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Nell’aprile 1985 due alpinisti esperti, Joe Simpson e Simon Yates, durante un’ardua scalata sulle Ande peruviane, furono protagonisti di un incidente che, per un certo periodo, fu catalogato quale tragedia a metà e, successivamente, come una

sorta di miracolo. Nella fase di discesa, infatti, Joe cadde in un dirupo e Simon, per salvarsi la vita, scelse di tagliare la corda da arrampicata che lo legava al compagno. Dato per morto, Joe riuscì fortunosamente a salvarsi e a raccontare poi la propria avventura in un memoir che il drammaturgo scozzese David Greig ha liberamente adattato per il teatro – inventando, per esempio, il personaggio della sorella dell’autore, Sarah.   
Il play, tradotto da Monica Capuani, giunge per la prima volta sui palcoscenici italiani nello spettacolo diretto da Silvio Peroni, che ha optato per una messinscena in periglioso equilibrio fra sogno e realtà. L’azione si sposta costantemente fra il pub in cui Sarah ha organizzato la veglia funebre per il fratello e le Ande, con la ricostruzione puntuale dell’incidente accaduto ai due amici-alpinisti. Presente e passato prossimo si alternano e a tratti paiono sovrapporsi in una messinscena un po’ meccanicamente scandita da bui e tonfi elettronici a segnalare il passaggio fra una scena e l’altra, ovvero da una dimensione temporale all’altra. 
I quattro personaggi – oltre a Simon e Joe, la già citata Sarah e Richard, un giovane con ambizioni di scrittura che ha atteso i due alpinisti al loro campo base – si muovono fra il pub e la parete montuosa – ricostruita in scena da una struttura metallica – ricostruendo tanto l’evento quanto i contrastati sentimenti che ne agitano l’anima. L’ovvio senso di colpa di Simon e l’estrema resistenza e adesione alla vita di Joe, l’amicizia e la sorellanza, l’attrazione fatale per il rischio che l’arrampicata comporta e l’emozione ineguagliabile di conquistare una cima e godere di un paesaggio di quasi ultraterrena bellezza. 
Uno dei temi centrali del testo, d’altronde, è proprio l’indagine su cosa spinga uomini – e donne – a mettere volontariamente in pericolo la propria sopravvivenza per compiere imprese sportivo-esistenziali apparentemente non necessarie e per certi versi indubbiamente egotiche. Tematica che, nondimeno, non riesce a conquistare piena centralità, soffocata dalla ricostruzione prolungata e in fondo didascalica dell’incidente prima, e dello sforzo quasi inumano compiuto da Joe per salvarsi, poi. Una sorta di re-enactment piuttosto forzato e illustrativo, che poco spazio lascia alla vitale immaginazione degli spettatori, venendo meno a quella qualità evocativa che differenzia il teatro dalla cronaca e dal documentario. Didascalismo cui non fa credibile contrappunto la parte più dichiaratamente onirica dello spettacolo, abitata principalmente dalla figura ectoplasmatica di Sarah e un po’ forzata nel suo eccessivamente sottolineato onirismo – la musica, i cambi di luce da manuale… Un limite del testo cui la regia non sceglie dunque di porre rimedio, assecondandolo invece e costruendo così uno spettacolo che non riesce né a restituire l’angosciosa ineluttabilità dei sentimenti e dei pensieri vissuti dai protagonisti; né a illustrare la contemporanea hybris umana di chi sfida i propri limiti. Una debolezza accentuata, poi, dall’appannata prova dei quattro interpreti… 

Toccando il vuoto
Una fantasia alpinistica basata sul memoir di Joe Simpson
Tratto dal romanzo di Joe Simpson. Adattamento di David Greig. Traduzione di Monica Capuani. Regia di Silvio Peroni. Scene di Eleonora De Leo. Disegno luci di Gianni Bertoli. 
Musiche originali di Oliviero Forni. Con Lodo Guenzi, Eleonora Giovanardi, Giovanni Anzaldo, Matteo Gatta. Prod.: Pierfrancesco Pisani e Isabella Borrettini per Infinito, Argot Produzioni, Accademia Perduta / Romagna Teatri – Centro di produzione teatrale; in collaborazione con AMAT; con il contributo di Regione Toscana.

Visto al Teatro Gobetti di Torino l’11 marzo 2025