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Da qualche anno o forse anche decennio è diffuso un certo 'pudore', ed è in parte un eufemismo, a parlare, scrivere e praticare un teatro 'politico' quasi che questa nobilissima parola e pratica portasse lo stimma 'riprovevole' di un'epoca di

contrapposizione, sanata prima dal disimpegno e poi dall'arricchitevi di berlusconiana memoria cui tutti siamo stati chiamati a partecipare, ovviamente con i diversi e immutati handicap di classe solo mascherati e 'obliati'.
D'altra parte l'oblio del 'politico', anche quando, pur positivamente, trasfigurato in ricerca e innovazione drammaturgica, ha privato, con un grande assist alle vecchie e nuove 'egemonie' che ora guidano la nazione, prima il teatro e poi la cultura italiana in generale di uno strumento fondamentale per la loro funzione rispetto alla comunità, che non è solo quella di guardarsi un forse 'bellissimo' ombelico ovvero il dito puntato sulla luna nascosta, ma bensì quella di elaborare e magari indirizzare per quanto possibile con onestà la Polis, appunto, perchè sia consapevole di sé nelle sue decisioni, personali e comunitarie, per il 'bene' collettivo (detto senza vergogna) e, perché no, anche per quello individuale.
La Storia infatti, checchè se ne dica, è tutt'altro che finita e nei conflitti di classe comunque denominati si sarà persa qualche battaglia ma forse non ancora la guerra e il teatro, come avrebbe detto Edoardo Sanguineti, serve a conservarne la 'Coscienza'.
Il lettore scuserà questa un po' lunga premessa, ma “POLIS TEATRO FESTIVAL” di Ravenna, a partire dal suo stesso nome, è ancora un luogo che continua a non vergognarsi, di essere politico (o se ci piace di più 'civile'), in una commistione rara tra tendenza 'formale' alla innovazione e alla ricerca teatrale e scelta di contenuti che di noi parlano, della Storia, delle 'nostre' storie, delle relazioni e dell'influenza che queste hanno sulla collettività, modificandola ed essendone modificate, insomma ci parla della vita immaginata che si fa vita praticata.
È il segno che i due direttori artistici, Agata Tomsic e Davide Sacco, custodiscono nonostante le sempre maggiori difficoltà nei rapporti della cultura, dell'arte e del teatro stesso, con le Istituzioni (“David di Donatello” docet), cercando di conservare, e noi insieme a loro, uno sguardo europeo e 'democratico' sul mondo, sulla 'città' e sulla vita che, come si diceva una volta, è personale proprio perché è politica.
Visto che il mondo è grande, l'edizione di quest'anno ha scelto di indirizzare il suo 'focus' sulla penisola iberica, uscita dopo di noi e come noi da decennali (e sanguinose) Dittature, in questo ma non solo in questo immergendoci.
Dal 2 all'11 maggio Ravenna ne è stata, per così dire attraversata. Dei giorni in cui ne sono stata ospite, questo è un breve diario scelto.
UN'ODISSEA TEEN / La Mecànica.
In questa performance si assiste alla costruzione di uno spazio narrativo e drammaturgico che mescola la concretezza dei corpi e dei movimenti con la virtualità della rete, facendo interagire pubblico e performer attaverso l'utilizzo della innovativa app “Kalliopé” creata dalla compagnia spagnola “La fura dels Baus”. Sguardi fisici e sguardi virtuali compongono le relazioni nei gruppi e tra i gruppi, sostanzialmente 'adulti' e 'adolescenti' (la generazione del web), così da tentare di condividere ciò che sembra opposto costruendo una grammatica comune in cui l'esperienza degli uni (perfomer e pubblico, adulti e adolescenti) può rendersi disponibile agli altri. Un viaggio dentro uno spazio in cui con la mente e con il cuore si può rendere 'comune' l'apparente lontananza, un viaggio organizzato dalla parola che sembra generarsi dentro il viaggio stesso. Da vivere più che da descrivere.
Venerdì 9 maggio alle “Artificierie Almagià”, in prima nazionale.
IL PORTOGALLO NON È UN PAESE PICCOLO / Hotel Europa.
Spettacolo più immediatamente 'politico' che dimostra con efficacia come la 'politica' non sia tanto una funzione che talvolta (spesso?) degenera in mestiere, quanto la lingua intima di ogni comunità che si parla anche attraverso l'arte e il teatro. Parla, infatti, e rappresenta la lunghissima storia coloniale del Portogallo ed il suo apice rappresentato dalla più lunga dittatura europea moderna (48 anni), quel fascismo rovesciato dalla incruenta e ricca di speranze “Rivoluzione dei Garofani” del 1974 (il 25 Aprile tra l'altro). I due bravi attori performer protagonisti trasfigurano con efficacia le testimonianze, anche contraddittorie, di ex coloni portoghesi che hanno abbandonato le colonie africane, nel momento in cui la Rivoluzione ha decretato, insieme, la fine del Fascismo e del Colonialismo che per decenni si erano auto-legittimati. Un utilizzo creativo di materiali biografici e storici capace di dare il senso di un ribaltamento politico e sociale ma anche esistenziale e personale forse non pienamente conchiuso.  
Venerdì 9 maggio al Teatro Rasi.
