Quest'anno, chissà perché (i motivi sono conosciuti solo dalla Commissione Ministeriale apposita) i creatori/coltivatori di questo Festival delle Valli Inguane alla sua XVI edizione, ha dovuto fare a meno dei contributi MIC, ma grazie alla Compagnia
San Paolo, agli Enti Locali e alle realtà del territorio, anche quest'anno dà i suoi frutti e continuerà, per fortuna, a farlo anche nei prossimi difficili anni.
Sono “I frutti della Passione”, sottotitolo della edizione di quest'anno, “frutti pulsanti, frutti incendiari, frutti vitali”, che maturano grazie non solo ai finanziatori ma soprattutto alla fatica degli organizzatori Kronoteatro e Terreni Creativi, dai quattro Direttori Artistici, Francesca Sarteanesi e Maurizio Sguotti (teatro), Francesca Foscarini (danza) e Manuele Roberto (musica), a tutti i tecnici, all'Ufficio Stampa e comunicazione di Elena Lamberti e giù giù all'intero staff, giovani volontari compresi.
Così, anche se concentrato in un solo fine settimana (dal 31 luglio al 3 agosto), ad Albenga e dintorni si sono potuti ancora vedere begli spettacoli che sanno dare il giusto spazio ai giovani e alla ricerca, drammaturgica, coreografica e musicale, ma che, come di consueto, però non è il nuovo 'fine a se stesso' ma bensì, come l'uomo sulle spalle del gigante della Tradizione, è in particolare un guardare un po' più in là, o forse anche un po' più dentro l'oggi, senza perdere di vista l'ieri ed il domani.
In fondo è questa la cifra che da sempre caratterizza questo festival, insieme alla immersione eterodossa nell'economia di una valle prospera e in una natura in cui la mano dell'uomo è da secoli evidente, suscitando onde che si diffondono e recuperando il senso della stessa parola 'economia', che etimologicamente è “il governo, o meglio la cura della casa”, la casa esteriore e la casa interiore in reciproco, e anche rivoluzionario in un mondo fatto di separazioni e muri, contatto.
Spettacoli ma anche 'discussioni', come quelle che hanno caratterizzato il convegno “Teatro, festival e rigenerazione dei territori” che si è tenuto, il 30 e 31 luglio a mò di introduzione o prefazione del Festival medesimo.
Sono stata ospite il 2 e il 3 agosto. Seguono alcune riflessioni critiche degli spettacoli visti.
FALLEN ANGELS / Michael Incarbone. Danza
La condizione di “Angeli Caduti” (Fallen Angels appunto) è molto più di una metafora, linguisticamente elaborabile attraverso la 'ragionevolezza' della parola, è una vera e propria condizione esistenziale dell'esserci, anzi è una spontanea, quasi fisica, 'proiezione psicologica' che caratterizza in profondità, e prima ancora di ogni consapevolezza, il nostro stare in rapporto al mondo, del essere 'nel' mondo. Incarbone, autore e coreografo apprezzato, tenta di mostrare questa condizione/proiezione attraverso la coreografia del corpo, quasi che questo potesse produrre una vibrazione comunicativa, una vera e propria 'frequenza' radio che incorpora e comunica una Umanità insieme sempre più frenetica e sempre più immobile e paralizzata. Le belle musiche originali di Edoardo Maria Bellucci assecondano e stimolano la ricerca di un momento di senso, di una pausa attesa ma inconcepibile. Un racconto fatto di gesti e movimenti danzati, tendenzialmente rotatori fin quasi ad una 'trance' in cui nessuno riesce più a credere, che la intensa Erica Bravini sa ben interpretare, anche nel significato di de-codificare.
Regia, coreografia e luci Michael Incarbone, performance e collaborazione alla drammaturgia Erica Bravini, musiche originali Edoardo Maria Bellucci, live set Gabriele Corti. Produzione PinDoc, co-produzione ALDES, Teatri di Vetro/Triangolo Scaleno, con il contributo di MIC e Regione Siciliana con il sostegno di Giacimenti-rete nazionale per l’emersione dei giovani talenti - Da.re. Dance Research, Kinkaleri - Spazio K, Diacronie Lab. Azienda Bio Vio, Albenga, sabato 2 agosto.
PIGIAMA PARTY / Collettivo Baladam B-side. Teatro
Non va mai dimenticato che, al fondo della sua essenza, il Teatro è anche la prima forma di 'virtualità' umana attraverso l'arte, ma anche che, come insegna Aristotele, la sua forza si basa sulla 'mimesi', cioè sulla rappresentazione/imitazione/immaginazione della realtà di cui è capace di mostrare l'esistenza (e con quella anche la nostra esistenza). Questa intelligente drammaturgia sperimenta questa forza, ancora intatta, messa a confronto con la 'virtualità' di oggi che con la 'realtà' (quella esterna del mondo e quella interiore dell'anima o della mente) sembra aver spezzato ogni legame. La sua arma, non ancora spuntata, è ovviamente l'ironia che qui usa il 'comico' quale meccanismo di 'divertente' smascheramento. Come in ogni 'metateatro' lo spettacolo parla di uno spettacolo che non esiste ma “che si dà per scontato che tutte le persone in sala abbiano visto”. Si apre così uno spazio (lo spazio veramente 'teatrale') in cui guardare la verità di noi, una verità che 'immaginiamo' spontaneamente e liberamente per poterne cogliere una inaspettata ma sincera 'appartenenza'. Un esercizio attraverso il quale le sbarre della gabbia della 'disinformazione', penetrate tanto in profondità da riguardare la nostra stessa identità, si spezzano mostrando ciò che ci riguarda sempre e da sempre, la nostra irriducibile umanità, che certo è limite ma, al contrario dell'iperdeterminazione che ci soffoca, è anche una identità non 'fittizia'. Un lavoro interessante in cui il drammaturgo regista dimostra una buona qualità di scrittura e gli interpreti qualità recitativa nella mimica e nell'uso della voce .
