Antonio Rezza ritorna a Napoli con uno spettacolo del 2003, racconto scenico che oggi, forse più di ieri, riesce a colpirci ancor più intensamente. Chi non conosce Rezza e il lavoro che conduce da tempo insieme a Flavia Mastrella, subisce un impatto
fortissimo durante l’osservazione dello spettacolo. Gli spettatori, infatti, diventano costantemente parte integrante del racconto e la scelta di prolungare il palcoscenico, attraverso una pedana, sin dentro la platea, quasi a “ferirla” come una spada, ne è la dimostrazione. Il Teatro Bellini di Napoli, dunque, apre le sue porte all’attesa performance di Rezza, dal titolo FOTOFINISH, in scena dal 2 al 6 aprile; ogni replica è gremita di pubblico, tanto che gli spettatori scelgono di assistere anche dai palchetti collocati nei piani più alti. Forse chi siede in platea preferirebbe non essere coinvolto, ma inevitabilmente decine di spettatori subiscono le battute dell’attore e il coinvolgimento che, soprattutto nella fase finale, li costringe a salire sul palco e a diventare parte integrante dello spettacolo. Ogni sera spettatori diversi collaborano inconsapevoli alla chiusura del racconto. L’immagine che emerge da questo lavoro è, a primo impatto, la descrizione di una serie di personaggi, che potremmo incontrare nella nostra quotidianità e che tentano disperatamente di emergere dal silenzio e dal buio. Il “Fotofinish”, in effetti, è il momento finale di una corsa all’ultimo respiro che ha come obiettivo naturalmente la vittoria. La vita, in effetti, è un’eterna corsa per emergere, a scapito anche degli altri e di chi ci sta accanto, perché la società e i ritmi ci impongono ormai questo modo “incivile”, potremmo dire, attraverso cui conviviamo con altre persone.
I personaggi descritti convivono in un unico protagonista, un uomo che continua a fotografarsi per sentirsi meno solo. Lo studio fotografico è riprodotto attraverso teli bianchi, pali, sbarre che, via via, assumono altre funzioni, fino a diventare addirittura una croce con stendardo, che ricorda le immagini pittoriche del Cristo in Resurrezione. È evidente che tutto ciò che viene citato e descritto scenicamente dall’attore è un compromesso tra immagine surreale, affronto, sberleffo alla società, ironia amarissima, sfida, denuncia e disperazione. Il teatro di Rezza/Mastrella, sebbene sia basato su un vero e proprio testo, sicuramente modificato e adattato alle condizioni e alle situazioni con cui l’attore si trova a confrontarsi ad ogni replica, è costruito soprattutto attraverso una fortissima dimensione corporea e vocale, che sembra non avere mai tregua, in una costante sollecitazione del pubblico, lungo un tour de force attoriale che impegna gli attori sul palcoscenico, fino allo sfinimento. Quando la tensione sembra raggiungere livelli elevatissimi, Rezza riesce a rallentare il ritmo, a riprendere il respiro, ma non abbandona neanche per un attimo il pubblico. La reazione comune e costante è caratterizzata da una risata, isterica e sguaiata, per la maggior parte degli spettatori. Altri rimangono a bocca aperta, sorpresi, inorriditi, scossi. La comprensione profonda del messaggio del teatro di Rezza/Mastrella sconvolge più di ciò che vediamo sul palcoscenico: non basta il nudo o il turpiloquio, ormai, a colpire lo spettatore, ma è l’andare a fondo, dopo ore o giorni, su ciò che voleva dirci questo spettacolo. Probabilmente la maggior parte degli spettatori porta con sé solo l’aspetto ridanciano e talmente folle da far ridere sicuramente. Un riso che è anche una difesa nei confronti di ciò che osserviamo, che non dovrebbe andare in scena secondo la morale e l’etica comune, ma che Rezza ci sbatte in faccia violentemente.
