Nonostante abbia dichiarato di essersi ispirato per “Casa di Bambola” ad un episodio di cronaca del suo tempo e nonostante la sua, di Ibsen intendo ovviamente, altrettanto dichiarata volontà di rappresentare nei suoi drammi l'umana Società, Nora
Helmer non è in fondo mai stata un personaggio in una storia messa in scena, perché Nora Helmer si è subito, e sempre di più nel tempo, o è stata trasfigurata prima in un 'atteggiamento' sociale che supera la contingenza, e poi in un 'sentimento' che recupera il femminile in una sua improvvisa consapevolezza.
Di questo, io credo, parla “TOO LATE” l'originale drammaturgia di Thea Dellavalle, e da lei stessa tradotta e diretta, che riscrive ed adatta l'omonimo libretto d'opera del premio Nobel 2023 Jon Fosse (norvegese come Ibsen), parla cioè non di quella Nora ripresa in una sorta di distopico spin-off, ma della sua proiezione nel tempo che ne rifrange, sfumandoli, i lineamenti, non solo perché sono passati trent'anni dalla sua fuga, ma soprattutto perché il suo atteggiamento e il suo sentimento, quando esce dalla casa patriarcale, hanno rotto uno schema di senso che sembra però, nel tipico pessimismo nordico giù giù fino a Bergman, non essersi in altro modo o in alcun modo da allora realmente ripristinato.
D'altra parte quella di Jon Fosse è tutt'altro che una ripresa ibseniana riproposta nei suoi interni meccanismi alla contemporaneità, bensì sembra cercare di dare a Nora, a tutte le Nore, una risposta che il suo primitivo drammaturgo non era stato in grado di dare e che, però, neanche lui alla fine sembra in grado di darle.
È troppo tardi, continua come un ritornello a ricordarci, quasi fosse già stato tardi subito, così che l'identità di questa donna avvolta dalla solitudine e che sembra cercare la sua via nell'arte della pittura, in realtà non è nuova ma è il semplice (o complesso?) e doloroso accostarsi delle tante tessere della sua memoria che ancora non riescono a darsi una fisionomia coerente.
Eppure Nora dice di sé: “Ho fatto quello che ho fatto. Ho fatto quello che dovevo fare. Ho fatto quello che pensavo di dover fare, questo era tutto quello che potevo fare questo era tutto quello che potevo pensare. Non pensavo di poter fare nient’altro è questo che ho pensato è questo che ho fatto”.
Nora non ha colpe, centocinquanta anni dopo può dirsi convinta di aver fatto la scelta giusta; eppure.. eppure la vita continua a fuggirle tra le mani come la sabbia tra le dita.
La regia sceglie di lasciare sempre in scena la Nora Anziana (una Anna Bonaiuto che sottolinea quella sorta di gelo che è nel personaggio) alle prese con le altre due sue età (Irene Petris, coideatrice dell'intero progetto, la mezza età – Roberta Ricciardi la gioventù) e significativamente sdoppia anche l'uomo (Giuseppe Sartori), come inseguito dall'ombra narcisistica del proprio sé (Emanuele Righi).
Costruisce così la scena soprattutto in un contro-scena in cui domina, come un pirandelliano ragionatore, la Nora di Anna Bonaiuto che rintraccia e analizza tra sé e sé i riflessi di una qualche tonalità emotiva che sembra essersi persa nel suo stesso ricordo.
Era Eleonora Duse che, ricordiamo, aveva scelto proprio la controscena per dipingere il sentimento della sua Nora che la scrittura di Ibsen, nella sua fredda cronistoria, celava.
È, quella di “TOO LATE”, una scena, e la scenografia di Francesco Esposito, fatta di porte, del resto il segno essenziale della Nora ibseniana è proprio il suo sbattere la porta nell'abbandonare casa, marito e figli, in un gesto simbolicamente così dirompente da costringere il drammaturgo a frettolose e ininfluenti revisioni della scena finale di “Casa di Bambola”.
Quelle porte, del resto, sin d'allora assurte a simbolo, comico o tragico non importa, di quel salotto borghese che, già in crisi, voleva imporre al mondo intero, tra patriarcato ed economia capitalistica, il suo schema, schema che, appunto, proprio la porta sbattuta di Nora ha messo in crisi.
Infatti ormai sono porte che non chiudono più niente, mentre nello spazio mentale e sentimentale della vita, come sul palcoscenico, si aprono in continuazione varchi e botole improvvise da cui escono e in cui cercano inutilmente di nascondersi il nostro conscio e il nostro inconscio.
D'altra parte questo è teatro, come la stessa scenografia aperta sulle strutture tecniche ci ricorda, è una messa in scena di personaggi che “in cerca di autore” si affacciano alla nostra mente dando corpo ai nostri ricordi, qualche volta ai nostri desideri. È la vita che guarda sé stessa.
L'ambiente sonoro di Franco Visioli disegna con efficacia i confini di questo spazio mentale mentre i bei costumi di Marta Balduinotti ben sottolineano l'andare ed il tornare, come un pendolo onnipresente, del tempo della vita.
A questo proposito va detto della improvvisa nota felliniana che rende oniricamente esplicito nella strana Madonna luminosa, con marsupio in cui si rifugiano i due protagonisti maschili, il contrasto stridente della donna, santa e puttana, nell'immaginario maschile allora, prima di allora e anche, purtroppo, dopo di allora.
Uno spettacolo impegnato e impegnativo, in un certo senso che punta poco sull'empatia e l'emotività, ben curato, ben pensato e ben recitato in tutti i suoi momenti, in Prima Nazionale al Teatro Gustavo Modena del Nazionale di Genova, che lo produce insieme a TPE – Teatro Piemonte Europa di Torino, dal 12 al 23 marzo. La sala affollata ha a lungo applaudito.
“TOO LATE” di Jon Fosse; traduzione Thea Dellavalle, un progetto di DELLAVALLE/PETRIS, con (in o.a.): Anna Bonaiuto DONNA ANZIANA - NORA; Irene Petris DONNA DI MEZZA ETA' – MIDDLEAGE; Roberta Ricciardi DONNA PIU' GIOVANE – RAGAZZA; Emanuele Righi FYLGJE – OMBRA; Giuseppe Sartori UOMO, regia Thea Dellavalle, suono Franco Visioli; scene Francesco Esposito; costumi Marta Balduinotti. Produzione Teatro Nazionale di Genova, TPE – Teatro Piemonte Europa in collaborazione con Lido51, in accordo con Arcadia & Ricono Ltd; per gentile concessione di Colombine Teaterförlag.
Foto Federico Pitto