Ideazione Antonio “Tony” Baladam, Rebecca Buiaforte, drammaturgia e regia Antonio “Tony” Baladam, interpreti Alessia Sala, Giacomo Tamburini, Antonio “Tony” Baladam. Co-produzione Teatro Gioco Vita, La Piccionaia Centro di Produzione Teatrale. Azienda Bio Vio Albenga, per “Spazio Scenario” in prima regionale, sabato 2 agosto.
AQUILEE / Mattia Cason. Teatro
Alla ricerca dell'Europa, anzi delle molte Europe (“Aquilee” è il plurale di “Aquileia”) che sono alla fine 'una' in quanto molteplice, una unità che la storia ha smentito a lungo nell'esaltazione delle Nazioni (e delle guerre intestine) ma che resiste, a volte mostrandosi e tentando di finalmente essere. In questa drammaturgia coreografica, una vera e propria coreusi antica tra parola, musica e danza, nel segno di un Pier Paolo Pasolini ricercatore di sé e del mondo, la città friulana si fa universalmente metaforica, quasi la foce, con il suo antico e scomparso porto fluviale, di un fiume che ha le sue sorgenti nell'Asia, mitica ma anche geografica, diventa lo sbocco superiore di un tunnel che ha il suo inizio nel tempo e nello spazio della fenicia Tiro da cui Zeus/Toro rapì la principessa Europa (o forse fu un condiviso desiderio) per portarla in Grecia, centro promotore della nascente omonimo continente. Riconoscere la propria scaturigine, secondo Mattia Cason che di questo spettacolo è il bravo drammaturgo, coreografo e interprete, vuol dire riconoscere ciò che siamo, vuol dire rompere il muro con l'Oriente (nemico anche nei migranti) che abbiamo costruito, costruendoci, insieme, una falsa e tragica identità. Da Tiro ad Alessandria di Egitto, dalle spiagge fenice alle pianure mesopotamiche e alla biblica terra di Canaan, è un viaggio scenico che vuole andare oltre la narrazione storica pasoliniana cui si ispira, in cui il passato è lo scandalo per disvelare il presente e mostrare un futuro. Uno spettacolo complesso in cui le lingue e le scritture del lontano passato si alternano nella parola scenica al moderno esprimersi, ma trovando una non ordinaria unità nel gesto e nel suono della danza. Una scrittura quella di Cason affascinante e, pur nella difficoltà, sempre empatica, un solo che si fa duetto armonico nella danza con il bravo Amhad Kullab, spogliato della maschera animale che lo fa orso o forse Toro come Giove, mentre la fisarmonica di Paolo Forte sembra fare la sintesi di un rapido racconto che ha la forza della nostra speranza. Colto ma mai didascalico sfrutta fino in fondo la scena.
Con Mattia Cason, Ahmad Kullab ideazione, drammaturgia e coreografia Mattia Cason luci Jaka Šimenc proiezioni Omar Ismaili costumi Primož Klinc, Chiara Defant, Vladimir Vodeb. Azienda Bio Vio Albenga, in prima regionale, domenica 3 agosto.
DK RADIO FUNERAL PARTY / Tony Clifton Circus. Teatro
Qualcuno certo ricorderà Orson Welles che dalle onde della CBS terrorizzò l'America con il suo radiodramma tratto dalla “Guerra dei Mondi”. È diventato un topos scenico, la radio che con le sue trasmissioni fa da scenario al mondo, diventa la colonna sonora degli accadimenti talora determinandoli o solo influenzandoli. Nel segno del grottesco e del surreale, nella loro moderna torsione demenziale che è la cifra di “Tony Clifton Circus”, questo spettacolo rutilante e talora 'confuso' utilizza questo topos per raccontare il tempo dell'attesa che domina il nostro vivere moderno e quotidiano, dentro il non senso beckettiano che di attesa si nutre. Un dj sovrasta due indvidui perduti sulla strada della vita che, come tutti noi, cercano di riempire l'attesa con desideri e istanze che, individuali o sociali che siano, come ci insegna “Das Kapital” nelle sapienti mani di Werner Waas, sono alla fine surrogati, quasi sempre disattesi, della morte che, quella sì, inesorabile ci aspetta. Del resto il DJ Groucho è il figlio misterioso di quello stesso Karl Marx, riadattosi a tempi sempre più sfuggenti, tempi storici e tempi musicali che alla fine debordano allagando la platea trascinata nel ballo del conclusivo “funeral party”. Riempire l'attesa per riempire l'attesa è un rischio che i drammaturghi giustamente definiscono “lisergico e arteriosclerotico”, che è però anche il rischio di fallire l'obbiettivo. Bravi i protagonisti a volte però anch'essi abbandonati all'improvvisazione. È stato molto apprezzato soprattutto perché molto coinvolgente.
Di e con Iacopo Fulgi, Enzo Palazzoni, Werner Waas una produzione Tony Clifton Circus e SCARTI Centro di Produzione Teatrale d'Innovazione con il sostegno di Casa-Teatro Vallegaudia (PU) / Teatri Mobili (VT). Azienda Bio Vio Albenga, in prima nazionale, domenica 3 agosto.
Foto Luca Del Pia
