“Sed peiora parantur”, purtroppo. Di teatro ovviamente stiamo parlando, in primis del nuovo decreto ministeriale che regola i finanziamenti pubblici al teatro e dunque, venendo alla sostanza del 'conquibus', dei parametri quantitativi e qualitativi che ne
determinano, per ogni singola realtà o istituzione teatrale, dai 'Nazionali' in giù, l'entità.
Cattivi sono gli auspici che vengono dal mondo dei teatranti italiani o almeno dalla sua parte più attenta, dai Direttori agli artisti e ai tecnici, a partire da un elemento nuovo, un po' nascosto, ci auguriamo per vergogna, dentro il burocratese della “Commissione Ministeriale” voluta dal Ministro della Cultura (?) Alessandro Giuli.
Un elemento che alla fin fine determina i risultati, producendo una sorta di ribaltamento dello spirito che finora sembrava aver ispirato e 'formato' il sostegno governativo al Teatro e ai teatri italiani di ogni genere e specie.
Lo 'scopre', per così dire, e ben lo evidenzia Massimiliano Civica nella “Lettera di Intenti” che ha accompagnato la presentazione della stagione 2025/2026 del Teatro Metastasio di Prato che lui stesso dirige.
Questo elemento, maldestramente mascherato, è il concetto ora introdotto di “congruità gestionale” che anticipa e presuppone l'eliminazione dell'obbligo per i Teatri Pubblici finanziati dalla Stato di “proporre un'offerta di spettacoli di alta qualità e improntati al rischio artistico”, cui alla fin fine consegue l'eliminazione di ogni differenza tra “teatri pubblici” e “teatri privati”, i quali ultimi evidentemente molto più attenti hanno, infatti, già presentato domanda per accedere ai fondi ministeriali entrando così in concorrenza, anche qui, con l'ideologicamente 'abominato' “Servizio Pubblico Universale”.
Ma, si chiede al Ministero, cos'è codesta “Congruità gestionale”? È l'idea stessa di Teatro Commerciale (usuraio direbbe il povero Grotowski), cioè è, ed è economia 'spicciola' da capitalismo straccione, il rapporto tra il costo totale dell’attività e il numero di spettatori; è il rapporto tra gli incassi totali dell’attività e il numero di spettatori. È il dover fare 'profitto' anche in una attività artistica a tutt'altro destinata.
Perché se con l'arte ed il Teatro in particolare 'non si mangia' (come invece si fa sempre più spesso con le armi), però si nutre l'anima del singolo e della collettività e si preserva (al contrario delle armi) l'Umanità, preservandone l'umanità, ed è questo un valore (etico ed estetico) che non ha prezzo (economico).
Non solo però, in quanto in tutta Europa si sa fare un teatro d'arte che è anche capace di creare ricchezza e indotto.
Le conseguenze sono state prevedibili e immediate, a partire dal caso del Teatro 'ex' Nazionale di Toscana e della “Pergola” di Stefano Massini, che ha potuto godere di una più ampia visibilità, o dall'immotivata decurtazione di punteggio di ERT Emilia Romagna Teatro, per passare allo stesso “Metastasio” diretto da Massimiliano Civica, e a cadere, come una cascata, sulle più fragili spalle di teatri più piccoli che si sono visti tagliare fondi per la stagione o per le attività collaterali.
Una cascata all'apparenza 'neutrale' ma in realtà profondamente selettiva (portando alle dimissioni di 3 dei 7 membri della commissione stessa) che sembra andare a colpire soprattutto gli spazi e la creatività più eterodossi, quelli meno normalizzati e quindi soprattutto i giovani e la ricerca, quella 'ricerca' che per essere tale 'deve' essere quanto più possibile libera.
Ancor più evidente questa filosofia di tagli e scrematura (per far posto ad altri?) è nel settore dei Festival e della Danza, con casi eclatanti come quello dello storico “Santarcangelo dei teatri” cui il punteggio è stato dimezzato o quello del “Teatro Akropolis” di Genova cui non sarà più finanziato il festival di autunno “Testimonianze, ricerca e azioni”, il cui punteggio di qualità artistica è misteriosamente passato da 29 a 8,90 (10 il minimo) e che in 15 anni si era conquistato premi e visibilità a livello nazionale e anche oltre, oppure quello della Compagnia “Abbondanza/Bertoni” da tempo punta di lancia italiana nella danza internazionale.
Scrive, e condividiamo, al riguardo Clemente Tafuri, Direttore Artistico di Teatro Akropolis, con tutto lo staff: “Colpire Akropolis vuol dire colpire un modo di fare cultura, colpire chi mette a fondamento della sua vocazione la ricerca e la contemporaneità privando la Liguria e tutto il sistema teatrale italiano di una delle voci più innovative e radicali”.
Ma a scorrere il freddo elenco dei verbali ministeriali sono molti altri i casi di ribaltamento dei precedenti giudizi 'artistici', anche in contrasto con i riconoscimenti nazionali e internazionali (o forse proprio per questo), inspiegabile a parere dei più.
Forse che la colpa di tutti questi citati, e degli altri di cui cominciamo a sapere, è stata quella di promuovere un teatro di ricerca, di innovazione e di qualità artistica, sostenendo le giovani produzioni meritevoli e aprendo al teatro luoghi, località e fasce di popolazione prima escluse? Vorremmo non pensarlo, come vorremmo non credere che un altro loro peccato sia quello di non essere 'coerenti' con le nuove 'egemonie' di governo.
Come diceva Andreotti a pensar male si fa peccato ma ...
Certo è che qui non si tratta solo di artisti, ma anche di posti di lavoro e di un indotto già al limite della mera sopravvivenza economica.
Può darsi, come molti pensano, e alcuni dicono, che questa situazione sia in fondo il frutto di anni di politica teatrale al ribasso e di una negativa abitudine al compromesso del settore che ora, in mano a nuove egemonie (sempre più 'arroganti'), mostra tutte le conseguenze di un nuovo spoils system che punisce gli sgraditi e apre ai più graditi (non solo politicamente parlando), ma ciò non toglie il plumbeo che da oggi circonda il teatro e la società italiana.
Al riguardo, cercando di fare chiarezza anche prescindendo da una lettura di 'schieramento' che certamente non riguarda tutti quelli che hanno mantenuto o migliorato il punteggio, ciò che preoccupa è la 'tendenza' dell'attuale politica culturale italiana che attraverso lo strumento del “Fondo per lo spettacolo dal Vivo” tende a privilegiare alcuni aspetti del mondo teatrale a discapito di altri, quali in particolare quello della 'ricerca' e della 'innovazione' dei linguaggi e quello della 'inclusione' che presuppongono, soprattutto in territori periferici o sfavoriti, tempi lunghi e spesso nessuna immediata ricaduta economica.
Al di là di tutto, proprio per quanto si è detto e scritto da molte parti, questa può e deve essere una occasione per discutere del presente e soprattutto del futuro del Teatro Italiano, per raccogliere idee e proposte utili e, se necessario, lottare per giuste risoluzioni.
La Società nel suo complesso e quella teatrale in particolare è, spero e credo, in grado di farlo per preservare, insieme alle comunità di riferimento, il proprio teatro, il buon teatro.