Costantino Raimondi, regista, drammaturgo, performer e attore di ampio respiro internazionale, ritorna sulla scena napoletana in occasione degli eventi commemorativi, organizzati ad un anno dalla morte del drammaturgo Enzo Moscato.
Questi appuntamenti sono inseriti all’interno del calendario, proposto e voluto fortemente da Casa del Contemporaneo, dal titolo WE LOVE ENZO, in scena dall’11 gennaio al 6 febbraio 2025. Questa terza edizione, purtroppo in assenza del protagonista principale, si arricchisce di tantissime esperienze teatrali, poetiche e musicali che coinvolgono numerosi teatri e numerosi artisti, nel nome e in onore di Moscato. Particolarmente attento appare il lavoro di Costantino Raimondi, che colloca tre testi all’interno di uno spettacolo in scena presso il Teatro Elicantropo, dal 23 al 26 gennaio, luogo amato da Enzo Moscato e sostenuto con fatica, ardore e professionalità da Imma Villa e da Carlo Cerciello. Ricordiamo ancora la profonda collaborazione tra Moscato, Cerciello e Villa nella ripresa e rinascita di “Scannasurice”, che ancora oggi, in questa nuova versione, osservata e curata anche grazie alla presenza del suo autore, riempie i teatri in tutta Italia. L’atmosfera che si respira all’ingresso di questo storico teatro del centro antico di Napoli evidenzia l’affetto e l’importanza rivolti al drammaturgo, il cui volto, attraverso foto e citazioni, riecheggia tra le pareti della sala che accoglie il pubblico. La presenza di Imma Villa, padrona di casa affettuosa e attenta, ci conduce all’interno. Costantino Raimondi dimostra, nonostante tutte le perplessità che studiosi, critici e appassionati cultori della drammaturgia di Enzo Moscato, hanno rivelato sin dalla sua dipartita, che è possibile rimettere in scena i testi del drammaturgo napoletano. Certamente conosciamo bene le difficoltà e le peculiarità linguistiche, scrittorie e interpretative che caratterizzano le sue storie e i suoi personaggi, ma possiamo sostenere fortemente la possibilità di condurre i giovani registi e i giovani attori verso uno studio attento e approfondito dell’intera opera moscatiana, caratterizzata non solo dai testi drammaturgici, ma anche dalla musica, dal testo narrativo, dallo studio filosofico, dalla profonda conoscenza della Storia e dell’antropologia, ed anche del cinema.
Raimondi sceglie di portare in scena uno dei testi narrativi più importanti, ossia “Spiritilli” del 1982, e di affiancarlo a due testi meno conosciuti, ossia “Trompe l’Oeil” del 2004 e “Guerra di religione” del 1986. Prima di analizzare lo spettacolo nella sua versione composta e creata da Raimondi, è bene dunque soffermarci sulla natura di questi testi, perché il regista sceglie, rischiando naturalmente, tre testi narrativi che per la loro intrinseca natura esprimono una connotazione drammaturgica e scenica innata, secondo una caratterizzazione tipica della produzione narrativa moscatiana. Se “Spiritilli” è stato spesso portato in scena in forma di reading e di spettacolo-narrazione, gli altri due testi sono meno conosciuti. Ricordiamo, intanto, che la versione filmica di “Spiritilli” è stata pubblicata, riportandone appunto la sceneggiatura cinematografica, dalla casa editrice Cronopio nel volume del 2017, dal titolo RITORNANTI. ADATTAMENTO FILMICO DALLA PIÈCE TEATRALE “Spiritilli”. Pertanto, il discorso spesso affrontato sulla trasformazione dei testi moscatiani e sulle sue “tradinvenzioni” è un punto di partenza imprescindibile per coloro che affronteranno la messa in scena di questi testi: un testo narrativo che diventa teatrale e che ha come progetto innato quello di una sceneggiatura cinematografica rappresenta il modus operandi di Moscato, ma la questione è ancora più complessa. Il racconto “Spirittili” è contenuto nella raccolta “Occhi gettati”, pubblicata nel 2003 da Ubulibri, volume chiarificatore che ci spiega, in realtà, quale sia il percorso di genesi di alcuni testi. “Spiritilli”, “Luparella”, “Little Peach”, “Cartesiana I”, in realtà nascono in origine come testi teatrali, poi sono inseriti nella raccolta narrativa del 2003, attraverso un percorso complesso. “Spiritilli” deriva in parte dallo spettacolo “Scannasurice” (1982) e dallo spettacolo “Ritornanti” (1994) riferimento ad Anna Maria Ortese; “Luparella” deriva dallo spettacolo “Trianon” (1983), il cui testo è stato pubblicato nel 1999 da Guida Editore; “Little Peach” deriva a sua volta dallo spettacolo “Little Peach” (1988); “Cartesiana I” dallo spettacolo Cartesiana (1986). La complessità, dunque, della genesi