L’attore si trasforma continuamente in vari personaggi: dal fotografo che immagina varie vite, al politico che parla guardando il dito ma non la luna, secondo il proverbio, ossia indicando e promettendo senza nessun reale obiettivo che possa essere favorevole per gli elettori. L’ospedale, invece, rappresentato da una semplice struttura bianca, una tenda da gioco per bambini che diventa via via ingresso con porta girevole, sala di attesa, luogo in cui svolgere la TAC, è costruito da un uomo immaginario di buone speranze. Anche la malattia, in questo spettacolo, viene presa in giro, così come le lunghissime attese per i controlli rivolti ai malati terminali. Una vera e propria corsa contro il tempo, in cui ironicamente Rezza immagina delle suore e degli uomini di scienza concorrere per la salvezza, corporea o dell’anima, del malato. Ritorna, quindi, il collegamento al titolo, che non rappresenta una semplice foto, ma un “finish”, una conclusione inevitabile per il malato che rimarrà indietro e per chi, in teoria, doveva occuparsi di lui. Non è un caso che sia proprio la suora la vincitrice di questa corsa per la vita, permettendo, così, continue punzecchiature nei confronti della Chiesa e della religione. Sebbene questo spettacolo parta da un personaggio unico che si frammenta, con la fantasia, in altre storie e personaggi, in realtà emerge una continua denuncia nei confronti della società, dello Stato, della Chiesa, della Sanità, per arrivare anche a citare l’olocausto e il rapporto tra Europa, Italia e America, oggi più che mai tema di forte attualità.
L’ultima parte della performance si estende per circa venti minuti e vengono reclutati tantissimi spettatori, trasportati con apparente forza sul palcoscenico, come ostaggi ignari di tutto. L’attore Manolo Muoio, bravissimo interprete insieme ad Antonio Rezza, li trasporta dietro le quinte e li uccide. Gli spettatori sentono il rumore dello sparo e osservano, subito dopo, il corpo fintamente morto, trascinato e lasciato supino sul palcoscenico bianco. La situazione è surreale: gli spettatori che osservano ridono convulsamente, gli spettatori trascinati sul palcoscenico e idealmente morti sono imbarazzati e ridono per tale ragione, altri spettatori cominciano ad essere spaventati perché temono un coinvolgimento sul palcoscenico. Questa condizione si protrae per minuti interminabili e il nostro pensiero vola sicuramente agli abusi di potere perpetrati dalle Forze dell’Ordine in tutto il mondo. Non è un caso, infatti, che Rezza recuperi tra il pubblico moltissime donne, molti anziani, anche coloro che sono visibilmente in difficoltà deambulatoria o con le stampelle. L’impatto è ancora più forte per chi rimane seduto ad osservare. Alcuni giovani vengono costretti a reclutare, ossia sono indicati improvvisamente come poliziotti. Anche la reazione di questi è di confusione e sorpresa, perché cercano di essere gentili con le signore che reclutano tra il pubblico, ma Rezza li incita alla violenza, inveendo contro di loro.
Il personaggio solitario è convinto di vivere tante vite, di avere tanti ruoli in un vero e proprio climax che lo conduce ad un delirio di onnipotenza, ma il teatro, a questo punto, smette di essere immaginifico; realtà e teatralità si mescolano indistintamente, attraverso una meta teatralità fortissima e violenta. Lo spettacolo si conclude con un ennesimo colpo di scena: dopo aver palpato realmente il fondoschiena delle spettatrici ormai distese sul palcoscenico, Rezza ci chiede se realmente abbiamo creduto a tutto. Il cane è finto, la donna è un uomo, il politico non è tale, così come il medico e la violenza mostrata. È tutto finto, quindi distogliete la mente da ciò che avete visto. Un ennesimo schiaffo. In realtà Rezza ci ha riportato continuamente alla crudeltà della realtà, sia quella segreta della vita dei solitari dimenticati, sia quella apparentemente equilibrata della società. Siamo stati fotografati anche noi, siamo arrivati al fotofinish. La foto della solitudine è un’immagine vuota che però è stata riempita attraverso ragionamenti che si mantengono in equilibrio precario tra la verità e la menzogna.
FOTOFINISH
TEATRO BELLINI NAPOLI
2-6 aprile 2025
Fotofinish
di Flavia Mastrella e Antonio Rezza
con Antonio Rezza
e con Manolo Muoio
(mai) scritto da Antonio Rezza
allestimento Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
luci e tecnica Alice Mollica
organizzazione Tamara Viola e Stefania Saltarelli
macchinista Eughenij Razzeca
produzione RezzaMastrella, La Fabbrica dell'Attore - Teatro Vascello
Antonio Rezza Flavia Mastrella Leoni d’oro alla carriera La Biennale di Venezia 2018
Foto Giulio Mazzi