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È uno dei più giovani festival della scena Italiana, non solo perchè conta alla sua anagrafe appena quattro edizioni, tutte animate dalla impeccabile direzione artistica di Claudia Cannella, e non tanto perché, come altri peraltro, impegnato verso la

generazione Under 35, quanto per lo 'spirito' che lo anima.
Uno spirito che riesce a trasformare quella specie di riserva indiana (le generazione U35 appunto) cui molti dicono di guardare con interesse da coltivare ma che altrettanti vogliono resti appunto una 'riserva' cui attingere, una risorsa da sfruttare, per il dopo istituzionale, e non una risorsa da valorizzare per quello che è e rappresenta.
Lasciate che i pargoli vengano a me dicono le 'scritture' e i bandi che seguono e promettono, invece Hystrio i 'pargoli' li va a cercare con un duro lavoro su tutto il territorio italiano, di lunga lena e lunga durata che occupa l'intera stagione. Ne risultano, scrive la presentazione, “un centinaio di spettacoli visti in tutta Italia. La scelta, sempre basata sulla qualità, ha dato forma a un palinsesto molto variegato per generi, linguaggio e forme: 10 spettacoli scelti con cura e passione”, per dare visibilità e offrire occasioni.
Un interessante punto di caduta di questo lavoro di scouting, sono poi le apprezzabili letture sceniche (sei in tutto) di “Situazione Drammatica/Progetto il copione” curate da Tindaro Granata, per quest'anno collaborato dal drammaturgo Renato Gabrielli.
Alla fin fine un ponte da costruire per superare il gap che tuttora 'resiste' tra le giovani generazioni, con il linguaggio di cui sono portatrici, e “un sistema teatrale in cui faticano ad inserirsi”, ci ricorda giustamente ancora Claudia Cannella, tema quest'ultimo affrontato nell'incontro di riflessione di mercoledì 17 settembre e appunto intitolato “Bridge the gap #2 – Un ponte sul futuro del teatro Under 35”.
A chiudere il meno giovane e assai prestigioso “Premio Hystrio” giunto felicemente al suo trentaquattresimo genetliaco, le cui varie sezioni hanno premiato insieme giovani e più maturi protagonisti della scena nazionale.
Sono stata ospite il 18 e il 19 settembre. Seguono le mie restituzioni critiche.

C19H2802 (O COME AVERE LE PALLE) / Riccardo Rampazzo-Lidi Precari. (Foto Luca D'Agostino)
Il titolo allude alla formula chimica del Testosterone ovvero, per usare la lingua della giovanile post/modernità, ad una sorta di algoritmo della virilità, cosa quest'ultima di cui in realtà ben poco si parla oggi. In effetti questo spettacolo vuole essere un viaggio su una fragile barca di pescatori, un attraversamento che come un arcaica prova di uscita dalla adolescenza ha come meta un 'mito', il mito del femminile, ambito come un miraggio e temuto come un imprigionamento. Un'isola, insomma, una suggestione che ricorda quella dell'omerica e bellissima Calipso e insieme a quella della ariostesca strega Alcina. Ovviamente come in tutti i riti di passaggio la mimetica contrapposizione del doppio maschile esige confronto, competizione e lotta sempre sul limite della reciproca identificazione. È una competizione che si alimenta di passioni da controllare ed elaborare e divisa irriducibimente tra gioia e dolore. L'adultità è per l'adolescenza spesso un 'mare incognito' di difficile navigazione e il femminile sembra il faro che quella navigazione può indirizzare al porto o far naufragare sugli scogli. La drammaturgia cerca meritevolmente di affrontare la questione da un punto di vista oggi insolito (quella dei giovani maschi) ma non sempre riesce a fare ordine, a dare una direzione precisa alla narrazione che a volte appare confusa al pari di ciò che vuole raccontare. Bravi comunque i tre protagonisti dentro un contesto drammaturgico ancora un po' da calibrare.
Scritto e diretto da Riccardo Rampazzo, con Leonardo Cesaroni, Eny Cassia Corvo, Paolo Sangiorgio, musica originale di Massimo Rusi, organizzazione Silvia Violante. Un progetto di Lidi Precari, produzione Pallaksch in collaborazione con Fortezza-est, con il sostegno del Centro Culturale Artemia, con il Patrocinio dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico e con il sostegno di Mittelfest2025. Spettacolo vincitore di Mittelfest Young 2025. Spettacolo vincitore del Premio della Giuria di MittelYoung 2025

