fondo di sé “Donna” incontra dunque l'enigma dei sensi, la sensualità che cerca ben altre soddisfazioni oltre il solipsismo e oltre anche quella che oggi chiamiamo la 'prestazione', per cercare quel sentimento che si spera esista e continui ad esistere, al di là dello stereotiparsi anchilosato dei gesti.
Una scrittura quella di Sabrina Scuccimarra raffinata e trasparente, un messagio gridato dal mondo di Winnie e Willie, abbandonato senza speranza in una bottiglia e attraverso il quale possiamo leggere molto del noi di allora, quando l'indisponibilità femminile ad essere costretta nei suoi ruoli maturava e cresceva, e soprattutto del noi di oggi ove la consapevolezza di ciò che abbiamo attraversato si fa veramente essenziale, ma spesso anche più difficile.
La sua grande forza recitativa, in mimica, movimenti e dizione, è il tramite concreto di questa trasfigurazione in cui, come dal bozzolo una farfalla, la Winnie beckettiana si trasforma e diventa “Donna”.
Un bello spettacolo, cui la regia dà un contributo efficace, ma anche uno spettacolo complesso e difficile alla cui piena decifrazione spesso si oppone lo spessore di acciaio di quegli stessi stereotipi che smaschera ma che convivono in noi.
Per la “Rassegna Teatro Comico al Femminile” (prima edizione) nell'ambito del ventesimo “Festival dell'Eccellenza al Femminile” diretto da Consuelo Barilari, ospite alla Sala Mercato del Teatro Nazionale di Genova, giovedì 5 dicembre. Applaudito.
“GIORNI INFELICI” Produzione Compagnia Lombardi Tiezzi in collaborazione con Associazione Culturale Padiglione Ludwig. Regia Martino D’Amico. Autrice e Interprete Sabrina Scuccimarra. Musiche Gioacchino Balistreri. Luci Alessio Pascale. Assistente alla regia Matteo D’Incoronato.