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Molteplici istituti scolastici di ogni ordine e grado offrono ai propri allievi il laboratorio teatrale come occasione di crescita e ampliamento delle proprie abilità linguistiche e comunicative. Ma all’interno del laboratorio si possono realizzare esperienze

di ulteriore importanza. Dall’affrontare grandi temi quali la pace, la cittadinanza attiva e l’ecologia, all’affinare specifiche abilità quali attenzione, memoria, concentrazione, problem solving, organizzazione spazio-temporale, autonomie e tanto altro ancora, il Teatro Ragazzi si offre all’età evolutiva come occasione sopraffina per potenziare tutto questo oltre a competenze quali l’empatia, la tolleranza alla frustrazione, il posporre la gratificazione, la collaborazione e il lavoro per il bene di tutti. 
Perché il Teatro Ragazzi non forma attori: forma persone.

Il laboratorio teatrale iniziato nel novembre del ‘24 e terminato ad aprile ‘25 è l’ultimo, in ordine di tempo, che ho svolto con quattro classi quinte della scuola primaria dove ho la fortuna di vivere questa meravigliosa esperienza. Tale cammino dura da quasi venticinque anni, in questo caso specifico in collaborazione con la collega Alessandra Sartori.
Il Teatro Ragazzi svolto a scuola ha una straordinaria peculiarità: accoglie tutti i bambini. Non solo chi ha genitori particolarmente sensibili all’arte e alla cultura, che scelgono di far sperimentare ai propri rampolli l’esperienza recitativa in uno dei numerosi laboratori o corsi presenti in città. Proprio tutti. Quelli a cui inizialmente il teatro non piace e affermano che mai lo avrebbero fatto se avessero potuto scegliere, salvo poi cambiare idea nell’arco di una sola lezione, evento accaduto un’infinità di volte; quelli che hanno la settimana talmente impegnata tra lo sport, l’inglese e lo studio di uno strumento musicale, da non riuscire in alcun modo a infilare un’ulteriore attività; quelli che non possono permettersi di sostenere il costo mensile di un corso a pagamento. E infine quelli che hanno già così tanti disagi e grattacapi nella propria famiglia da non poter proprio contemplare un’ora di teatro a settimana. Per questo è così importante fare teatro a scuola. Se non altro, per la più ovvia delle ragioni: tutti vanno a scuola. E ogni bambino, ragazzo, adolescente e giovane ha pieno diritto di godere di questa straordinaria occasione, di norma in grado di accompagnare e potenziare l’armonioso sviluppo dell’età evolutiva, come già esplicitato.
Ma torniamo all’anno scolastico 2024-25 e a ottantasette splendidi fanciulli, che stanno per affacciarsi alla preadolescenza, ovvero sono in procinto di diventare grandi. Probabilmente questo sarà l’ultimo periodo in cui vedrò tanti di loro. È un’occasione che non posso lasciarmi sfuggire per lasciare a ciascuno qualcosa d’importante, qualcosa che possa accompagnarli per gli anni a venire e possa fungere da rifugio, da risorsa nel mare delle avversità che la crescita comporta. Ma di cosa sto parlando? È presto detto: dei libri.  
Nel validissimo volume della neuroscienziata Michela Matteoli La fioritura dei neuroni, tra le altre cose si parla molto dell’importanza della lettura. L’autrice scrive:

“...noi possiamo effettivamente cambiare fisicamente la struttura del nostro cervello attraverso la lettura. Un buon libro migliora la memoria, la concentrazione, il ragionamento e la capacità di risolvere problemi. E lo fa perché aggiunge e rapporta sinapsi e perché potenzia i cavi attraverso cui viaggiano i dati”. 

E ancora: 

“La lettura lascia una traccia fisica, aumentando e rafforzando le sinapsi”.