QUELLO CHE NON C'È / Giulia Scotti. (Foto Elisa Nocentini)
O meglio quello che non si vorrebbe (consapevolmente o inconsapevolmente) ci fosse e fosse stato. I tabù non sono solo quelli arcaici ma sono anche ciò che ci accompagna ancora oggi e anche ciò che l'oggi si inventa per la sua (finta?) sopravvivenza. La morte è uno di questi e tra i più potenti, ma il suicidio ancor di più della morte stessa per la sua violenta carica di aggressività auto-indirizzata e così lanciata verso il mondo. Spesso la famiglia ne è la prima e principale custode credendo forse di difendere sé stessa da ciò da cui però non può essere difesa. Così il silenzio e l'oblio diventano un vuoto in cui l'anima continua inesorabilmente a rimbombare. Quello che la drammaturgia racconta è proprio questo, è la storia di una assenza sempre presente. Lo fa sfruttando il linguaggio proattivo del fumetto, usando cioè lo schermo a fondo scena come uno specchio in cui le parole si fanno segno e figura per meglio disegnare i contorni di quella assenza, per renderla finalmente consapevole. Giulia Scotti lo scrive utilizzando le parole di suo padre che si rivela e la rivela, lo dirige e lo disegna (è anche una brava fumettista) ma alla fine lo interpreta mettendosi in gioco senza (o per non) scivolare nell'autobiografismo. Così lo spettacolo è dinamico assai più del racconto e la sfuggente dimensione del sentimento può farsi, a teatro, condivisione.
Testo e regia di Giulia Scotti, collaborazione al progetto di Andrea Pizzalis, consulenza Alessandra Ventrella, con Giulia Scotti, disegno luci Elena Vastano, suono Lemmo, per INDEX Valentina Bertolino, Francesco Di Stefano, Silvia Parlani. Coproduzione INDEX, Tuttoteatro.com, residenza produttiva Carrozzerie | n.o.t, Ferrara Off Teatro, con il sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia; Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), Comune di Sansepolcro; Olinda/TeatroLaCucina
in collaborazione con mare culturale urbano; Ex Asilo Filangieri. Si ringraziano Antonio Tagliarini, Fabiana Iacozzilli, Francesco Alberici, Gaia Rinaldi, un ringraziamento particolare a Daria Deflorian per il sostegno al progetto. Spettacolo vincitore del Premio Tuttoteatro.com Dante Cappelletti 2023. Menzione speciale bando Odiolestate 2023.

