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In quale luogo della nostra esperienza culturale devono essere collocate le tragedie greche? In quale spazio spirituale bisogna comprenderle e acquisirle? Non tanto (o non soltanto) in quello dell’istruzione, in cui restano preziosissime; non (o meglio non

soltanto) in quello della consapevolezza culturale e politica, personale e collettiva; ma nello spazio della costruzione di una sapienza, individuale e pubblica, che ci spinge e ci aiuta a confrontarci con le problematiche ultime e definitive del nostro stare al mondo. Ad esempio: il senso della vita e della morte, la felicità, la sofferenza, la finitezza materiale del nostro essere, l’equilibrio possibile tra l’essere e il desiderare individuali e l’essere e il desiderare collettivi, il rapporto tra generazioni, il fondamento del potere, il rapporto tra potere e responsabilità politica, la dimensione del sacro. In questo spazio devono essere poste le tragedie, in questo spazio devono collocarsi sostanzialmente anche gli allestimenti contemporanei di esse. Non le riscritture, ma gli spettacoli che partono dai testi della drammaturgia antica. In questo contesto, appare prezioso il lavoro portato avanti da un secolo a questa parte dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa con le sue sessanta edizioni delle Rappresentazioni classiche. Ovviamente non si tratta sempre di spettacoli importanti e privi di difetti, ma sempre più si sta verificando che siano affidati a protagonisti e maestri della scena contemporanea che affrontano questa materia mettendola in dialogo sia con una riflessione sulla realtà contemporanea sia con il loro precipuo linguaggio teatrale. Si possono fare innumerevoli esempi (Martone, Ronconi, Castri) ma per restare agli ultimi anni basti pensare agli spettacoli costruiti da Livermore (Elena, Orestea) o alla vicenda dell’Edipo Re di Robert Carsen nella stagione 2022. Oltre ad essere stato uno spettacolo straordinario questo lavoro ha rappresentato sicuramente, per il pubblico, per gli operatori e per la critica, una importante e lucida lezione: lo sguardo contemporaneo di un regista, mediante la costruzione dello spettacolo, non deve appiattire il testo antico sull’oggi, ma deve scavare in esso fino a trovarvi la parola che ci solleciti e accompagni in una dimensione sapienziale. È una lezione che, nella attuale stagione delle Rappresentazioni classiche, la sessantesima, sembra presente in entrambi gli spettacoli sofoclei, Elettra ed Edipo a Colono.

La regia dell’Elettra è stata affidata a Roberto Andò e Andò nel costruire il suo spettacolo è andato direttamente al punctum del testo sofocleo: il contrasto tragico, ovvero le ragioni di Clitennestra nell’omicidio di Agamennone, seppur ribadite dalla regina (è perfetta la Clitennestra di Anna Bonaiuto: presenza scenica magnetica, piglio regale e mille pensieri che la attraversano, inquietano, spaventano) non condizionano minimamente il sentimento e l’agire di Elettra e Oreste. Anzi la distribuzione del materiale mitico nel testo drammatico consente di porre l’attenzione principalmente sul coacervo di odio, sentimenti distruttivi, emozioni negative che dominano per intero il personaggio di Elettra e la spingono alla vendetta sulla madre/regina e sul suo amante Egisto che, solo materialmente è realizzata da Oreste, ma è totalmente compiuta dalla sua ferrea e trascinante volontà. È chiaro che si tratta di un personaggio profondamente legato al modello di Antigone e per il quale la vendetta può essere una azione necessaria, definitiva e moralmente appagante. Qual è però l’affondo concettuale di Andò? Qual è il suo gesto intellettuale nel leggere il testo di Sofocle (nella godibile e piana traduzione di Giorgio Ieranò) e nel costruire il suo spettacolo? Scorgere all’orizzonte di qual coacervo di amore filiale negato e frustrato, di umiliazione pre-politica, d’inestirpabile superbia aristocratica, di prepotente superbia e di ferocia guerriera, l’archetipo di una nevrosi che è lontanissima dall’antropologia della Grecia classica, ma è totalmente contemporanea e che, oltre la vendetta, resta aperta e sostanzialmente inappagata dal sangue versato. Una lettura che risulta ben piantata prospetticamente e credibile nell’interpretazione di Sonia Bergamasco. La sua è prova attorale potente, sensibilissima, creativa, consapevole, il che è davvero quasi tutto lo spettacolo e ha un interessante pendant anche nell’esibizione finale come pianista dal vivo.