Matteoli quindi fornisce spiegazioni fisiologiche e concrete all’importanza della lettura a tutte le età. Il capitolo illustra in maniera assolutamente chiara ed esauriente ciò che accade nel nostro cervello quando prendiamo in mano un libro e ci immergiamo in esso.
La lettura è stata pertanto protagonista assoluta del percorso sviluppatosi quest’anno, culminato con quattro spettacoli finali. 
All’inizio del nostro laboratorio ho invitato ciascun allievo a raccontare il proprio libro preferito a tutta la classe assorta in religioso silenzio. Si è dunque creato uno spazio-tempo diverso, denso di attenzione e stupore, di risate e commozione. Ma ascoltiamo le parole di Marco Baliani sull’importanza della narrazione:

“…ogni narrazione, al di là dei contenuti che veicola, e anche al di là delle intenzioni del narratore, ha sempre una funzione terapeutica, mette in relazione gli esseri, ne svela la comune umanità. Raccontare è sempre anche raccontarsi.”

Durante la pandemia e negli anni immediatamente successivi, l’età evolutiva ha vissuto momenti difficili, densi di imposizioni e privazioni che ne hanno impedito o quantomeno rallentato il naturale sviluppo. Inoltre la notevole fretta e caoticità in cui vivono le nostre città, l’eccesso di utilizzo di dispositivi elettronici dove le immagini corrono veloci senza soluzione di continuità, hanno contribuito a un aumento di disagi nelle nuove generazioni. Da ridottissimi tempi attentivi alla continua mobilità, da lievi disturbi d’ansia all’eccesso dell’eloquio, dalla mancanza di ascolto e comprensione al non rispetto delle regole sociali (e tanto altro ancora), innumerevoli sono le problematiche più o meno gravi che affliggono l’età evolutiva. 
Già durante gli anni precedenti avevo condotto il laboratorio teatrale come occasione sopraffina per allenare specifiche competenze e stemperare alcuni disagi. Durante questo ultimo percorso, l’ascolto delle storie (quindi l’attenzione uditiva che trasforma la vicenda in immagini vive nella nostra mente) ha avuto l’indubbio merito di allungare i tempi attentivi, di allentare l’iperattività, di implementare la working memory, di focalizzare la concentrazione sulle informazioni verbali (e non visive, per una volta tanto) che ci stavamo trasmettendo l’un l’altro.   
Terminata questa prima fase di immersione nelle storie, per ogni volume è stato  scelto un episodio o un capitolo che gli allievi hanno riscritto sotto forma di drammaturgia, con tanto di didascalie, personaggi, linguaggio verbale e non verbale, sperimentando in prima persona la trasposizione del testo da narrativo a scenico. Ogni copione veniva immediatamente recitato da compagni dell’autore o dell’autrice, così da verificarne l’efficienza e fruibilità. Con insolita maturità e tolleranza alle frustrazioni, tutti i ragazzi hanno colto e compreso le imperfezioni e si sono disposti a intervenire nuovamente sul proprio elaborato, affinché risultasse perfetto. Alla stregua di celeberrimi autori quali Pirandello o Eduardo, che scrivevano le rispettive commedie nella solitudine del proprio studio ma la sera stessa si accertavano (grazie agli attori della compagnia) della funzionalità delle pagine appena terminate, ecco che i nostri drammaturghi in erba hanno avuto l’immediata prova del nove della correttezza del proprio elaborato: gli attori che lo recitano in tempo reale e le reazioni del pubblico. Il teatro è parola che si incarna, battuta che prende vita, azione che accade di fronte ai nostri occhi, e tanto altro ancora. In un’epoca di fretta, eloquio ridondante o ridotto al minimo e conseguenti fraintendimenti, questo lavoro ha avuto l’indubbio merito di far riflettere ciascuno su quanto le parole, le pause, le intonazioni, i gesti siano fondamentali per veicolare il messaggio desiderato. E che senza la dovuta attenzione, è inevitabile che il pubblico comprenda altro da ciò che lo scrittore intendeva trasmettere. 