MAMMUT OVVERO VITA E MORTE DI UN'A.I. / Fartagnan Teatro. (Foto Simone Infantino) 
Cosa resta di Umano e dell'Umano in un mondo che all'Umano è sottratto e all'Umano si sottrae come una irresistibile marea? Resta una dolorosa simulazione che non sostituisce i sentimenti ma sembra ricordardarceli scimmiottandoli e lasciandoci così un irriducibile nostalgia. Sappiamo che ci sono ma non sappiamo più dove sono, i sentimenti, e il ricordo diventa una ferita che nessun oblio riesce più a sanare. Questa bella e distopica drammaturgia, che ricorda “Effetto Rushmore” una vecchia pièce delle Albe e di Marco Martinelli altrettanto claustrofobica, se non direttamente l'ispirazione a Philip K Dick che l'animava, descrive l'oggi fingendosi un futuro che dell'oggi è la più mimetica immagine. Un uomo che non sappiamo quanto ancora uomo, Fred, vive rinchiuso in un appartamento su Marte lavorando cinicamente come agente immobiliare, nemesi del suo passato di giornalista d'inchiesta insieme all'amico morto. Per non essere solo si è circondato di automi tra cui Mammut che 'simula' quell'amico morto. È il modo migliore affinché la solitudine diventi invincibile, l'ultima vera natura dell'Umano. Questo sembra dirci la 'fabula' che appare senza alcuna speranza. In parte è certamente la metafora della condizione delle generazioni più giovani, di cui gli Hikikomori sono l'espressione estrema (fino a quando?), ma anche quella, dissociata, di tutti noi se ci lasciamo scivolare nel futuro senza consapevolezza. Una bella scrittura scenica e anche letteraria che gli attori interpretano con bravura e anche passione, ancor più in quel luogo e in quel tempo in cui la passione sembra essere stata dimenticata, e in questo 'tragico' passaggio scenico ciò può introdurre e rivelare forse la speranza che il sottotesto metateatralmente nasconde, irriducibile come l'Umanità che si confronta con la sua Macchina per non diventare essa stessa 'macchina' come qualcuno vuole.
Drammaturgia di Rodolfo Ciulla, regia collettiva di Fartagnan Teatro, con (in o.a.) Federico Antonello, Luigi Aquilino, Maria Canal, Andrea Sorrentino, Giacomo Vigentini (voce), responsabile di produzione Serena Tagliabue, con la supervisione artistica e organizzativa di Carrozzeria Orfeo. Produzione Fartagnan Teatro. Spettacolo vincitore del bando Giving Back 2024 di Carrozzeria Orfeo. Spettacolo vincitore del bando Theatrical Mass 2024 di Campo Teatrale.

K(-A-)O / Kenji Shinohe. (Foto Davide Barbafiera)
Una performance coreografica, con influssi dal Teatro di Figura, che già di per sé mostra come, nella nostra era social-digitale, la parola e il suo potere evocativo vadano sfrangiandosi e rischino di perdere il collegamento, come fili staccati e ormai sospesi, con il sentimento che dovrebbe alimentarle. Così il coreografo giapponese tenta di strutturare un collegamento, una derivazione nuova che recuperi nel segno quello stesso sentimento, una umanità che sembra perdersi. Gli emoji con cui si confronta e relaziona sono maschere e come tutte le maschere, da Pirandello in poi, possono nascondere ma possono anche rivelare ciò che sta 'sotto', che sotto di loro comunque continua ad esistere anche se fatichiamo ad esprimerlo. Quasi fossimo 'spaventati' dalla realtà che ci circonda e che interiormente ci 'possiede' sempre, poiché passione è patire essendo posseduti dalla più profonda e irriducibile natura 'umana'. È un tentare di ridare attraverso il corpo che danza profondità a quella che chiamiamo “comunicazione superficiale” semplicemente in quanto si sviluppa sulla superficie di uno 'schermo' guidato da un tastiera o direttamente 'toccato' dalle nostre mani. Se vogliamo ciò che appare una sfida modernissima in realtà è la sfida perenne dell'autenticità seppure sotto una forma linguistica nuova. Shinohe dunque si presenta in maschera e se ne libera, liberando prima sullo schermo e poi concretamente nella scena i segni di questo nuovo modo di essere del sentimento, lettere, segni, simboli da ricomporre come in un originale origami in movimento. Uno spettacolo interessante che porta su di sé anche la tradizione 'espressiva' dell'Estremo Oriente, basti pensare al teatro nō, ma che mostra talora, nonostante la bravura e l'impegno del danzatore coreografo, parti 'fredde' e 'raziocinanti' che ne frenano la condivisione empatica, quasi che la nuova lingua dei segni digitali avesse comunque perso per strada un po' della sincera emozione umana. Incapace com'è di esprimere integralmente, come l'espressione del volto che questa nuova lingua inevitabilmente scherma, ciò che sinceramente siamo.
Di e con Kenji Shinohe, luci di Cristina Fresia. Produzione Fondazione Sipario Toscana. Premio Eolo Awards 2025 per l’uso creativo dei diversi linguaggi della scena. Tra i best of teatro ragazzi 2024 – Eolo | rivista online di teatro ragazzi.