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Rappresentare Samuel Beckett utilizzando una 'commedia' di Neil Simon è una sfida ed è la sfida che Massimiliamo Civica, con questa sua regia di “Capitolo Due”, da lui stesso adattata e tradotta, affronta con coraggio ed una certa audacia, volendo

andare a sondare attraverso di essa quello che di 'meccanico' e 'assurdo' vi è nella normalità della vita di coppia.
Civica nella sua messa in scena fa, io credo, affidamento appunto sulla contraddizione che si crea inevitabilmente tra un testo 'leggero' di Broadway, anche se qui venato (fu scritto pochi anni dopo la morte della moglie dello stesso Simon) di un autobiografismo riflessivo e latamente analitico, e la fissità, quasi geometricamente ossessiva nella prossemica, che la rappresentazione impone a personaggi e attori, chiamati quasi sempre a recitare con la fronte al pubblico, ciascuno con sguardo lontano mentre aspetta un molto 'improbabile' Godot.
È questo, però, un testo malinconico certo ma che alla fine è pensato per essere brillante e quindi maschera nella risata dell'equivoco quegli accenni presenti e ripetuti alla sostanziale incomunicabilità del vivere, incomunicabilità lenita dalla reciproca condivisione di quegli schemi psicologici e sociali che ci sono necessari per sopravvivere e che dunque in fondo, a Simon prima e a noi di conseguenza, 'piacciono'. 
Perché allora disturbarsi a mettere in discussione, di quei comportamenti e di quei 'tic' esistenziali in fondo 'gradevoli', i presupposti e i fondamenti?
D'altra parte l'operazione teatrale, anche se in certi passaggi forse esageratamente dissonante, di Massimiliano Civica è interessante proprio per questo, in quanto è stata capace di mostrare il 'dolore di vivere' presente anche nelle forme di una piacevole 'normalità', screziata da sagaci e intelligenti battute, di cui è stato ed è tuttora maestro Woody Allen, e i cui spigoli sono man mano smussati dall'abitudine che acquisiamo della vita e soprattutto di noi stessi, sedendoci a rialzandoci da comodi divani anni '70.
Il risultato complessivo è quello di una messa in scena gradevolmente dinamica, più ritmica che melodica usando termini musicali, costruita su percorso pieno di gradini su cui possiamo a volte (e a volte dobbiamo) inciampare, per recuperare il contatto con quel qualcosa di più profondo e doloroso che ci rende quello che siamo, anche quando la superficie della nostra apparenza o rappresentazione sociale indica “mare calmo o poco mosso”.
Come scrive lo stesso Massimiliano Civica nelle note di regia è fare cose buffe nonostante (ovvero direi proprio per quello) la nostra 'tristezza', poiché tutto questo “è quella dolorosa gioia che è vivere”.
Al fondo la doppia contraddizione, linguistica in quanto psicologica ed esistenziale, che ci sembra aver guidato la mano del nostro traduttore, adattatore e regista al fine di portarla alla combattuta e contrastata (da noi stessi) evidenza della nostra percezione di spettatori.
Una scenografia poi, curata con gusto da Luca Baldini, che è di questo conseguenza, costruita come uno specchio in cui si riflettono due appartamenti eguali ma differenti, e due coppie altrettanto uguali e altrettanto differenti (anche al loro interno) ma che condividono volentieri uno spazio mentale 'recintato' e conosciuto.
Praticamente perfetto, come sempre, il disegno luci di Gianni Staropoli e belli i costumi 'vintage' di Daniela Salernitano, mentre è quasi assente l'accompagnamento (termine molto cinematografico) musicale se non nella molto ironica, a mio avviso, e improvvisa citazione del Lucio Battisti di “come può uno scoglio arginare il mare...” che ha naturalmente suscitato anticipati applausi ancora a scena aperta.
Infine i quattro protagonisti (il 'genovese' Aldo Ottobrino, Maria Vittoria Argenti, Francesco Rotelli e Ilaria Martinelli), tutti bravi professionisti che un po' scalpitavano nella mimica 'fissa' richiesta dall'interpretazione registica e talora si sono abbandonati ad una più intensa immedesimazione in quei personaggi assai 'simpatici' ma non sempre 'empatici'.
Così ad una prima parte più meccanica, linguisticamente segnata dalla depressione e dal lutto, è seguita una seconda parte più dinamica e disinvolta.
Un titolo ed un autore sempre 'attraenti' e una buona prova da parte di tutti, al teatro Gustavo Modena di Genova Sampierdarena, ospite del Teatro Nazionale di Genova dal 14 al 19 Gennaio. Pieni anche quasi tutti i palchetti per un gradimento più che soddisfacente.

CAPITOLO DUE di Neil Simon, traduzione e adattamento Massimiliano Civica (proprietà intellettuale della traduzione di MTP Associati Srls), regia Massimiliano Civica, con Maria Vittoria Argenti (Jennie), Ilaria Martinelli (Faye), Aldo Ottobrino (George), Francesco Rotelli (Leo) scene Luca Baldini; costumi Daniela Salernitano; luci Gianni Staropoli. Produzione Teatro Metastasio di Prato

Foto Duccio Burberi