Ho quindi ideato quattro macro-storie che fungessero da contenitore e stimolo alla messa in scena dei libri dei ragazzi. Ciascuna di esse conteneva molteplici citazioni e riferimenti ad altri volumi ancora. Ecco che la prima drammaturgia si dipana in un vagone della metropolitana dove una misteriosa voce interrompe il viaggio dei cittadini e li tiene prigionieri, finché non sarà proprio il racconto di storie a salvarli (riferimenti a Dieci piccoli indiani di Agatha Christie e Le mille una notte, la storia di Sherazade). La seconda è ambientata in una scuola media dove giunge una nuova e perfida preside che impone talmente tante restrizioni da rendere impossibile la vita degli alunni, finché questi ultimi non trovano rifugio nei libri e una stanza nella quale possono fare quel che vogliono (riferimenti alla “stanza delle necessità” presente nella saga di Harry Potter, e al personaggio di Tata Matilda di Christianna Brand). Ancora, un gruppo di bambini che si appresta ad andare a scuola si accorge improvvisamente dell’esistenza di un supermercato sorto come per magia nell’arco di una notte. In esso si trovano solo cibi, bevande zuccherate e videogiochi. Una consistente porzione dei cittadini vi entra e vi resta intrappolata spendendo soldi in continuazione finché le commesse scoprono che la lettura permette ai clienti di liberarsi dallo stato ipnotico del quale sono vittime e ritornare in sé (riferimenti a Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo di Rick Riordan e Quando Lana è caduta in una fiaba di Ben Miller) ponendo fine agli sconsiderati guadagni di un direttore senza scrupoli. L’ultimo spettacolo vede due becchini affannarsi a scavare tombe per libri che giungono misteriosamente da ogni parte d’Italia e vengono sepolti perché ormai nessuno li legge più. Tre ragazzini giunti per caso nel cimitero si incuriosiscono e riprendono in mano i volumi, donando loro una seconda possibilità, una nuova vita. Dopo mille peripezie, i tre si risvegliano a casa scoprendo che tutti i loro amici hanno ricevuto un dono inaspettato durante la notte: un libro è apparso sul comodino o accanto alla tazza della colazione, insieme a una gran voglia di leggerlo (riferimenti a L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafòn e L’isola del tempo perso di Silvana Gandolfi). 
All’interno di ognuna delle quattro performance gli attori narravano e recitavano brani dai libri scelti in precedenza. Abbiamo dunque assistito a stralci di classici del secolo scorso come Tom Sawyer, I viaggi di Gulliver e Piccole donne, mescolati a nuovi classici del calibro di Harry Potter e il calice di fuoco e La fabbrica di cioccolato, inframezzati a una moltitudine di storie poetiche, divertenti, allegre e persino drammatiche come La mamma tatuata, Il Viola e il Blu, Piccione Picciò, Tibia e Biagio, non dimenticando la passione per lo sport con la biografia di Pelè, l’avvincente storia delle sorelle Williams e tante altre ancora. Spesso mi sono ritrovata a ringraziare i ragazzi per tutti i volumi che mi avevano raccontato e fatto scoprire.
Un libro non costa poi molto (se preso in biblioteca è addirittura gratuito) e in cambio fa doni preziosissimi. Regala momenti indimenticabili, fantasia, energia, idee, grandi avventure e profonde riflessioni, oltre a continue sinapsi, nuove connessioni neuronali nel nostro cervello. Implementa la memoria, aumenta il vocabolario, fa scoprire metafore e modi di dire, dona nuove stringhe linguistiche per dare voce alla sfera emotiva. Tutti elementi importantissimi, che continueranno ad arricchire le nostre giornate per l’intero corso della vita.
Leggere, dunque, e fare teatro donano benessere e strumenti preziosi.
Quale regalo migliore possiamo fare alle nuove generazioni?