In “CHANGES”, spettacolo diretto da Thomas Ostermeier visto alla “Biennale Teatro” 2025, da una parte c'è la forma, la sintassi teatrale che si costruisce sulla 'persona', sul confronto/scontro cioè tra maschera e attore, tra il suo corpo in scena e
l'immagine che scaturisce dal suo travestimento continuo, semplicemente con un oggetto, un arredo di scena o di vestiario, che lo deforma trasformandolo in continuazione in personaggio; un attore per innumerevoli personaggi che nella percezione dello spettatore diventano spesso anche di più di quelli 'recitati' nella rappresentazione drammaturgica.
Dall'altra c'è il contenuto, la sostanza drammaturgica linguisticamente declinata attraverso questa forma, una sostanza che in essa forma 'decanta', filtrata e fermentata come mosto o come lievito, nel vivo e vitale contenitore dell'attore e della sua presenza.
È un equilibrio complesso e difficile quello del palcoscenico quando è vissuto nell'intimità profonda della creazione letteraria e scenica, che suggestivamente ci ricorda quanto diceva la grande attrice ottocentesca Adelaide Ristori di Eleonora Duse, che le sembrava camminare sulle sue assi come su un tappeto di serpenti, oppure, come ci ha ricordato il Direttore Dafoe, l'invito di Richard Foreman a muoversi “come se il palco fosse coperto di vetri rotti”.
Questo confronto/fusione è il filo sospeso in cui come un funambolo si muove Thomas Ostermeier, il pluripremiato regista tedesco della berlinese “Schaubühne”, alle prese con “changes” l'affascinante drammaturgia di Maja Zade che propone, nella sua 'forma', un caleidoscopio di personaggi chiamati a trasformare sé stessi “anche molto rapidamente, a volte nell'arco di una sola frase”.
Una sfida attoriale inconsueta che i due bravissimi protagonisti Jörg Hartmann e Anna Shudt, tornati nello “Schaubühne ensemble”, vincono tanto efficacemente da raddoppiare, per così dire, la 'posta in gioco' con il pubblico presente in sala, uscendo a volte dallo stesso 'personaggio' per ridere inconsuetamente di una propria battuta o per dare indicazioni al soprattitolista distratto, in ritardo nel cambiare la scritta.
Con un effetto 'alienante' e perturbante che, lungi da infastidire, come ci si aspetterebbe in tali circostanze, gli spettatori, che al contrario ridono insieme a loro, li trascinano sempre più profondamente dentro al senso, alla significanza consapevole e alla suggestione della rappresentazione.
La regia di Ostermeier prende nelle sue mani la narrazione e dentro una scenografia semplice ed efficace ci apre la porta di una cucina qualunque in cui, una mattina qualunque, una deputata e il marito, ex avvocato riciclatosi per quello che oggi si chiama “bornout lavorativo” in maestro elementare, fanno colazione ciascuno prospettando a sé e all'altro i compiti e le aspettative della giornata che si apre davanti a loro.
I due si lasciano ai compiti di quella giornata, di cui ovviamente non raccontiamo il caledoscopio di emozioni, di incontri e scontri che la caratterizzano per entrambi, per ritrovarsi la sera in quella stessa cucina.
“Changes” è il resoconto, tra il documentario e l'immaginazione, di come la giornata appena trascorsa abbia cambiato i due personaggi/persona e il loro rapporto.
Uno sguardo, quello della drammaturga e del regista, esistenzialmente e psicologicamente 'intimo' ma insieme 'sociale' nel senso che questo termine aveva in Enrik Ibsen, nel solco di una tradizione del teatro di area germanica, da Thomas Bernhard e Elfriede Jelinek, tradizionalmente duro e concreto ma insieme, come la lingua teatrale che usano, anche pieno di slanci e suggestioni filosofiche capaci di una sorta di 'metafisica della vita comune'.
È, infatti, questa drammaturgia una straordinaria immersione nell'oggi, nel nostro oggi occidentale, con le torsioni etiche dei suoi principi cardine e lo sfarinarsi di una condivisione di giudizi (kantianamente intesi), di principi, di aspettative e di desideri così profondamente deformatisi fino a farci 'perdere' non solo il paradiso ma anche la terra sotto i nostri piedi e l'inferno che sotto di essa si nasconde, emergendo con la violenza della e nella società e con le sempre rinnovate guerre tra 'bande' che insanguinano il mondo.
Ma con la parola della 'normalità' che ci appartiene.
Lo spettacolo è in tedesco, con soprattitoli in inglese e italiano come detto, ma l'accorto uso della voce e della presenza scenica riesce, anche per la bravura degli attori, ad anticipare nel suono il significato che andremo a leggere.
Uno dei più convincenti spettacoli della rassegna.
Al Teatro Goldoni di Venezia, nell'ambito della Biennale Teatro 2025, in prima nazionale il 7 e l'8 giugno.
“CHANGES” di Maja Zade. Regia Thomas Ostermeier. Scenografia Magda Willi. Costumi Nehle Balkhausen. Musica Sylvain Jacques. Video Sébastien Dupouey. Drammaturgia Maja Zade. Design luci Erich Schneider. Con Jörg Hartmann, Anna Schudt. Produzione Schaubühne Berlin. Con il sostegno di Heinz und Heide Dürr Stiftung.