Ovvero il Festival “delle arti teatrali” giunto alla sua sesta edizione (dal 20 al 25 agosto) sotto la Direzione Artistica del bravo Leonardo Lidi. Ma soprattutto come rivela il suo stesso nome, tratto dal borgo che lo accoglie nel sud delle Marche e da quello
del suo omonimo patrono, San Ginesio appunto in entrambi i casi, un festival, unico forse, dedicato in particolar modo “All'arte dell'Attore”. Non solo per l'ambito premio custodito al suo interno, ideato da un attore poliedrico come Remo Girone, che tuttora presiede la Giuria, e che quest'anno è stato conferito a Mariangela Granelli, per la parte femminile, e a Davide Enia per quella maschile. Ogni Festival di Teatro, in fondo, ha una matrice particolare, una sorta di impronta genetica, un DNA che ne guida la genesi e l'annuale fruttificazione artistica, per le opere scelte e per la struttura complessivamente significativa.
In questo caso l'evento è nato in un luogo profondamente ferito dal tragico terremoto del 2016 come segno di rinascita di una comunità scossa che raccoglie le proprie energie per ripartire, cercando nell'arte teatrale un modo di 'dirsi' che non sia semplice rivendicazione ma sia un riallacciare i legami con il mondo, sia quello interiore che si confronta con il proprio dolore, sia quello esteriore che si ricostruisce dalle macerie pesantemente concrete.
Se tutti hanno saputo portare il proprio fattivo contributo un merito particolare va, per tutto quanto si è saputo e potuto fare, alla instancabile ideatrice del Festival, Isabella Parrucci che ogni anno ri-costruisce, spesso più velocemente della 'ricostruzione' istituzionale stessa, le condizioni, artistiche, politiche e necessariamente anche economiche affinché il festival di San Ginesio possa continuare ad accadere.
Anche grazie a lei il Festival di questo bellissimo borgo incastonato nei suggestivi, anche per la memoria collettiva, Monti Sibillini accoglie non solo gli spettacoli teatrali e il Premio, ma insieme incontri, approfondimenti e laboratori, per bambini (quest'anno dedicato al 'fare' marionette e burattini) e studenti attori, con le loro belle restituzioni.
Dunque il “Furore” che nel 2025 di questo evento costituisce il 'tema', si trasforma da sentimento cieco e alla fine impotente, in sentimento ed energia, come è giustamente scritto nella presentazione, “che arde dentro chi resiste, crea, si ribella all'inerzia e all'oblio, furore che si fa gesto, voce, teatro”.
Sono stata ospite dal 20 al 23 agosto. Queste le 'mie riflessioni critiche'.
PINOCCHIO / Teatro del Carretto
Quindici anni ma non li dimostra perché come tutto il grande teatro, a differenza della cinematografia il cui prodotto una volta nato tale resta, ogni rappresentazione è una rinascita nuova e sempre diversa. Ancor più nella ispirazione di questo spettacolo che adatta, a cura della brava Maria Grazia Cipriani, il romanzo di Collodi che appunto di una ri-nascita tratta. È Pinocchio, che Collodi chiama burattino ma in realtà è una marionetta (e la cosa non è come vedremo irrilevante), visto direttamente dentro Geppetto prima ancora che si faccia legno e poi carne, sotto il segno di una efficace e molto teatrale traslitterazione linguistica che trasforma gli attori stessi in marionette che sul palcoscenico della vita interpretano la ricerca di sé stessi. Gli attori/marionette così si muovono in uno spazio onirico ma paradossalmente reale, concreto direi come la materia (carne/legno) di cui sono fatti, in un processo di trasfigurazione che si muove dall'interno all'esterno (e viceversa), rendendo reale sulla scena ciò che Collodi ha potuto solo immaginare. Rendendo cioè finalmente 'creatura' il frutto della sua immaginazione. La narrazione, custodita fedelmente in ogni suo passaggio dallo spettacolo, è così l'evidenza scenica di un processo di mutazione, dolorosa come in ogni effettiva 'trasfigurazione' che non si fermi alla semplice trance, la mutazione dell'uomo che diventa sé stesso, rintracciando dentro l'involucro che ha casualmente ricevuto la 'causa' del proprio essere e del proprio 'esserci'. In fondo passando dal Socratico “Conosci te stesso” al Nicciano “Appropriati e sii te stesso”, nel segno di una rinnovata e consapevole autenticità che il bambino Pinocchio alla fine 'interpreta'. Uno spettacolo che è dunque un creativo ribaltamento di prospettive e così è in grado di rivelare ciò che in Collodi era forse inconsapevole o forse solo 'prudentemente' suggerito, come il dito rispetto alla Luna. Uno spettacolo molto bello in uno scenario suggestivo, uno spettacolo 'paradosso' che i bravi interpreti sanno rendere con grande spontaneità in ogni suo 'movimento' intensamente 'musicale'. Tutti eccellenti ma una menzione meritano Giandomenico Cupaiuolo, uno straordinario Pinocchio, e la Fatina Elsa Bossi, dalla dizione modulata in mille sfumature, che al posto dei turchini capelli propone una cuffietta azzurra dalle molte suggestioni. Sono marionette senza fili esterni, ma impegnati alla liberazione da quei fili interiori con cui tutti noi dobbiamo fare i conti. Uno spettacolo che finalmente ottiene da Mangiafuoco la grazia per Arlecchino.
