Per quale motivo gli spettacoli di Rosario Palazzolo colpiscono così tanto pubblico e critica? Perché, nel raccontare la realtà, essi attingono un livello di autenticità (se non proprio di verità) così profondo che connota questi lavori come esperienze di
conoscenza e di emozione. E da dove nasce questa profondità? Nasce dal fatto che ad essere attaccato, nella sua strutturale artificiosità e, subito dopo, nella sua pretesa di naturale normatività, è il linguaggio. Ecco, negli spettacoli di Palazzolo le strutture linguistiche (lessico, grammatica e sintassi) vengono analizzate e smontate (certo si potrebbe dire: decostruite) per renderne scoperta l’artificiosità e la derivazione culturale e di potere. Ovviamente tutto questo ci porterebbe molto lontano e non è una recensione il luogo giusto per riflettere su queste cose o per ricordare gli argomenti di pensiero intorno ad esse. Però, siccome una recensione è (consapevolmente) un pezzo di critica, non c’è dubbio che questa decostruzione del linguaggio, questa ricerca di autenticità così ostinata e ricca di pietas per l’umano, sfida e mette in discussione, anzi deve sfidare e deve mettere in discussione il linguaggio di chi si confronta con questi lavori e prova a raccontarli e giudicarli. Ed è una verifica onesta e salutare. È il caso dunque di scrivere solo cose e di evitare, per quanto possibile, la solita e trita aggettivazione passepartout che abita (e spesso infesta) con qualche pigrizia l’elaborazione critica. Meglio solo sostantivi, semplici, semplici semplici. Parole che dicono cose, solo cose.
Tiger Dad è il nomignolo che affibbiano, per crudele derisione, a un ragazzino di paese o di quartiere e lo chiamano così, anche se lui veramente di nome fa Gabriello. È affetto da un deficit intellettivo e, cresciuto in un “orfanotronfio” e forse programmato con l’“intelligenza superficiale”, resta solo, sostanzialmente estraneo alla comprensione e all’amicizia degli altri. È calmo, è pacato, è buono, ama la musica e le canzoni, è bello con la sua maschera da uomo tigre, vuole andare a sanremo, in fondo è uno “scemo lieve” e vuole scrivere la canzone d’amore di uno scemo lieve per una “sordamuta totale”, farsi conoscere insomma, farsi conoscere nel “socialmondo”, farsi amare dalla gente “intelefonita” che invece lo deride senza pietà. Però Tiger Dad allo stesso tempo fa paura perché, quando si toglie la maschera, certo può sembrare un “padrepio” ma anche diventare feroce e inquietante, può commettere un errore, un errore grave, essere condannato e finire male. E lo commette l’errore grave. Ed è condannato senza pietà, senza sconti, senza appello. Perché ad essere condannata non è la sua azione e nemmeno la sua condizione di “scemo lieve”, no: ad essere condannata è la sua innocenza insopportabile, la struttura innocente della sua condizione che lo lascia innocente anche se ha commesso un delitto, la sua alterità innocente che non è compatibile né componibile rispetto al contesto di marciume morale e politico in cui vive. In tutto questo l’attore Salvatore Nocera, con la sua figura di orco, si muove (ed è diretto) con naturalezza nel percorso che articola il personaggio, si muove con velocità e consapevolezza e si muove con una precisione, segmento per segmento, che non è solo quella del professionista della scena ma sembra animata da una pietas sostanziale. Una pietas che è tipica del teatro di Palazzolo (drammaturgo, attore e regista) e che, per essere autentica e politica, non può che attingere la crudeltà e la durezza del comico. Ecco l’architrave di questa esperienza teatrale ed ecco il nodo di questo spettacolo: si ride per amaro paradosso, si ride perché si dovrebbe piangere per il dolore e per la vergogna. C’è solo un aspetto che non convince di questo specifico lavoro: il suo protrarsi, abbastanza a vuoto e con debole motivazione, dopo la fine dello sviluppo dell’azione. Un inserto, probabilmente volto a ribadire ulteriormente il velenoso (seppure dolciastro) milieu di sotto cultura dove è nata, continua a rinascere e si sviluppa la violenza (agita e subita) di Gabriello e in cui si è incagliata e persa, quasi in un loop senza senso, la sua vita.
Castrovillari, Festival Primavera dei Teatro 2025. 31 maggio 2025, Teatro Sybaris.
Tiger Dad di Rosario Palazzolo. Con Salvatore Nocera. Musiche originali e effetti di Gianluca Misiti. Video di Pietro Vaglica. Costumi di Mela Dell’Erba Aiuto regia: Angelo Grasso. Luci, scena e regia: Rosario Palazzolo. Produzione: Ama Factory e Cattivi Maestri Teatro. Con il contributo del: Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale e Europeo. E con il patrocinio del: Festival del Torto.
Foto Angelo Maggio