Riprendo dal mio ultimo intervento della rubrica, “In cerca di teatro a Roma?”, l’opinione di Elio De Capitani, il quale da anni sostiene a ragione che ciò che manca in gran parte del nostro sistema teatrale è un vero e proprio “Teatro d’Arte”, che sia in
grado di affrontare in profondità, ad esempio, le novità drammaturgiche, anche europee, con l’aiuto di attori capaci di preparare la messa in scena coi tempi di prova lunghi di cui è necessario disporre per un serio approfondimento culturale, estetico, espressivo, a tutti i livelli.
In queste mie note presenti vorrei approfondire, almeno in nuce, i significati attribuibili alla definizione di “Teatro d’Arte”, tenendo sempre presente che in materia di creatività artistica è molto difficile e poco veritiero fissare criteri assoluti. La prima annotazione riguarda la storia novecentesca del teatro italiano, in particolare la creazione da parte di Luigi Pirandello e sodali della compagnia, appunto, del Teatro d’Arte. Siamo negli anni Venti-Trenta del secolo scorso, quando il nostro grande drammaturgo, accompagnato da scrittori, artisti, architetti, attori, regge il mercato dello spettacolo d’allora per alcuni anni, per poi arrendersi dati i grossi debiti accumulati. Va ricordato che in quel tempo di fatto non esisteva una regolare attribuzione di fondi da parte degli organismi pubblici, per cui il cespite maggiore proveniva dagli incassi e da contribuzioni private.
Cosa ci insegna l’esperienza pirandelliana? Innanzi tutto, che il settore dello spettacolo di prosa stava per essere superato di gran lunga, come capacità di incassi, dal cinema; reggevano, sulla scena teatrale, soprattutto le commedie, i grandi attori all’italiana, i testi drammatici dialettali. La figura del regista di fatto non era ancora emersa, e questo fino al secondo dopoguerra. Esempio massimo, in positivo, per quegli anni, furono i De Filippo, che seppero andare ben oltre l’ambito geografico napoletano, incantando più pubblici.
Da Pirandello, comunque, ereditiamo una capacità di coinvolgimento creativo scenico, di professionisti di grande spessore, dagli autori dei testi via via messi in scena, ai creatori delle scenografie, ai musicisti, e così via.
In termini attuali, quindi, dobbiamo fissare un principio di base con il quale determinare una condizione minima del valore artistico sotto specie di approccio di natura “tecnica”, per cui:
1 la drammaturgia scritta è una tecnica del teatro che assume e conforma alle proprie esigenze la scrittura letteraria;
2 la scenografia è una tecnica del teatro che assume ispirazione massima dalle opere pittoriche e dalle tradizioni figurative; ancor di più se il creatore è un vero artista, o architetto, ecc.;
3 la musica di scena viene ispirata e/o composta da musicisti che a prescindere dal teatro sono già autori di alto livello qualitativo, e viene “tecnicamente” assunta nel sottolineare passaggi chiave di natura scenica;
4 la costumistica diventa tecnica teatrale che si avvale delle creazioni di alta sartoria;
5 la recitazione teatrale, come sappiamo fin dai padri fondatori di inizio ‘900, è una tecnica che si arricchisce della fisicità espressiva della danza classica e moderna; delle posture di base usate dai mimi, come dalle posture acrobatiche delle arti circensi; è anche una tecnica che rende organico il rapporto corpo-mente tramite le impostazioni fisiologiche dello yoga, della performatività sportiva, della meditazione; e per la voce, sulla scena, saranno le varie modalità tecniche dell’emissione vocale provenienti dal canto lirico, e da altre tipologie d’uso della voce.
Si capisce, da questo breve ed essenziale quadro, quanto grande diventi l’impegno dei “teatranti”, quanto lunghi siano i tempi di preparazione, quanto grande divenga l’impegno finanziario nel ricompensare adeguatamente la collaborazione di artisti di valore esterni al settore specifico del teatro con le sue varie tipologie.
Evidente risulta il fatto che, come asserisce De Capitani, occorrono più risorse finanziarie da una parte, e dall’altra sarebbe necessario abituare i potenziali spettatori alla fruizione di un “prodotto d’Arte”, e renderli motivati e consapevoli di quali siano i risultati di alto valore artistico da raggiungere.