dei prodotti scrittori di Enzo Moscato è alla base di un particolare e profondo studio da parte dei registi e delle compagnie che si accingono alla messa in scena dei suoi testi: in assenza della conoscenza di tutto questo apparato di “tradinvenzioni”, come si afferma nel volume di recentissima pubblicazione “Tradizione, Tradimento, Tradinvenzione”, a cura di Antonia Lezza, pubblicato da Dante & Descartes nel 2024, non è possibile mettere in scena coerentemente i testi moscatiani. Gli altri due testi o “movimenti” che Raimondi unisce a “Spiritilli” sono meno noti: nel caso di “Guerra di religione” del 1986, inserito come terzo movimento nel lavoro di Raimondi, ritroviamo il relativo racconto in apertura della raccolta “Occhi gettati” del 2003, con un lunghissimo titolo che appare come una vera e propria didascalia-narrativa: “Occhi gettati (Piccolo Epinicio) ovvero Metrica&Intolleranza ovvero ancora Anatemi. Strilli. Sette. Su per i vicoli di Napoli. Su per i lacci delle comiche lingue. Sempre a Napoli”. Il terzo testo, inserito invece come secondo movimento nello spettacolo firmato da Raimondi, si intitola “Trompe l’Oeil”, datato 2004, non pubblicato, inedito da un punto di vista editoriale; al suo interno si percepiscano richiami a “Cartesiana”, ai racconti contenuti in “Occhi gettati” e al testo e spettacolo “Sull’ordine e il disordine dell’ex macello pubblico”. È evidente, da parte del regista un’attenzione particolare a testi moscatiani meno battuti e meno conosciuti dal grande pubblico: infatti nel 2006 aveva portato in scena, in lingua francese, “Aquarium Ardent”, testo del 1997 dedicato a Rimbaud, di cui Moscato parla nelle sue note, riportate sulla pagina www.teatro.unisa.it
Lo spettacolo allestito presso il teatro Elicantropo riceve un dono preziosissimo, ossia i costumi di Tata Barbalato, altro esponente di un teatro innovativo e di ricerca, che purtroppo ci ha lasciati a novembre 2024. Il primo movimento è dedicato a “Spiritilli” e la scena è inglobata all’interno di sbarre mobili, create attraverso una leggera struttura che permette di spostare delle sbarre “ottiche”, realizzate attraverso fettucce elastiche, agganciate sul palcoscenico e sganciabili a seconda delle esigenze registiche. Abbiamo dunque delle sbarre, delle finestre e dei portoni che improvvisamente si aprono, dei meccanismi elastici che lasciano intravedere, ma non oscurano del tutto. La scelta delle luci è moscatiana, in quanto la penombra ovattata viene squarciata da fasci di luce calda che accendono alcuni momenti e illuminano alcuni particolarità del visto. L’intero spettacolo si apre con una compresenza di un’attrice non più giovanissima, Liliana Castiello, e di una ragazzina, Fiorenza Raimondi (figlia del regista che sin dalla tenera età appare in piccoli camei nelle regie del padre) che si siede sulle ginocchia della donna: il ricordo di una reiterazione delle parole e del richiamo di alcuni elementi (pensiamo a “Rusinè, Rusinè” in “Compleanno”) fa da eco a rimembranze drammaturgiche e sceniche moscatiane. In verità, l’intero spettacolo viaggia su due binari, a volte paralleli, a volte sovrapposti: da un lato la memoria e la commemorazione dell’autore, dall’altro il futuro. Parliamo, dunque, di tradizione e di “tradinvenzione”, di passato e di futuro che si siedono l’uno sulle ginocchia dell’altro e danno vita a questo spettacolo. Non emerge uno stucchevole ricordo di chi non c’è più, che potrebbe poi diventare un inutile offuscamento del nuovo prodotto registico e attoriale. Il ricordo dell’autore emerge, esiste, si percepisce, il rapporto tra passato e futuro di questa drammaturgia viene costantemente rinnovato e i giovani attori in scena ne sono l’esempio. La scrittura moscatiana è complessa e fa emergere inevitabilmente anche i diversi livelli di esperienza e di convivenza con questo tipo di teatro. Nel primo movimento appare il giovane attore Carlo Geltrude che diventa narratore in sedia a rotelle, ancorato al passato, ma sempre in movimento, pronto ad agire, nonostante il necessario legame con le radici. Questo giovane attore, cresciuto anche all’interno del Nuovo Teatro Sanità, appare in una veste diversa, rinnovata, mostrando una fortissima maturazione recitativa che attrae il pubblico e lo lega al suo racconto. Non è facile attrarre l’attenzione, pur rimanendo incollato ad una sedia a rotelle: il testo moscatiano affascina, ma è anche di difficile comprensione per il pubblico più giovane, meno avvezzo alla lingua e alle sonorità complesse. Questo attore riesce