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La vita è teatro e il mondo un grande palcoscenico, sono verità banalmente shakespeariane che tutti (dentro e fuori il teatro) dicono di conoscere, ma che non tutti (dentro e fuori il teatro) praticano. Conte (Tonino che ha scritto questo testo inedito nel

1975, appunto, ed Emanuele che lo mette per la prima volta in scena cinquant'anni dopo) è uno di questi.
È un cabaret grottesco quello cui Emanuele Conte dà finalmente vita scenica, tra espressionismo e teatro dell'assurdo, attraverso il quale, mostrando il dentro dei diversi personaggi, mostra il fuori di quegli anni di piombo, oscuri e in parte grotteschi anch'essi, così vicini ma così pervicacemente allontanati anche da chi li ha generazionalmente vissuti, quasi che il dolore delle tante sconfitte e perdite (personali, esistenziali e politiche insieme) che quel periodo ha portato (via) con sé fosse troppo forte.
Ma non vuole essere e non è un momento celebrativo o anche una delle tante 'operazioni' nostalgia (che pure amara emana da ognuno dei sette quadri del transito scenico), lo spettacolo di Emanuele Conte è al contrario una tensione all'attualità, quasi che dalla sorgente di allora potessimo così scorgere la foce di oggi del fiume della nostra vita.
Sette quadri per i sette giorni di una settimana impossibile già dal titolo, e non solo per quei tempi di grande tensione, ovvero contraddittoria per definizione, eppure in fondo capace di (far) dubitare di sé, poiché forse la bontà, dentro e fuori le nostre azioni, è la capacità di guardarci con una consapevolezza tanto profonda da sfiorare l'ingenuità.
Sette quadri che Emanuele Conte sceglie, tanto perché non ci dimentichiamo dove siamo, di costruire tutti a vista sullo sfondo di un camerino affollato e di confuso passaggio, quale in fondo è anche la nostra vita.
Sette diversi episodi con protagonisti sempre diversi, nel segno icastico e simbologizzante di un 'nano' invisibile e non parlante, ma paradossalmente sempre uguali (a sé stessi e a noi ora e allora) e in ciascuno di questi episodi un lampo di quegli anni tempestosi, tra lotta di classe, violenza politica, eroina usata come arma contro una intera generazione, liberazione sociale ed emancipazione sessuale, ma che sono come il tuono che quel lampo segue, lontano, distaccato ed alienato per meglio capire.
L'impasto scenico, come detto tra il grottesco di Wedekind e l'assurdo di Jonesco, crea così un filtro ironico attraverso il quale distillare cronaca e storia, di un'epoca divisa tra violenza politica e grandi riforme sociali e politiche, fin dentro le singole individualità che, consapevoli o inconsapevoli, quella cronaca e quella storia abitano.
Si scorge dunque in questo spettacolo, dinamico nella sua comicità 'tra i denti', un qualcosa di più che riguarda le giovani generazioni spinte forse a capire che il 'come eravamo' di allora non è solo memoria ma parte integrante ed intelligente della loro stessa vita.
La regia di Conte, come detto, è dinamica nei rapidi movimenti scenici, dentro la sua stessa scenografia che sembra suggerirci che tutto è ancora e sempre 'in costruzione'. Belli il disegno luci di Matteo Selis ed i costumi di Daniela De Blasio con la consulenza di Daniele Sulevic, costumi anch'essi latamente 'espressionistici'.
I giovani attori protagonisti infine sono bravi a cambiare 'pelle' rimanendo aderenti ad una scrittura e ad una parola che, oltre la connotazione linguistica, diventa man mano e sempre più 'loro' (anche generazionalmente parlando).
Interessante infine l'ambiente musicale, sorta di arrangiamento attualizzante, a sgrondare le note di ogni troppo malinconica nostalgia, di cosiddetti 'brani d'epoca'.
Ma “Una settimana di Bontà 1975” inevitabilmente, sovrapponendosi ai cinquant'anni del Teatro della Tosse, non è solo uno spettacolo che apre un compleanno di eventi, diventa infatti una sorta di metafora scenica della lunga storia di un 'organismo' teatrale parte integrante e integrale della storia di questa città ma non solo, un organismo alimentato dal contributo di grandi intellettuali, da Tonino Conte stesso che lo ha fondato, ad Emanuele Luzzati che l'ha straordinariamente colorato, ad Aldo Trionfo e Edoardo Sanguineti che spesso ha collaborato.
Il segno, io credo, di un riuscito cambio generazionale (non solo familiare) che vede gli attuali Direttori Emanuele Conte, Amedeo Romeo e Marina Petrillo prendere il testimone e rinnovare non solo lo spirito del Teatro della Tosse, stabilmente il secondo teatro cittadino subito dopo il Nazionale, ma anche i suoi intenti profondi, artistici, sociali e, perché no, politici.
Nella più piccola Sala Campana, a ricordare forse anch'essa gli 'inizi', dei Teatri di Santagostino nel centro storico genovese, prodotto dalla Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse, in prima nazionale dal 23 gennaio al 2 febbraio. Alla prima la sala piena ha riversato nei lunghi applausi il suo evidente e transgenerazionale apprezzamento.

UNA SETTIMANA DI BONTA’ 1975 – prima nazionale. Di Tonino Conte. Regia Emanuele Conte. Con Ludovica Baiardi, Raffaele Barca, Christian Gaglione, Charlotte Lataste, Antonella Loliva, Marco Rivolta e Matteo Traverso. Scene Emanuele Conte. Disegno luci Matteo Selis. Costumi Daniela De Blasio con la consulenza di Danièle Sulewic. Regista assistente Alessio Aronne. Movimenti coreografici Emanuela Bonora. Attrezzeria Renza Tarantino. Sarta Rocìo Orihuela Perea. Produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse.

Foto Donato Acquaro