SIGNORA DITTATURA – DAMA DICTATURA / Hermanas Picohueso
Ironia è anche mostrare e analizzare qualche cosa, una persona ovvero un evento, attraverso qualcos'altro che all'apparenza non c'entra nulla o addirittura sembra il suo contrario. Così questo spettacolo della compagnia spagnola ci racconta la dittatura di Francisco Franco attraverso la vita e le vicende della moglie Carmen Polo, a lui tra l'altro a lungo sopravvissuta. Una normale storia di famiglia con gli eventi normali che la caratterizzano, dalla comunione della figlia e giù discendendo, attraverso la cui trama si intravvede la trama di un paradigma, quello franchista, il cui precetto base sembra essere stato quello del silenzio e dell'impossibile oblio di una tragedia sanguinaria, sanguinosa e comunque fondativa dell'oggi della Spagna. Un'etica nera segnata, come in una coazione a ripetere, dal movimento della 'caccia'. Raccontando la passione per la caccia dei due protagonisti (di Franco per Carmen e di Carmen per le collane) nella grammatica altrettanto ironica del 'gossip' e della distopia, emerge l'ansia di repressione che ha caratterizzato, e forse ancora caratterizza, le classi alte e l'estrema destra iberica (ma non solo purtroppo). Dissacrante, se vogliamo, senza mostrare di esserlo e così scagliando la sua freccia ancora più lontano.
Sabato 10 maggio al Teatro Rasi, in prima nazionale.
COPLA: UN CABARET SPAGNOLO / Alejandro Postigo
La copla è l'abbinamento di due versi spesso in rima che ha costituito la base armonica e ritmica, in diverse versioni, di molta canzone popolare prima spagnola e poi sudamericana. L'etimologia peraltro ci porta all'italiano coppia ovvero al latino 'copula' cioè unione di due diversità che tali restano assumendo però un nuovo condiviso significato. Il musicista Alejandro Postigo assume il senso profondo di tale coppia musicale per riscrivere e cantare la storia della Spagna nella trasformazione di un migrante queer in un drag sovversivo. Un teatro musicale che guarda al revisionismo storico della 'Copla' come forma di silenziosa 'resilienzia' dello spirito libertario spagnolo represso dalla e dopo la guerra civile. Bellissimo e significativo al riguardo il video della nonna centenaria del protagonista che racconta come in quel periodo alcune cose (e molte canzoni) andassero solo sussurrate. Originale, efficace e soprattutto 'da ascoltare'.
Domenica 11 maggio al Teatro Sociale in prima nazionale.
La parte conclusiva del festival, nella serata di domenica 11 maggio, è stata infine occupata dagli esiti della nuova e prestigiosa collaborazione pluriennale con “Pav e il Progetto Fabulamundi Playwriting Europe” che, come noto, promuove la drammaturgia europea contemporanea. Si è trattato di due “mise en espace” di testi iberici, tradotti e prodotti da compagnie italiane.
Il primo è stato “Brevi interviste con donne eccezionali” del catalano Joan Yago, portato in scena dalla compagnia Nerval di Maurizio Lupinelli. In un finto 'format' giornalistico propone una sorta di raccolta di aforismi che uniscono nel loro essere eccezionali, nel senso proprio di 'fuori norma', alcune donne note o ignote e che attraversano così la condizione femminile nei suoi più diversi aspetti, tra le contraddizioni, le lacerazioni e le negazioni che ne caratterizzano la contemporanea percezione.
Il secondo, CorpoArena della drammaturga portoghese Joana Bértholo a cura della compagnia Teatro Onnivoro di Matteo Cavezzali, affronta sulla scena, e significativamente attraverso tre performer maschi, il tema del rapporto identitario, oltre ogni genere, con il proprio corpo quale portatore verso l'esterno di una idea di sé che spesso con quello stesso corpo confligge, facendone un'arena in cui combattere e sperimentare la propria volontà e la propria identità nella percezione e nella contrapposizione tra da interno ed esterno, tra sostanziale e apparente.
Sono due spettacoli uniti da un'approccio drammaturgico e da una sintassi che sa abbinare il grottesco con il surreale, il naturalistico con il distopico, in fondo facendo della scena ciò che avrebbe potuto essere o potrà essere ma ancora non è stato. Due drammaturgie 'diverse' e diverse tra loro ma che affondano entrambe nel fiume dei mutamenti che ci riguardano, guardando da una parte il femminile e dall'altra una più generale 'identità' corporea dentro un mondo che sta cambiando anche oltre la nostra percezione, anticipandone, distopicamente appunto, evoluzioni e possibili esiti. Più che semplici letture ma messe in scena che le due compagnie hanno saputo gestire con grande qualità espressiva.
Un percorso intenso e impegnativo anche quest'anno per un Festival giunto alla sua ottava edizione, un appuntamento tradizionalmente capace di mescolare dentro il suo sguardo anche 'politico', nei termini cui ho accennato in premessa, un'attenzione curiosa alla giovane drammaturgia di ricerca, italiana e straniera, con un encomiabile lavoro di promozione talvolta premiato.
Appuntamento a settembre per festeggiare i 15 anni di vita della Compagnia con gli ultimi due lavori, in preparazione, dei due fondatori e Direttori Artistici Agata Tomsic e Davide Sacco.

Foto Luca Rocchi, Joan Porcel