Dalla prima metà di luglio alla fine di agosto, ininterrottamente dal 1950, Dubrovnik - la Ragusa dalmata - ospita la più importante manifestazione artistica e culturale della sponda orientale del Mare Adriatico. Cinquanta giorni di musica, folclore,
danza, concerti, vernissages e mostre di ogni bene, presentazioni di libri e teatro, tanto teatro dai monodrammi a produzioni kolossal. Il tutto nelle vie, piazze, giardini, chiostri, cortili, palazzi; dentro e fuori le mura prerinascimentali, ma rimesse in piedi dopo il rovinoso terremoto del 1667.
I primi organizzatori della manifestazione, che venne chiamata "I giochi estivi ragusei" (Dubrovacke ljetne igre) furono il regista e teatrologo zagabrese Marko Fotez e il direttore d'orchestra Lovro von Matacic, di Sussak, la Fiume austriaca, di là dal ponte della Fiume ungherese, poi italiana, jugoslava infine croata. Mi piace ricordare del Matacic, che raramente permetteva ai sovrintendenti che lo ingaggiavano, nel mondo, di affiancargli dei registi: le regie le faceva lui, spesso avendo come principale collaboratore, quale scenografo e costumista il veneziano Misha Scandella.
Fortezza e Matacic ricevono l'input direttamente dal gabinetto del Maresciallo Tito. L'idea guida era di fare di Dubrovnik, visto che già aveva una qual tradizione, oggi diremmo turistica, quanto a ospitare visitatori di tutto il mondo, ma soprattutto abbienti e mediamente molto acculturati (negli anni Trenta, in epoca monarchica, Dubrovnik fu sede di un congresso mondiale del PEN Club e di vari simposi scientifici internazionali); insomma la neonata Federativa popolare se ne voleva servire come di una finestra, da cui guardare e farsi vedere ai mondi dell'arte). Inizialmente, a farla da padrona fu la musica: grazie alla fama di Matacic e ai minori costi di ingaggio di singoli artisti rispetto ai corposi complessi teatrali. Rubinstein, Askenasi, Richter, Karajan, Rostropovic, Menuhin, Oistrach, Stern, Gillespie... Con gli anni, arriveranno anche le grandi orchestre, comprese le big band del jazz, come quella di Duke Ellington con il suo fondatore. E i grandi complessi di danza contemporanea, come il gruppone di Bejart, quello di Pina Baush.
La prosa, negli anni Cinquanta vede come ospiti pochi teatri stranieri; tra questi, il Piccolo di Milano, con l' "Arlecchino, servitore di due padroni" di Strehler-Moretti. Soprattutto si mettono in scena i grandi classici del passato, nonché i contemporanei che ancora non riescono a entrare a pieno titolo nei repertori nazionali: Beckett, Ionesco, Sartre, i maggiori nomi della letteratura drammatica jugoslava (che poi, sono tutti croati: Drzic/Darsa, Vojnovic, Krleža, Matkovic).
Dai Sessanta in poi, grazie ai maggiori stanziamenti statali ma anche al fatto che il teatro non è più "roba" di nicchia, a Dubrovnik calano l'olio Vic e la Shakespeare Company, il Teatro Nazionale di Atene e i maggiori complessi francesi: quindi Shumann con i suoi Bread and Puppet, Lindsay Kemp, ecc.
E siamo all'oggi, dopo parecchi anni di buoni spettacoli, ma niente di tale, fino a che la prosa del Festival, dall'anno scorso non capita nelle mani dell'attrice e regista di Spalato, ma attiva ovunque, Senka Bulic la quale ripone in un cassetto le ambizioni registico-recitative e mette in campo l'esperienza di organizzatrice.
Saltiamo di pari passo il suo splendido debutto dello scorso anno, che è stato talmente buono da far decidere ministeri e autonomie locali di darle carta bianca.
Sicché quest'anno, I Giochi presentano tre prime e tre riprese, per una ventina di rappresentazioni (il tutto esaurito era all'ordine del giorno già il mese scorso).
Le prime.
Aprono "Le baruffe tra pescatori", ossia "Le baruffe chozzotte" goldoniane in chiave, idioma e linguaggio, raguseo. La regia e del prolifico, ma mai noioso, anzi di una iprevedibilità unica, Kresimi Dolencic. Tra i protagonisti, un veterano del titolo (in carriera ne ha fatte già tre), Josko Sevo e Ksenija Prohaska, un'attrice che "vanta" tre carriere soprattutto teatrali: una jugoslava, una hollivudiana e una croata. Quest'ultima la vede tutt'ora girare l'Europa e gli States con il monodramma con musica, "Marlene Dietrich", recitato in cinque lingue, italiano compreso (nel 2006, a Cividale del Friuli, Moni Ovadia, allora direttore di Mittelfest le dette il Premio Adelaide Ristori, come migliore artista donna della manifestazione).
La seconda premiere è "Medea", di Hainer Muller, diretta dallo sloveno di Maribor, Martin Kusej. Ma la grande attesa non riguarda nè il testo, nè la regia, nè la pur bravissima protagonista femminile, Helena Matanic, bensì il Giasone di Uliks Fehmiu, figlio dell'indimenticato Bekim Fehmiu, mitico Ulisse della grande produzione RAI del 1967.
Terzo debutto, il cechoviano "Gabbiano", che già sulla carta fa impressione un Cechov estivo in riva al Mediterraneo. La regia è di Janusz Kica, polacco di scuola tedesca e passaporto croato.
Tre sono pure le riprese. La più attesa, "Equinozio" del raguseo Ivo Vojnovic vissuto tra Ottocento e Novecento. La regia è del citato Dolencic. La coppia attorno a cui si svolge l'azione scenica è formata dagli attori Zrinka Cvitezic, la quale negli anni di permanenza a Londra, negli anni Dieci-Quindici, fece il pieno di premi della scena inglese, tra cui il Laurence Olivier Award, e Goran Visnjic, che almeno una volta all'anno monta su un palcoscenico in Croazia, altrimenti è stabilmente a Los Angeles, dove si affermò una quindicina di anni fa, subentrando a George Clooney nel serial "E.R".
Seconda ripresa e... secondo Goldoni, "La bottega del caffè", anch'essa riadattata e inserita in una Dubrovnik austro-ungarica, protagonista un attore che da un paio di anni è considerato il più robusto della generazione dei trenta-quarantenni, Marijan Nejašmić Banić.
Ultima ripresa, la scespiriana "Tempesta".
Se si pensa che Dubrovnik conta intorno ai 40 mila abitanti, che la capienza media di ogni spazio scenico è di 500 posti, che dunque il "sold out" riguarda 15 mila spettatori, beh come non felicitarsi per lo stato di salute generale della scena croata. D'altronde, non potrebbe che essere così, con il tipo di organizzazione e con l'entità degli stanziamenti. Per dire, Zagabria (un milione di abitanti) ha otto teatri Stabili pubblici, due privati; posti a sedere, 400-600, l'un per l'altro. I singoli titoli restano in cartellone una decina di volte i primi due anni, poi scemando (da tenere presente che le Stabili contano fino a 20 attori stipendiati di due anni in due anni - il Teatro Nazionale ne ha 45 - quindi le riprese sono tutt'altro che macchinose, sia finanziariamente che organizzativamente e ciò vale per ogni città croata). Certo, il Paese ha poco meno di quattro milioni di abitanti. Ma anche Roma ha i medesimi numeri eppure...
A prescindere, stiamo uscendo dal seminato. Buona estate teatrale a tutti.
