Il processo che si è tenuto nel tribunale di Napoli non molto tempo fa, e che ha avuto tra i protagonisti un’attrice, dal nome qui fittizio di Rosa D’Esposito, a mio parere, essendo stato testimone diretto di una delle udienze, resterà a lungo nella
memoria dei fattacci criminosi legati alla malavita camorristica della città partenopea. Ancor di più, inoltre, caro lettore, ho avuto l’idea di registrare alcuni passaggi, alcuni significativi stralci dell’udienza tramite il mio smartphone, che qui riporto secondo la registrazione, parendomi così che anche a te lettore forse sembrerà di vedere la scena stessa davanti agli occhi della tua immaginazione.
Non a caso parlo di “scena”, giacché una delle imputate, per falsa testimonianza, appunto Rosa D’Esposito, rea di non aver denunciato come testimone un camorrista assassino, è una ancor giovane attrice di teatro, cinema e televisione, non molto conosciuta dal grande pubblico, capace in sede di udienza di “recitare” e di muoversi come su un palcoscenico.
Nella registrazione verbale ho cercato quasi sottovoce di indicare chi prendeva la parola, in modo da orientare qualsivoglia ascoltatore, (e anche, in futuro, me stesso, evitando vuoti di memoria): nella presente trascrizione, in corsivo indico appunto i vari parlanti, dall’amica di Rosa, Alba, agli avvocati, ai magistrati. In tondo riporto il testo della lunga testimonianza di Rosa.
Infine, non vorrei che quanto qui riporto per iscritto, venga seguito come fosse uno spettacolo, tutt’altro, il clima della seduta è stato di grande tensione, espressione anche di una grande sofferenza interiore, di un disagio portato ad un limite estremo. Quel giorno Rosa D’Esposito ha espresso tutto il suo sfogo, la sua dolorosa testimonianza.
Il presidente della giuria dà la parola a Rosa, che si rivolge prioritariamente all’amica Alba.
“I' t'aggio... oh, si... t'aggio... t'ag... gio a parla' E... pure ...
pure... (rivolta ai presenti) a vuie!
Pure... pure... pure, a voi! 'O vi'? Sole... Noi... oi... oi...
sole! Ch'è ... succiesso!? Io de... devo... devo parlare... ecco... si
cà e mo... qui... e... ades...so.
Devo dire... parlare... gridare,
lo... sai, Alba? “.
Presidente della Giuria:
“La prego di parlare il più possibile in italiano standard, lasci perdere il dialetto napoletano, la ringrazio.”. Rosa riprende il suo intervento.
“Io devo... e voglio parlare! Certo, anche in italiano, sono un’attrice!
Solo io, ho visto l'uomo che amavo, colpire l'uomo che tu, Alba, amavi...
con la forza di un dio,.. un dio che decide della sorte dei suoi… dei suoi… si… camorristi”... oh Cristo!... con odio, con un: addio...
Ѐ la legge del più forte! Quella che chiude alla vita le porte. Segue le sole regole dell'ego... Quella legge che vi prego, per carità, di maledire... per la sua cecità... Io sola ho visto il mio uomo, o mia amata Alba, uccidere il tuo!
‘O so, ‘o saccio, nella città l'inferno, negli animi un eterno inverno... una guerra dell'uno contro l'altro... a che servirà il mio lamento!?... Il mio sgomento?... io so che un amico fraterno ha ucciso un fraterno amico... “Storia di camorristi” direte voi... Ma tutti ci ritroviamo in tale inferno... santi e farabutti...”.
Il Pubblico Ministero invita Rosa ad entrare nel merito della sua testimonianza, evitando giri di parole, moralismi, e quant’altro.
Rosa si rivolge agli astanti.
“Voi, anime belle, teneri ed ingenui cuori, padri e madri di misericordia, figli devoti e fratelli nel sangue, a chi, qui e ora, soffre piange e langue, dite, qual è il “bene” di tutti, dov'è se c'è; ditemi se c'è e dov'è e cos'è l'amore che danza, dei cuori, nella segreta stanza, l'amore che spira ed ispira clemente come vento che muove dolce la mente.”.
Brusìo degli astanti, del pubblico non scarso che sta seguendo l’udienza. Rosa viene interrotta dal suo avvocato.
“Signora, il collega l’ha invitata ad essere più aderente ai fatti, senza retoriche e tirate poetiche. Ciò nel suo interesse. Grazie.”
“Il mio uomo ha ucciso il tuo, scannato come un bue, uccidendo così anche noi due... divise per sempre non saremo più niente: Nihil! Nothing! Nada de nada! Nichts! Nulla!...”
Singhiozza e respira a fatica.
“Siamo come due formiche schiacciate... ci chiamavano “sorelle”, anime gemelle, appaiate come bianche mammelle... ora siamo come due insetti, due puntini neri.... Tutto è accaduto per amore! Maledetta fu quella sera che incontrammo i nostri uomini!... Maledetti il lungomare, il giardino, dove incontrammo boss affermati, potenti, e... droga, montagne di soldi e potere... Tu dicevi che l'ammore è un tiranno assoluto, e i due “ganzi” erano lì per noi, e per sempre... due furfanti, due banditi aitanti... ma tu dicevi che tutto da quel giorno poteva cambiare, anche loro due... Il tempo passò, e li avevamo sempre al nostro fianco, superbi... eravamo un poker d'assi! Un quartetto energico d'amore! E su e giù per paesi e città, pieni di soldi... Hotels e suites, five stars, super lusso... Ti ricordi Sergej, il grande boss russo? Gli anelli con topazi che ci regalò? Tutto merito di quella bianchissima “neve”!... Di quella... merce... merda... morte... Però noi non ne avevamo bisogno, in quella vita già di sogno!... Già... sogno del cazzo! Di due bestie, due pupazzi del male, dei loro segreti e maledetti intrallazzi...”.
