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Una delle precipue caratteristiche di questo forlivese Festival biennale, diretto da Cluadio Casadio e Ruggero Sintoni e giunto alla sua terza edizione, è quella di non rivolgersi solo al pubblico o alla platea dei critici e degli studiosi, ma anche ai produttori

di teatro, nelle diverse forme che tale funzione ha assunto oggi in Italia, a coloro cioè che per così devono poi 'scaricare' nelle stagioni successive le novità o le rinnovate suggestioni intercettate nei vari Festival estivi.
Non a caso “Colpi di Scena” è, per così dire un Festival di fine estate, in grado così di proporre o di nuovo sottolineare quanto gli organizzatori hanno selezionato anche tra ciò che è stato proposto nei mesi precedenti.
Fine a sé stesso dunque, ma anche finalizzato a dare concretezza produttiva ad intuizioni sceniche non solo dei più giovani, e naturalmente più 'fragili, vecchi e nuovi protagonisti o aspiranti tali del Teatro italiano.
Un Festival poco 'ideologico', nel senso che non cerca un'idea di teatro in mezzo a tante idee di teatro, e per questo assai aperto e ricettivo.
Una vera e propria 'vetrina' promossa da “Accademia Perduta/Romagna Teatri” e da “Ater Fondazione” che quest'anno, dal 22 al 25 settembre, ha voluto approfondire il lavoro dell’Artista, la sessualità e l’amore, l’universo femminile, narcisismi e mitomanie, abissi, fragilità e resilienze dell’essere umano. 
Sedici spettacoli di cui 11 tra anteprime e prime nazionali per parte delle quali, ospite dal 22 al 24 settembre, traggo alcune considerazioni critiche.

MISURARE IL SALTO DELLE RANE / Carrozzeria Orfeo
(altra recensione di Emanuela Ferrauto)
In un paese senza nome, isolato e nascosto da lago e paludi, la storia di tre donne. Se il tema centrale è l'elaborazione faticosa e incompleta di un lutto allora quel luogo assume metaforicamente le vesti dell'interiorità quando si distacca dal mondo e si introflette ma contemporaneamente genera una sorta di esteriorità proiettiva (e Freud c'entra eccome). Spesso il dolore produce fantasmi che possono anche prendere la forma di rane da addestrare, non potendo essere 'addestrato' il dolore medesimo. Pur manipolando come consueto gli strumenti dell'ironia e della comicità, questo spettacolo di Carrozzzeria Orfeo, porta  una ferita di fronte alla quale quella stessa ironia e quella stessa comicità appare inefficace. Così le tre protagoniste, una madre afflitta dalla tragica perdita della figlia, sua nipote che a quella figlia era legatissima, e l'ospite inatteso che giunge dalla città ('il mondo') per poi fermarsi, scoprendo forse misteriosi legami con quella morte, dialogano soprattutto con sé stesse più che tra loro. Efficaci comunque tutte e tre nella recitazione ricca di sfumature, e tra esse la giovane addestratrice di rane mostra una notevole vis comica. Uno spettacolo forte di intenzioni rimarchevoli, ma che, forse per la discrasia che si rileva tra forma espressiva e sostanza narrativa, mostra qualche incompletezza.
Drammaturgia Gabriele Di Luca, regia Gabriele Di Luca e Massimiliano Setti, con Elsa Bossi, Marina Occhionero e Chiara Stoppa, assistente alla regia Matteo Berardinelli, musiche originali Massimiliano Setti, scene Enzo Mologni, costumi Elisabetta Zinelli, direzione tecnica e luci Silvia Laureti – macchinista Cecilia Sacchi, realizzazione scene Atelier Scenografia Fondazione Teatro Due, realizzazione costumi Atelier Sartoria Fondazione Teatro Due, produzione Fondazione Teatro Due, Accademia Perduta/Romagna Teatri, Teatro Stabile d’Abruzzo, Teatri di Bari e Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival in collaborazione con Asti Teatro 47

UNO SPETTACOLO ITALIANO / Niccolò Fettarappa e Nicola Borghesi
(altra recensione di Laura Bevione)
Strettissima realtà, direi purtroppo, vista con gli occhi estetici del teatro, spesso più puntuti dello stesso slang della politica 'praticata'. All'orizzonte qualcuno (e sappiamo chi) vuole imporre una nuova egemonia culturale in cui, distopicamente recitando, non c'è più spazio per gli “spettacolini di sinistra”. Fingendo di praticare la principale e storica virtù italiana dell'adattarsi, che spesso assume le forme peggiori dell'ipocrisia, due 'teatranti' s'impongono di capire cosa sia la 'destra' oggi in Italia e cosa sia dunque fare teatro di 'destra' oggi, così da potersi addentrare nelle praterie del nuovo successo. Il risultato è paradigmatico e iperbolicamente disastroso (per tutti). Uno spettacolo di grande ironia che però svela anche qualcosa oltre l'attualità, e cioè una pericolosa tendenza dell'arte e del teatro a 'piegarsi' a improbabili nuovi padroni. “Franza o Spagna, basta che se magna” è detto popolare sempre in voga. Tutto anche a scapito, obtorto collo, della creatività e della libertà creativa. Bravi i due drammaturghi, registi e interpreti che si travestono, anche scendendo tra il pubblico e mostrando in quelle maschere la verità del volto dell'Italia di oggi.
Progetto, drammaturgia, regia, interpretazione di Niccolò Fettarappa e Nicola Borghesi, produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Agidi, Sardegna Teatro.