Le sta accanto una Crisotemi interessante: sembra che su questo personaggio, sulla sua natura sfuggente e non necessariamente schiacciata dall’odio di Elettra, Andò abbia riflettuto particolarmente: le viene assegnata un’energia nuova e quasi politica che sembra rispondere segretamente non alla necessità di vendetta spinta da Elettra quanto alla preoccupata comprensione del futuro di rovina che alla vendetta non può che seguire. Silvia Ajelli, che incarna questo personaggio, appare ben consapevole e all’altezza della sfida. Gli altri Personaggi sembrano essere attratti nel campo di senso del dolore di Elettra: Oreste (un Roberto Latini che non sembra trovare una posizione veramente significativa rispetto alla furia vendicatrice di Elettra), il pedagogo (Danilo Nigrelli), le cittadine corifee (Paola De Crescenzo, Giada Lorusso, Bruna Rossi), Egisto (Roberto Trifirò), Pilade (Rosario Tedesco), la capo coro (Simonetta Cartia come sempre preziosa in questi allestimenti). Lo stesso può dirsi degli altri elementi scenici: dalle straordinarie musiche di Giovanni Sollima, di respiro inquieto e contemporaneo, alla scenografia di Gianni Carluccio che, nell’immagine della facciata imponente di un antico palazzo crollato, presenta una waste land di odio che non può generare altro che rovina (e, ancora prospetticamente, nichilismo). L’impressione complessiva è quella di uno spettacolo solido e di un lavoro di professionisti tra loro ben affiatati. Unico neo, veramente evidente, la sostanziale inutilità del coro delle donne micenee nella parte affidata alle giovani attrici della scuola dell’Inda: semplici movimenti di danza, curati da Luna Cenere, atti a sottolineare dinamicamente quanto accade in scena  ma non particolarmente originali né efficaci.

Se la vendetta in Elettra non può generare altro che odio e rovina senza alcuna speranza, nell’Edipo a Colono diretto da Robert Carsen e interpretato da Giuseppe Sartori, l’eroe sofocleo attraversa con il suo corpo il male, il rifiuto, la sconfitta, il dolore, il lutto, la disperazione della colpevolezza: subisce, agisce, ma a un certo punto, si ferma, comprende il senso della sua esperienza, la accetta e la trasforma in sapienza salvifica. Sapienza salvifica, sia a livello individuale sia a livello collettivo. Questa trasformazione è qualcosa di sacro, ineffabile, misterioso: avviene certamente, ma deve restare inconoscibile e non narrabile. È questa la chiave con cui Carsen ha letto Sofocle e costruito il suo spettacolo. La scenografia riprende la grande scalinata del suo Edipo Re del 2022, ma questa volta a esser rappresentato non è un palazzo regale o uno spazio urbano, non c’è alcun segno di potere umano. Questa volta la grande scalinata rappresenta una balza boscosa, coperta di cipressi regolarmente disposti, dominata da un verde scuro che si allarga a coprire, come un prato, anche lo spazio circolare dell’“orchestra”. È un luogo sacro, recintato, è il bosco delle Eumenidi nel demo agrario di Colono, appena fuori Atene, gli spettatori lo scoprono ben presto. È lì che arriva Edipo, ormai vecchissimo, cieco, lacero, stremato, accompagnato solo da sua figlia Antigone (Fotini Peluso). Ben presto capirà che quello è il posto dove la sua vita, incredibile e miserrima, avrà fine e tuttavia, prima che ciò avvenga, la sua umanità dovrà ancora subire prove non facili: il richiamo in patria portato da Ismene (Clara Bortolotti), secondo un oracolo che prediceva che sarebbe diventata invincibile la città che