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Ritorna sulla scena napoletana, nell’unica data del 26 maggio, al Teatro Spazio Libero, la denuncia del giovane Alessandro Mele, autore e attore di un monologo-dialogo, nei panni del venticinquenne Cristian. Il titolo incuriosisce di certo e la location teatrale ancora di più. Il Teatro Spazio Libero è uno dei luoghi artistici napoletani più suggestivi “ingrottato” nelle viscere della città, sembra trasudare dalle sue mura le voci dei molteplici artisti che si sono avvicendati sulla sua scena. E quando Alessandro Mele sbuca fuori dalle tende, sembra affacciarsi al pubblico per rivelare il suo dolore. Una grotta-mente-cuore in cui ognuno di noi si rifugia riflettendo su se stesso e su chi e cosa ci circonda. E il più delle volte l’esito di questa riflessione non è positiva. Il giovane Cristian basa i suoi insegnamenti di vita su una lettera lasciatagli dal padre. Il suo dialogo con la figura paterna si instaurerà incessantemente su questo foglio di carta. Di questa eredità cartacea, anche senza una vera e propria lettura reale, riusciamo a comprenderne il significato profondo, poiché il  venticinquenne denuncia la sua vita, che è tutto il contrario di ciò che il padre invisibile avrebbe voluto insegnargli con quelle poche parole. La notte della vigilia di Natale, un commissario, anch’egli invisibile ma ben riconoscibile dalla voce off di Franco Javarone, attende la fine del suo turno prima di festeggiare. Il giovane irrompe in commissariato perché non può più aspettare. Nel tempo dei festeggiamenti natalizi, banali a volte, ipocriti quasi sempre, Cristian sente ancora di più lo smembramento della sua famiglia. Nella figura del protagonista si inglobano gli aspetti sfaccettati di tante personalità sociali e Mele si fa doloroso portavoce di tante denunce. Dai sentimenti personali alla denuncia politica, culturale e sociale, tutto ciò che ci pesa in questa vita moderna viene urlato, sbattuto in faccia al commissario. Lui, padre in carne ed ossa ma invisibile per suo figlio Gennaro, può ancora pensare di tirarlo su  con regali e soldi?  Forse un figlio ha anche altro da desiderare? L’apparenza del perbenismo sociale che soffoca molte famiglie emerge violentemente in questa doppia visione: Cristian e il padre-lettera, il commissario-voce e il figlio Gennaro legato al suo “sparo”. Ciò che in effetti rimane impresso violentemente, a fine spettacolo, è il colpo di pistola che ferma per un attimo il tempo e che conclude una sorta di climax narrativo ed emotivo. Gennaro è davvero morto? Il tutto stride tra le risate stolte del padre-commissario e le angoscianti musichette natalizie. E mentre Cristian rimane a guardare, anche la società fa lo stesso. Interessante il cambio di scene basato unicamente su voci e piccoli cambi di luce, quest’ultima resa protagonista, insieme alla musica, di lunghe parti di monologo. La luce plasma, copre, macchia il volto dell’attore, ne crea chiaroscuri e ombre, come quelle della sua vita, ma soprattutto diventa elemento da inseguire incessantemente, speranza che sfianca il giovane al centro della scena dopo la lunga corsa della vita. L’interpretazione matura e profonda è cresciuta notevolmente, messa a confronto con  una precedente messa in scena di qualche tempo fa. Il testo,  selezionato nel 2010 in due festival teatrali tenutisi a Catania e  a Potenza, risulta particolarmente intenso quando tocca il tema dell’amicizia e il dialogo finale con il padre invisibile, momenti che commuovono alcuni spettatori e forse un po’, se possiamo permetterci, anche lo stesso attore.

Visto al Teatro Spazio Libero Napoli, 26 maggio 2011
DENUNCIA ALLA VITA
Di e con Alessandro Mele
Voci Off: Franco Javarone, Rosaria Russo, Patrizia Spinosi, Manila Cipriano e Raffaele Imparato