a cogliere le sfumature e a ricreare in scena la giusta attenzione, ma soprattutto riesce a produrre nella mente dello spettatore i personaggi e le ambientazioni narrati da Moscato. Il secondo movimento, caratterizzato da Michele Ferrantino, riproduce sensazioni simili. Il giovane attore, formatosi presso l’Accademia del Teatro Bellini, è fortemente e scenicamente presente durante tutto il percorso narrativo. È l’unico personaggio che si muove, che rimane in piedi, vestito da Monaciello, da frate, da povero, da personaggio grottesco, così come è il suo volto e la sua maschera bianca, un clown di stampo medievale, ovviamente non realistico, che ascolta, assorbe, impara, secondo la tradizione napoletana del Monaciello nascosto tra le mura o tra gli anfratti delle case, colui che sa tutto e che potrà raccontare sempre. Anche questo personaggio, caratterizzato da un’elegante e coinvolgente interpretazione di Ferrantino, è in qualche modo bloccato: non si muove mai liberamente, perché ostacolato da queste sbarre-fettuce elastiche, nelle quali si avvinghia, si attorciglia, come se fossero rami o barriere. Lui spinge, si inoltra sulla scena, cerca di divincolarsi, ma il richiamo del passato lo riporta indietro. Le storie di Janare, di donne eretiche perseguitate e di tempi antichi, che si collegano alle persecuzioni contemporanee, sono narrate attraverso una lingua antica, un italiano regionale medievale, mescolato a latinismi e a sonorità dialettali che provengono dai confini della Campania a nord. Infine, Annalisa Arbolino, presenza costante e importante non solo negli spettacoli, ma anche dietro le quinte del lungo e articolato lavoro di Davide Iodice. Anche lei proviene da una lunga gavetta e da una lunga formazione caratterizzata dal lavoro con i più fragili o con attori non professionisti, tratti dalle fasce più deboli della società. L’attrice rimane ancorata alla sua sedia, sin dall’inizio dello spettacolo, borbotta e ripete stralci di battute e di frasi del racconto degli altri due attori, continua a sgranare il rosario, in una nenia ossessiva che lega sicuramente l’immaginario non solo alle radici antiche, ma a numerosi personaggi della Nuova Drammaturgia Napoletana. L’attrice riporta il testo che apre la raccolta “Occhi gettati”, un testo narrativo multilinguistico, in cui lo scontro popolare tra religioni e tra approcci devozionali rimanda a tradizioni antiche e all’avvento dei cambiamenti della società. In prima linea varie sfaccettature femminili, interpretate dall’occhio di una donna che sbircia ciò che avviene attraverso una finestra e che agisce, rimanendo ferma, urlando dalla stessa finestra. Pertanto, all’interno di questo testo ritroviamo varie difficoltà: è una prova di recitazione complessa, perché è lungo, articolato, ricco di personaggi le cui voci sono interpretata da un’unica narratrice in scena che deve rendere le sfumature di accenti e la collocazione culturale e sociale dei vari personaggi. Inoltre, il testo è ritmicamente una vera e propria partitura, caratterizzata da accelerazioni e da rallentamenti, da timbri squillanti e da parole sussurrate. Tutto questo complica la situazione, perché presume elevatissime abilità respiratorie, di memoria e di ritmo. Le uniche debolezze che forse emergono all’interno di questo spettacolo che appare, in verità, uno studio vero e proprio, sono la fusione e passaggi tra i tre pezzi e l’utilizzo delle luci stroboscopiche alla fine dei racconti, puntando su un momento di particolare intensità emotiva, che però, scenicamente appare superfluo e meno adatto allo stile dell’intero spettacolo. Da premiare, invece, la conclusione molto commovente, al suono della canzone di Franco Battiato “L’ombra della luce”. Tutti gli attori presentano una parte del corpo o degli abiti di colore rosso, come quel boa che Enzo Moscato utilizzava in “Compleanno”, come alcuni abiti, come alcuni nastri, come le rose rosse di Jennifer, nel testo di Ruccello, ricordato da Enzo. Una ferita, culturale, sociale, amorosa, che compare ed emerge sempre nei suoi racconti, sia essa una lacerazione sanguinolenta o una cicatrice che mai si rimargina.
SPRITILLI ED ALTRI MOVIMENTI
TEATRO ELICANTROPO NAPOLI
23-26 GENNAIO 2023
III EDIZIONE WE LOVE ENZO
“Spiritilli – e altri movimenti” di Enzo Moscato con Annalisa Arbolino, Liliana Castiello, Carlo Geltrude, Michele Ferrantino, Fiorenza Raimondi – regia Costantino Raimondi.
Con i costumi di Tata Barbalato, il disegno luci e le scene di Omar Esposito, assistente alla regia Annalisa Arbolino