avesse custodito le sue spoglie mortali, la richiesta (generosamente accordata) di accoglienza e protezione che da supplice rivolge al re di Atene Teseo (nello spettacolo un luminoso e convincente Massimo Nicolini), la prepotenza di Creonte (un misurato e consapevole Paolo Mazzarelli) che voleva riportarselo forzatamente a Tebe ed infine ancora il ricatto affettivo del figlio Polinice (Simone Severini) che, dopo averlo cacciato via da Tebe, lo avrebbe rivoluto accanto per sconfiggere Eteocle. Superate queste prove è il momento della definitiva e totale accettazione della sua vita: l’uomo nel mistero luminoso (e numinoso) della piena umanità, totalmente colpevole e, al contempo, totalmente innocente. È così che può inoltrarsi nel bosco delle Eumenidi, accompagnato dalle figlie e da pochi uomini. È così che può affrontare l’ultimo tratto di quel mistero, accompagnato dal solo Teseo. È così che può morire, accolto tra gli dei e diventare egli stesso una divinità benefica per la città di Atene che lo accolto e gli è stata solidale.
Quali sono i punti di forza di questo lavoro? Anzitutto la capacità che Carsen ha dimostrato anche in questo lavoro di far parlare con chiarezza assoluta il testo sofocleo (nella traduzione di Francesco Morosi), farne sentire la vertiginosa profondità, escludere qualsiasi sofisticazione spettacolare (o al contrario trovarla con strepitosa eleganza nella semplicità più assoluta); quindi la capacità attorale di Sartori di gestire con consapevolezza la tempesta di emozioni che connota l’essere di Edipo anche in questa fase della sua storia mitica, senza cadere mai in un eccesso d’inautentica retorica; e poi la meravigliosa vena “pittorica” del regista che, grazie alla scenografia attraversata e accesa da mille tonalità di verde scuro, grazie ai costumi e alle luci, rispettivamente di Radu Boruzescu, di Luis Carvalho e di Giuseppe Di Iorio, permette al pubblico di percepire (suggerendo quasi una sinestesia immaginaria) l’aspetto naturale e ancestrale della sapienza incarnata da Edipo. In questo contesto di sacralità ancestrale Carsen riesce a costruire spazi di senso reale per il coro dei vecchi abitanti di Atene, ma soprattutto per le giovani attrici della scuola dell’Inda che qui, quasi in un secondo coro di Eumenidi guidate da Elena Polic Greco (uno dei più solidi pilastri della tradizione dell’Istituto del Dramma Antico) danzano e recitano. Ancora verde su verde, il verde brillante dei costumi delle Eumenidi sul verde scuro del bosco e del prato: a tratti la memoria di qualche pittura di Magritte, a tratti - nei gesti sincopati delle coreute – figure di dee e di donne danzanti che sembrano tratte dalla cultura figurativa minoica. Un particolare infine della costruzione di Carsen sorprende ma non convince: alla fine dello spettacolo, dopo la sua morte, Carsen oltrepassando Sofocle o interpretandolo ulteriormente, immagina che Edipo ritorni in scena in assoluto silenzio, indossando lo stesso costume verde delle Eumenidi ed eseguendo movimenti di danza simili a quelli eseguiti dalle dee benefiche. Sembra quasi chiudersi un cerchio simbolico con l’idea di una completa assimilazione di Edipo alla dea madre terra, ma siccome la cifra di Sofocle è appunto il mistero, quest’ultima uscita è apparsa superflua e inutilmente esplicita.

Elettra di Sofocle.
Teatro greco di Siracusa, LX Stagione rappresentazioni classiche dell’Istituto nazionale del dramma antico. Date: maggio 09/11/13/15/17/21/23/25/27/29/31, giugno 02/04/06.
