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Tre fratelli in uno spazio che divide e unisce; tre monologhi che non trascorrono mai nel dialogo diretto, tutt'al più si intrecciano su battute brevi che si rispondono indirettamente creando intensificazioni di ritmo. Divisi nello spazio scenico e

anche nel tempo del racconto (“attraverso una serie di confessionali” specifica la sinossi del testo), i tre svolgono le spire di un difficile passato familiare. 
Ciascuno dei fratelli è pronto a rievocare un'infanzia di disagio o di non detti rancorosi in famiglia. Adriana, la sorella terrorista che ha passato trent'anni in carcere; Renzo, architetto di successo; Franco, il preferito dalla madre (visto dagli altri come “il fallito”, colui che è rimasto in paese); ed è su questa antica  preferenza (la madre ormai non c'è più) che prolifera il rancore di Renzo per il non ricevuto amore.
Un famiglia di provincia, del Nord-est, con i suoi immaginabili riti mangerecci che si oggettivano in una predilezione alimentare di Franco per il formaggio, a sua volta riflesso del suo rapporto esclusivo con la madre. 
Il proverbio “la bocca non l'è straca se non la sa de vaca” diventa la chiave per i ricordi beati di Franco e per i rancori di Renzo. Il ricordo di un 'epica scorpacciata del primo, ragazzata causa di spiacevoli conseguenze per gli altri due, fa da leva a molte delle future incomprensioni tra fratelli. Si intravedono l'ombra di una madre avvenente che non ha lesinato le sue bellezze, anzi le ha esibite, e quella di un padre carabiniere, rigido e ottuso, antagonista perfetto della sorella che sceglierà la strada della negazione dell'ordine paterno.
Il testo scorre con qualche lentezza al principio, nella presentazione dei personaggi, poi prende il passo anche per indovinate accelerazioni nello scambio fra i tre.
La mise en espace assegna un luogo deputato a ciascun fratello lasciando libertà agli attori di gestire azioni minime pur nella costrizione causata dalla lettura del testo (con qualche parte a memoria): Franco al centro, seduto a un lungo tavolo che diverrà poi il suo catafalco; Adriana a destra, presso un tavolino sul quale gestisce vari effetti personali; Renzo sulla sinistra, in piedi davanti al leggio, elegantemente vestito. 
Franco è da sempre alle prese con una cronica depressione che si manifesta dapprima blandamente poi in modo più serio fino a fargli dichiarare che ad essa egli preferirebbe il cancro - sulla qual cosa sarà poi pienamente gratificato dalla successione degli eventi, che lo vedrà effettivamente ammalarsi. Tuttavia la depressione non gli impedirà di diventare a sua volta padre di famiglia, ossessionato da una bizzarra predilezione per il formaggio dai riflessi quasi incestuosi (quel suo continuare a rigirarsi in bocca il proverbio in dialetto, a suo tempo pronunciato con frequenza dalla madre, potrebbe aprirsi a interpretazioni eloquenti in questo senso).   
Alla morte di Franco tempo e spazio convergeranno intorno alla sua salma nella conferma della più totale divergenza fra i due fratelli rimasti, in quella che si presenterà come una reciproca inversione dei ruoli (forse l'unico vero colpo di scena della pièce).
La tensione tra i fratelli pare progettata apposta per creare scintille, contusioni, scontri. Si intravede cioè l'intenzione di allestire un pattern sperimentale accostando ciò che si respinge. La dimostrazione che sarà il personaggio più rispettabile e apparentemente più assennato a mostrare il lato più cinico e non la sorella terrorista, che si rivelerà invece la più disponibile a un vero incontro malgrado tutte le sue durezze, non soddisfa pienamente, benché si possa apprezzare l'efficacia della progressione drammatica che conduce all'incontro/scontro finale tra i due.
Viene da chiedersi se la ritrattistica familiare, che pare ultimamente al centro di molta drammaturgia e non solo, sia la sola strada praticabile o la migliore, come il primo premio assegnatogli dalla giuria sembra indicare. Rimane la nostalgia di testi che sembrino meno una traduzione scenica di una fiction cinematografica, che usino con maggior libertà i mezzi propri del teatro, che non sono sempre quelli di un naturalismo che imita, secondo cliché interpretativi ampiamente diffusi, la vita di tutti i giorni. 
Sappiamo che lo spazio del teatro è in grado di andare oltre la rappresentazione della vita minuta, che può esondare in dimensioni extra-realistiche, che può raggiungere la poesia alludendo e non rappresentando, trascendendo la mera successione di eventi o il disegno di caratteri o psicologie. Che può aprirsi al mito, alla leggenda, alla storia, alla dimensione lirica, in una trasfigurazione della realtà delle nostre piccole vite incapsulate tra biografia e geografia. A meno di non voler registrare con la scrittura un trauma violento a cui non ci si può certamente sottrarre con la trasfigurazione lirica senza cadere nell'ipocrisia o nell'inganno, ma non è questo il caso.
Quello che sembra mancare non è tanto la capacità di costruire una scena dove al centro stia la famiglia intesa - con giusta intuizione peraltro - come possibile ricettacolo di un male che oltre che personale si fa sociale (la scelta del terrorismo per Adriana, in questo caso specifico), ma la capacità di percepire e rendere quel qualcosa che pure, a ben vedere, si insinua sempre nella vita, anche nella più ordinaria o sofferta, qualcosa che si potrebbe definire, senza paura di retorica, il senso del mistero.

FRATELLI BENEDETTI, di Bianca Tortato
Testo vincitore del Premio Hystrio Scritture di Scena 2025
regia di Claudio Autelli | con Igor Horvat, Francesco Villano, Carlotta Viscovo
Teatro Elfo Puccini, 21 settembre 2025