Interviene di nuovo il Pubblico Ministero:
“La prego ancora una volta, di riportare la sua versione dei fatti. E poi qui non siamo a teatro!”.
Interviene immediatamente il presidente della Giuria:
“La lasci parlare come vuole e come le viene, saremo noi poi a sfrondare tutto ciò che non comprende rilievi giudiziari, o addirittura penali, nel caso, e in punto di diritto.”.
Rosa riprende il suo sfogo-testimonianza:
“Invece tutto è finito, come un muro sgretolato... sai: quel muro che ci vide giocare, pregare, ridere, assieme... ma da ora mai più assieme: tutto è ormai finito, tutto è oscuro... Non credi a quel che ti dico, amica mia? Mi credi pazza? Fantasiosa? Forse gelosa? Pensi a una miserabile storia di corna? Proprio fra di noi?... No, è tutto vero, reale, perché io, io sola, ho visto, non vista... Certo, dovevamo ascoltare i nostri genitori: “Lasciateli, sono due bastardi! Sono dei mafiosi, camorristi demoniaci, velenosi... Ebbero ragione, previdero da subito la nostra rovina!... Non vuoi credere, eh? A quanto io, non vista da nessuno, ho visto! Credi che il mio sia uno stupido gioco? Una fantasiosa invenzione? Lo sai, però, che è finito il tempo delle bambole! Ora siamo donne vere!... E tu ora sei una vedova nera, ed io, del male, impietrita messaggera!... Certo, all'inizio della storia, ci sembrava di essere padrone del nostro destino... tutto accadeva come un fuoco bruciante... superiori al bene e al male: chi poteva invece pensare al contagio di una lue che tutti infetta, all'infernale disprezzo e indifferenza della vita altrui, coltivati nelle anime nere dei nostri boss?”.
Un lungo silenzio, poi spinta dal suo avvocato:
“Te lo ripeto. il mio uomo duro, cattivo, furioso, ha ucciso il tuo:oh, se sapessi... lì, nella cantina, dopo ciò che ho visto ed ho sentito! in quell'angolo di vizio e bestialità... dovevo cavarmi gli occhi, come tappi di bottiglia! E quei tappi dovevo conficcarli dentro i miei orecchi, fino a farmi i timpani scoppiare e spappolare il mio stesso cervello...
Ero scesa, per puro caso, o forse chissà... giù per gli scalini... a metà scala li udìi: gridavano, ansimavano... proferivano terribili parole... minacce, maledizioni, cattive volgari schifose... Non capivo, non volevo capire, il perché di quell'odio improvviso, scostai appena la porta e vidi i nostri uomini in penombra, sudati come una donna nelle doglie, prede di una furia violenta: i volti tumefatti, le mani arrossate, le camicie strappate; si tiravano fendenti con colli di bottiglie frantumate.... Echeggiò un urlo improvviso:
“Io, io sono il capo!”, e poi silenzio, e, daccapo, urla, lamenti, bestemmie, e poi ancora silenzio, e poi un altro grido bestiale; mi girò la testa, caddi, e mi
ritrovai dietro la porta, senza respiro... Sperai che fosse la scena di un incubo ad occhi aperti; che fosse la mia testa impazzita... una fantasia malata...
Ma poi vetri saltarono in pezzi, con sordi colpi, pum... pum... pum... eppoi silenzio... sentìi un fruscìo, una corsa ansimante su per le scale, e poi ancora un angosciante silenzio. Mi tirai su, barcollante, arrivando al centro della cantina... vetri rotti dappertutto, vino rosso e sangue, sangue e vino rosso, madonna mia, che macello! E vidi lui, sì, il tuo amato, a terra... dio mio, il cranio spaccato, una mano rattrappita sul costato... mille vetri sul pavimento, un rosso pavimento... la sua fossa! Gorgogliava la sua bocca, schiumavano i suoi denti, bolle d'aria uscivano dalle sue narici... non saremo mai più felici! Gli toccai la fronte gelida, lo guardai negli occhi ormai lontani; non gli scorreva una goccia di sangue nelle vene del polso... era pallido come un marmo bianco, io stessa una morta al suo fianco, senza respiro, senza più pensieri, in balìa di quel terribile evento, come foglia al vento, come un pesciolino alla risacca... Solo l'immenso mare poteva lavare tutto quell'orribile sangue, e, magari, ridare la vita, col suo sole ardente chiudere e guarire le ferite della carne, col suo sale pulire ogni taglio aperto, come unguento naturale... E così, lasciarsi cullare dalle onde, al ritmo di una calma risacca: dolce culla, utero-sacca, fidate braccia, altalenante brezza, balsamica certezza, carezza; nella sabbia calda, nel fresco dell'acqua, chissà che vi sia una segreta felicità... E invece...”.