Regia di Roberto Andò. Traduzione di Giorgio Ieranò. Scene e disegno Luci di Gianni Carluccio. Costumi di Daniela Cernigliaro. Musiche di Giovanni Sollima. Suono di Hubert Westkemper. Movimenti di Luna Cenere. Assistente alla regia, Luca Bargagna, assistente scenografo Sebastiana Di Gesù, assistente costumista Giuseppina Sorrentino. Con Danilo Nigrelli (pedagogo), Roberto Latini (Oreste), Sonia Bergamasco (Elettra), Paola De Crescenzo, Giada Lorusso, Bruna Rossi (corifee), Silvia Ajelli (Crisotemi), Anna Bonaiuto (Clitemntestra), Roberto Trifirò (Egisto), Rosario Tedesco (Pilade), Simonetta Cartia (capo coro).
Coro di donne micenee: Arianna Angioli, Margherita Cinardi, Anastasia Cino, Maria Rita Sofia Di Stasio, Virginia Giannone, Alessandra Giovannetti, Angelica Rampin, Gioia Maria Sanfilippo, Maria Clelia Sciacca, Sarah Gisella Simeoni, Allegra Azzurro, Claudia Bellia, Carla Bongiovanni, Gaia Lerda, Giulia Maroni, Erika Roccaforte, Francesca Totti, Clara Borghesi, Carlotta Ceci, Federica Clementi, Alessandra Cosentino, Ludovica Garofani, Gemma Lapi, Zoe Laudani, Arianna Martinelli, Beatrice Ronga, Francesca Sparacino, Sandre Siria Veronese.  

Edipo a Colono di Sofolce
Teatro greco di Siracusa, LX Stagione rappresentazioni classiche dell’Istituto nazionale del dramma antico. Date: maggio 10/14/16/18/20/22/24/28/30, giugno 01 /03 /05 /07 /14 /16 / 18 /20 /22 /24 /26 /28.
Regia di Robert Carsen. Traduzione di Francesco Morosi. Scena di Radu Boruzescu. Costumi di Luis Carvalho. Musiche di Cosmin Nicolae. Movimento di Marco Berriel. Disegno luci di Robert Carsen e Giuseppe di Iorio. Assistente alla regia Stefano Simone Pintor. Assistente scenografo, Alison Isabel Walker. Con: Giuseppe Sartori (Edipo), Fotini Peluso (Antigone), William Caruso (Abitante di Colono), Rosario Tedesco, Clara Bortolotti (Ismene), Massimo Nicolini ( Teseo), Paolo Mazzarelli (Creonte), Simone Severini (Polinice), Pasquale Montemurro (Messaggero), Elena Polic Greco (capi coro). Coro: Andrea Bassoli, Guido Bison Sebastiano Caruso, Spyros Chamilos, Gabriele Crisafulli, Manuel Fichera, Elvio La Pira, Emilio Lumastro, Roberto Marra, Jacopo Sarotti, Sebastiano Tinè. Seguito di Teseo: Samuele Cannoni , William Caruso, Andrea Catalano, Christian D’Agostino, Carloandrea Pecori Donizetti, Pasquale Montemurro, Daniele Sardelli, Federico Valentini. Seguito di Creonte: Gabriele Esposito, Salvatore Mancuso, Lorenzo Patella, Tommaso Quadrella. Coro di Eumenidi: Clara Borghesi, Carlotta Ceci, Federica Clementi, Alessandra Cosentino, Ludovica Garofani, Gemma Lapi, Zoe Laudani, Arianna Martinelli, Beatrice Ronga, Francesca Sparacino, Sandre Siria Veronese, Arianna Angioli, Allegra Azzurro, Claudia Bellia, Carla Bongiovanni, Margherita Cinardi, Anastasia Cino, Maria Rita Sofia Di Stasio, Virginia Giannone, Alessandra Giovannetti, Gaia Lerda, Giulia Maroni, Angelica Rampin, Erika Roccaforte, Gioia Maria Sanfilippo, Maria Clelia Sciacca, Sarah Gisella Simeoni, Francesca Totti.

Foto Franca Centaro e Michele Pantano