Da Carlo Collodi. Adattamento e Regia Maria Grazia Cipriani. Scene e Costumi Graziano Gregori. Con Giandomenico Cupaiuolo, Elsa Bossi, Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Carlo Gambaro, Ian Gualdani, Filippo Beltrami. Suoni Hubert Westkemper.
Luci Angelo Linzalata. Foto di scena Filippo Brancoli Pantera. Produzione Teatro Del Carretto. Organizzazione MAT-Movimenti Artistici Trasversali.
Al Chiostro Sant'Agostino, giovedì 20 agosto.
ALTRI LIBERTINI / Licia Lanera
Avevo già visto questo spettacolo a Bologna eppure a volte, come insegnava il 'critico' Antonio Gramsci, è necessario riappropriarsi di ciò che di nuovo il tempo della contingenza scenica viene a proporci. Tra l'altro, a proposito di 'contingente', la pioggia improvvisa ha costretto la Compagnia a trasferirsi dai più ampi spazi del Chiostro Sant'Agostino a quelli più piccoli dell'Auditoriom, imponendo uno 'sforzo' non senza riscontri creativi. Venendo al bell'adattamento, e regia, di Licia Lanera dal famoso e 'scandaloso' (come la sua vita in fondo, e nel senso migliore del termine) libro di Pier Vittorio Tondelli, un racconto (auto)biografico ma non troppo e non solo, interessando il mondo che quell'esistenza ha circondato e anche assediato, lo spettacolo sa cogliere innanzitutto questa sensibilità 'aperta' che sa coinvolgere le generazioni, quella contemporanea a Tondelli e quella contemporanea a Lanera, ma insieme ad esse tutte le 'generazioni' precedenti e successive, in quanto sa essere 'progetto' e sguardo essenziale, sociale, politico e artistico, sul mondo. Una generazione 'mito' che diventa mito 'generazionale' dunque, sottolineato dalla doppia versione di un Vasco Rossi che, in accompagnamento alla narrazione scenica, canta (da giovane e oggi) “Siamo solo noi”, bandiera di molte generazioni. Lanera sceglie tre dei sei racconti del libro (“Viaggio”, “Altri Libertini” e “Autobahn”) costruendo in piena fedeltà ma anche con grande 'immaginazione' un 'suo' racconto, in grado di coinvolgere e trasfigurare, insieme a quella di Tondelli, la 'sua' biografia e la biografia dei tre attori che l'accompagnano, bravi ad assecondare la mescolanza e la fusione tra la propria memoria (la nascita, il rapporto con le madri e con la propria famiglia) e la Memoria del Tempo che trascorre. Sono ancora una volta Giandomenico Cupaiuolo (“Autobahn”), Danilo Giuva (“Altri Libertini”) e Roberto Magnani (“Viaggio”), tutti molto bravi che rispecchiano e si rispecchiano, in mimica, voce e movimento, nella sapiente recitazione di Licia Lanera. Un mondo di “giovani squinternati, incompresi e rifiutati”, come scrive il foglio di sala, che creativamente si fa 'maestro', capace di suggerire prima ancora di insegnare, ovvero per non 'dovere' insegnare. Alla fine quei giovani in mutande e 'liberi' si rivestono dei simboli (giacca e cravatta) della normale Società borghese, ma avendo potuto attraversare ribellione e critica, soprattutto verso sé stessi, piuttosto che adeguarvisi passivamente (e non è la stessa cosa). In altro contesto (anche sociale) viene alla mente il Nanni Moretti di “Ecce Bombo” e “Sono un autarchico” e le sue riflessioni sul rifluire innarrestabile, e talora anche riposante, della normalità. Bella scenografia, trapuntata di oggetti metaforici, belle le luci e il “sound design” per uno spettacolo che si impone.
Adattamento e regia Licia Lanera, con Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Licia Lanera, Roberto Magnani, luci Martin Palma, sound design Francesco Curci, costumi Angela Tomasicchio, aiuto regia Nina Martorana, tecnici di Compagnia Massimiliano Tane, Laura Bizzoca. “Sono un ribelle mamma” suonata dai Sunday Beens. Produzione Compagnia Licia Lanera, coproduzione Albe/Ravenna Teatro. Si ringrazia Compagnia La Luna nel Letto. Il testo “Altri Libertini” è edito da Feltrinelli.
All'Auditorium Sant'Agostino, giovedì 21 agosto.
