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Osservando questo spettacolo, emerge la necessità di scoprire come è nato il connubio tra Nicola Borghesi, giovane attore e drammaturgo emiliano, e i grandi interpreti e autori siciliani Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sbirciando tra le informazioni

fornite dai credits, emergono tre elementi importanti: Le Tre Corde, Compagnia Vetrano/Randisi, Kepler-452. Il rapporto tra questi tre protagonisti è fondamentale e all’interno ritroviamo anche il Teatro ERT/Teatro Nazionale dell’Emilia-Romagna. Insomma, un incastro di voci e di esperienze molto interessante che richiede un’adeguata documentazione. Da una parte Nicola Borghesi fondatore nel 2015, insieme a Enrico Baraldi e a Paola Aiello, di Kepler-452, una compagnia che si sofferma su un genere importante, ossia il teatro-documentario, e che utilizza anche altri mezzi di indagine, oltre al palcoscenico. Kepler-452 entra a far parte di Le Tre Corde, cooperativa teatrale formata dalle tre compagnie, Kepler appunto, L’Aquila Signorina e Diablogues, quest’ultima storica compagnia e associazione culturale fondata da Vetrano e Randisi nel 1995. Il connubio tra tre tipologie di teatro e di ricerca teatrale appare un miraggio in un mondo artistico spesso settoriale, frammentato e poco coeso. La presenza, in scena, di due grandi del teatro di parola, come Vetrano e Randisi, e di un giovane attore-drammaturgo-regista che sperimenta il reale e l’attuale, ponendosi delle domande pressanti e inevitabili, offre al pubblico un’immagine inconsueta. Due mondi e due epoche si fondono sul palcoscenico della Sala Assoli di Napoli, dal 14 al 16 marzo, e la platea è gremita. Spettatori di età variegata alternano risate e commozione, per concludere con lunghi applausi. La necessità di questo giovane è capire se il mestiere teatrale è un mezzo attraverso cui potrà affrontare il futuro. I trentenni, e non solo, si chiedono ancora in Italia se il mestiere dell’attore possa rappresentare una passione o costituire un lavoro a tempo pieno. Il periodo di crisi, evidenziato in tutti i suoi aspetti, soprattutto durante l’avvento del Covid, ha rilevato che svolgere un mestiere di ambito artistico, in Italia, è un salto nel vuoto. Da una parte le difficoltà economiche e previdenziali, dall’altra il genio matto e universale del teatro che scalpita dentro gli animi di questi artisti: qual è la decisione più giusta? Borghesi intervista i due attori siciliani che incontra e frequenta in ambienti e teatri comuni e da quel momento decide di scrivere il copione di questo spettacolo che rappresenta, secondo il suo stile, una vera e propria inchiesta sul futuro dei giovani artisti italiani. La costruzione dell’intero spettacolo è fondata sull’alternanza tra passato, presente e futuro, attraverso un botta e risposta costante tra i tre attori. Lo stesso drammaturgo, in un primo momento assume il ruolo dello spettatore, seduto e mimetizzato tra il pubblico; poi interviene in scena, come se fosse un regista (la regia in realtà è firmata da Vetrano e Randisi), cercando di dissuadere i due artisti dal procedere con questa fantasiosa e irreale descrizione della bellezza del teatro. Successivamente diventa interprete principale, giovane trentenne che si pone degli interrogativi e che, apparentemente, appare affranto e deciso a non proseguire nella carriera artistica. L’intervento delicato, ma allo stesso tempo solido e di esperienza, dei due artisti siciliani, sembra ribattere costantemente, indicando al pubblico quanto sia profondamente intenso il rapporto con il teatro, con il palcoscenico, costruito attraverso una magia che rappresenta anche un dovere, una missione, un obiettivo.
Il giovane non appare convinto, ribatte smontando e ricostruendo il discorso, deviando su perplessità e pessimismo. Il momento più alto, da un punto di vista poetico, è sicuramente rappresentato dall’immagine di Vetrano e Randisi che, in scena, si arrampicano su per una scala, quella dei sogni e dell’immaginazione, guardando dall’alto il mondo, immaginando cielo e stelle, luoghi e personaggi che recitano brani tratti dal passato, che raccontano gioie e dolori del loro percorso artistico. Una lezione vera e propria che, costruita attraverso la recitazione e l’interpretazione, si inserisce in un continuo rapporto metateatrale con il pubblico e tra gli attori stessi. Il limite sottile tra realtà e finzione sembra impalpabile, appena percepibile. La volontà dell’autore è quella di sconfinare continuamente nella riflessione fortemente reale, arida e pessimistica, parlando anche di guadagni e di pensione che i due artisti siciliani percepiranno sicuramente, a differenza dei giovani attori contemporanei. Da una parte Vetrano e Randisi sembrano riportare il discorso continuamente all’interno di un’aura prettamente artistica, mentre il giovane rimane con i piedi per terra. L’interpretazione di una ipotetica scena di morte sembra essere il filo conduttore che lega i tre personaggi, prima intesa in maniera ironica, beffeggiando e scimmiottando le morti esageratamente drammatiche in scena e le indicazioni delle scuole e delle accademie di teatro, poi si orienta verso una certa profondità di pensiero. Quando si percepisce che la morte di cui parla l’autore-interprete, ossia il giovane deluso dal mondo artistico italiano, sembra essere quella artistica e professionale, i sorrisi e le battute cessano. I due attori siciliani, però, sembrano non preoccuparsi e cercano di incoraggiare costantemente Borghesi che afferma di essere incapace di morire sul palcoscenico, a differenza di un attore di esperienza. L’unico momento in cui il duo siciliano sembra scindersi, non vedendo più la presenza l’uno dell’altro, commuove fortemente il pubblico: non hanno figli, hanno solo una coppia, quella artistica, vivono solo una vita, quella teatrale, hanno solo una morte a disposizione, quella rappresentata attraverso la finzione scenica. Il monito finale è che l’arte non morirà mai, possiamo indossare maschere ed essere altro nella vita, ma se il sacro fuoco del teatro è in noi, non si può fingere di voler fare altro. Nonostante sia evidente che questo testo sia un po’ ridondante in alcuni momenti e si annodi su stesso, ripetendosi più volte, lo scioglimento di questi blocchi è affidato ai due attori di esperienza, ossia Vetrano e Randisi, che giocano sulle battute, probabilmente le arricchiscono ad ogni replica, e sostengono, come due padri veri e propri, l’incertezza che il giovane Borghesi presenta, intrepretando in effetti se stesso, e rivolge nei confronti del suo futuro artistico e di quello di tutti gli artisti italiani. Il titolo riporta una famosa frase pronunciata da Leo de Berardinis, che amava chiudere le sue prove, anche le peggiori, con un ringraziamento rivolto agli artisti, coloro che rendono reale un’opera e un testo. La devozione verso i padri artistici rappresenta, dunque, ancora oggi, l’unico punto di riferimento, l’unica resistenza possibile per i nostri giovani e incerti lavoratori del teatro.

SALA ASSOLI NAPOLI
14-16 MARZO 2025
Grazie della squisita prova: il teatro che attraversa generazioni
uno spettacolo di Enzo Vetrano, Stefano Randisi e Nicola Borghesi
scritto da Nicola Borghesi
regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi
coproduzione Le Tre Corde - Compagnia Vetrano/Randisi e Kepler-452
con il sostegno di Liberty Associazione
coordinamento tecnico Antonio Rinaldi
organizzazione Roberta Gabriele
si ringrazia Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

Foto Paolo Cortesi