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“Storie di noi” è uno di quegli spettacoli piccoli e più o meno perfettibili che però rispettano con l’arma dell’intelligenza (e una certa buona dose di onesta dissimulazione) i primi due doveri dell’arte e del teatro: investigare la realtà e servire,

politicamente, la verità. Niente di più e niente di meno. Per questo motivo si tratta di un buon spettacolo e occorre vederlo, a Palermo o dovunque venga riallestito e riproposto da Giuseppe Provinzano che ne è regista e interprete (il testo, molto bello, è di Beatrice Monroy). La verità si rispecchia nell’arte e nel teatro solo guardando veramente la realtà, guardandola negli occhi, con coraggio anche quando è brutta, ordinaria, apparentemente insignificante, anche quando sfugge alla retorica, alla retorica più bella, appassionata, sana, sentita, civile, e sfugge al senso di ogni reazione politica immediata e non ponderata con la necessaria profondità. La domanda che sta al centro di questo lavoro e ne anima la dinamica drammaturgica non riguarda infatti (soltanto) le due tragiche stragi con cui la mafia, tra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992, travolse i giudici Falcone e Borsellino, ma riguarda il nostro presente (specialmente quello di noi siciliani) che, certo, contiene la memoria dolorosa di quelle stragi, di quei giorni, di quelle ferite e della ribellione civile e politica a quel male, ma non sembra esserne stato realmente condizionato e migliorato se è vero che le mafie impregnano e avvelenano ancora, profondamente e per intero, il nostro paese. Per accertarsene basta sfogliare un giornale o compulsare, con un minimo di consapevole interesse, qualsiasi mezzo d’informazione. Così allora si capisce chi è Tony, il protagonista di questo monologo. Un personaggio semplice e insieme misterioso. Un ragazzo qualunque di Palermo, di quella di allora e di quella di oggi. Un ragazzino che nulla o pochissimo sapeva di mafia e nulla voleva sapere, che pensava a giocare a pallone, che arriva persino a sentire i boati di quelle stragi, ma non si ferma rifletterci più di tanto, non ne ha nemmeno bisogno: semplicemente vive, continua a vivere. O forse è qualcuno che sa bene tutto quello che è successo ma proprio per questo, per paura o per complicità, deve girarsi dall’altra parte e continuare a vivere come se nulla fosse accaduto nel suo quartiere, nella sua città, nel suo paese. Non solo lui è così, ovviamente: ma anche una sposa che organizzava il suo matrimonio, i parenti della sposa che fumano fuori dal locale durante il ricevimento e poi, forse, in fondo, una gran parte (o la maggior parte?) dei palermitani, dei siciliani, degli italiani. Non hanno partecipato alla reazione morale, civica e politica che  a quei fatti è seguita: una reazione bellissima, profondamente sentita, spesso ampia e profonda ma, per quanto ampia e profonda, - è doloroso ammetterlo ma è la verità ed è questo che ci racconta questo spettacolo – politicamente minoritaria e forse non così autentica e profonda, come sembrò manifestarsi nei giorni, nei mesi e negli anni successivi al ‘92. Bisognava dirla questa cosa e bisogna dirla ancora, ammetterla e denunciarla senza infingimenti e senza retorica. È necessario farlo, se oggi, a guardare bene le dinamiche culturali e politiche del nostro paese (a partire dalla Sicilia e dal Sud Italia), ci rendiamo conto, ad esempio, che delle lenzuola bianche che coprivano molti balconi di Palermo e ancora compaiono il 23 maggio a celebrare la memoria di Capaci, molti non sanno il significato, se lo sono dimenticato o, se pure lo sanno, non lo considerano eticamente impegnativo nel determinare la loro partecipazione e la loro posizione politica nella realtà. Ecco allora che – giustamente - Provinzano non ha voluto costruire l’ennesima rievocazione della dolorosa ed eroica lotta contro la mafia e per l’affermazione del valore civile e politico della legalità, ma una riflessione sul nostro essere cittadini che si ribellano, realmente, alla violenza e che, a partire dai ragazzini (come il Tony dello spettacolo), costruiscono una società politicamente sana, colta, libera e civile che non ha bisogno di eroi. Non ha bisogno di eroi. Uno sguardo molto simile a quello di Letizia Battaglia, del resto, e non è un caso che alcune delle sue bellissime foto Provinzano le ingloba nello spettacolo: sono un atto di pensiero e di comunicazione potentissimo quelle immagini e il protagonista sembra starci dentro, dialogare con esse e, con esse, interrogare la realtà, quella del ’92 e quella di oggi. Visto a Catania il 16 febbraio nel Centro culture contemporanee Zo, nel contesto della XII stagione teatrale “Palco off” diretta da Francesca Vitale.

Storie di noi.
Sabato e domenica, 15 e 16 febbraio 2025, Catania Centro culture contemporaee ZO.
Di Beatrice Monroy, regia di Giuseppe Provinzano. Luci di Gabriele Gugliara, soluzioni sceniche di Valentina Greco, video mapping di Simone Scarpello – Pixel Shapes, drammaturgia sonora di Sergio Beercock, oggetti di scena di Sebastiano Zafonte. Assistente regia Diana Turdo, tutor Turi Benintende. Con Giuseppe Provinzano e con la partecipazione (in voice off) di Dario Aita, Emmanuele Aita, Ninni Bruschetta, Filippo Luna, Lucia Sardo, Manuela Ventura. Produzione di Babel con il sostegno della Fondazione Giovanni Falcone, in collaborazione con Spazio Franco.

Foto Nayeli Salas