DITTICO FASSBINDER / Leonardo Lidi
Rainer Werner Fassbinder, il drammaturgo e regista tedesco prematuramente scomparso nel 1982, da molti definito 'osceno' (ed osceno effettivamente lo è, etimologicamente parlando, ma proprio per la sua capacità di portare alla luce l'oscuro che si nasconde nell'anima umana) soggetto/oggetto scelto da Leonardo Lidi per due 'allestimenti' di fine corso dei suoi allievi del primo anno della Scuola del Teatro Stabile di Torino in due gruppi divisi, “Katzelmacher” e “Un anno con tredici Lune”. Fassbinder è soprattutto il 'tragico' parlato con la lingua del 'melodramma' come esibizione del sentimento, è l’osceno come ribaltamento tragico del melodramma, ovvero come riproposizione di un tragico, ormai non compreso e non tollerato/tollerabile, nel melodramma. Un atteggiamento formale cui corrisponde una disposizione narrativa, che traeva linfa dalla 'crisi' postbellica della Germania, estremamente attuale nell'oggi attraversato da analoghi fantasmi, tra guerre, migrazioni, esclusioni e violenze. Come dire che ancora una volta la Storia è una maestra quanto meno inefficiente e inefficace. Una scelta difficile forse ma per questo apprezzabile e illuminante.
“KATZELMACHER”
Una delle prime drammaturgie, e poi anche film, dell'artista tedesco, è una storia di provincia, di giovani perditempo la cui 'normalità' è sconvolta dall'arrivo di un diverso, un immigrato greco la cui 'sistemazione' suscita invidia, una invidia alimentata dalla gelosia verso Elisabeth che lo prende a lavorare con sé. Una doppia 'frustrazione' che provoca reazioni violente fino all'espulsione di quello che si ritiene un corpo estraneo, trasformato in 'capro espiatorio' proprio di quella stessa 'frustrazione'. Un gioco che si ripete inesorabile nel corso della Storia (il prima degli ebrei e il dopo dei migranti). Qui il drammaturgo, che la regia asseconda con passione condivisa, parte dall'ambiente sociale, dall'esterno/esteriore per precipitarsi nell'interno/interiore di ciascuno dei protagonisti con un effetto di smascheramento che colpisce a fondo. I giovani protagonisti, che già padroneggiano il loro ruolo scenico, percorrono il palcoscenico in 'agitazione', in una sorta di moto rotatorio che li intreccia tra loro con effetto centripetro. Si tratta come detto di un 'esito' che potrà man mano trovare un suo pieno perfezionamento, ma che già mostra qualità nella messa in scena e nella recitazione.
Regia Leonardo Lidi. Aiuto regia e movimenti Riccardo Micheletti. Con Giulia Boffa, Chiara Cappa Bava, Enrica Daniele, Marika Favilla, Andrea Guspini, Michelangela Marinelli, Andrea Madaro, Linda Morando, Pietro Nalesso, Dario Pensabene Bellavia. Traduzione Umberto Gandini. Produzione Teatro Stabile di Torino. In accordo con Arcadia & Ricono Srl, per gentile concessione di Verlag der Autoren. All'Auditorium Sant'Agostino, giovedì 21 agosto.
“UN ANNO CON TREDICI LUNE”
Questa è invece la riduzione di un breve film del 1978, scritto e prodotto in pochi mesi da Fassbinder nel dolore per la tragica perdita di un amico. Anche il procedimento narrativo è in un certo senso ribaltato rispetto al precedente spettacolo, infatti qui si parte dal dolore interiore e 'osceno' per illuminare man mano un contesto, il contesto sociale e storico, come già scritto, della Germania post/bellica in cui è esplicitamente coinvolto il rapporto con gli Ebrei, che sarà oggetto delle scandaloso ultimo lavoro di Fassbinder “I rifiuti, la città e la morte”. In questo breve racconto, poi, ricorrono i temi più cari e profondi a Fassbinder, l'amore e la transessualità vissuti però non tanto come piegature psicologiche dell'individuo, ma come stimmate, come ferite che rivelano il Tempo della Storia e l'Universo oscuro, dentro e fuori di noi. Anche qui Lidi sceglie di far muovere i suoi attori in quasi frenesia, una scelta non apprezzata da alcuni ma che forse intendeva registicamente segnare la sostanziale continuità narrativa tra i due spettacoli. Bravi anche qui tutti gli attori, per un buon esito complessivo.
Regia Leonardo Lidi. Adattamento di Francesco Halupka. Con Tommaso Rocco Arquilla, Angelica Beccari, Enrica Daniele, Flavia Federici, Alessandro Glorioso, Giovanni Marra, Edda Marrone, Giulio Nicotra, Sabri Ayoube. Produzione Teatro Stabile di Torino. In accordo con Arcadia & Ricono Srl, per gentile concessione di Verlag der Autoren. All'Audtorium Sant'Agostino, venerdì 23 agosto.
Foto Ester Rieti
