Qualche mese dopo i fatti raccontati la giuria ha condannato ad un anno con la condizionale Rosa, per testimonianza incompleta e lacunosa. Pare che diverse persone da quel giorno l’abbiano sentita aggirarsi per le viuzze e i vicoli dei
Quartieri Spagnoli, soprattutto vicino al piccolo teatro, la Sala Assoli, fondato e diretto fino alla sua morte da Enzo Moscato: e specie di sera, invocando il nome di quella che era la sua grande amica-sorella, Alba.
Mi capita di leggere come notizie quelle che consideravo “voci”: sia sui giornali stampati che su diversi siti di cronache cittadine, vengono riportati alcuni particolari del comportamento della giovane attrice, uno fra tutti il suo invocare disperata il nome di Alba.
Telefono così a Mario, un mio amico giornalista e critico teatrale e cinematografico che scrive sulle pagine dedicate a Napoli di <<la Repubblica>> se ha qualche diretta testimonianza circa il comportamento di Rosa.
“Si, certo” mi fa sorprendendomi “l’ho sentita con le mie orecchie; sai che io abito ai Quartieri; la ragazza sembra quasi compiere un rituale tutto suo, in genere di venerdi sera, e molte persone gridando dalle loro finestre tentano di allontanarla; altre ascoltano e ridono; qualche persona cerca di parlarle, ma lei, chiusa in un mondo tutto suo e impenetrabile, non da retta a nessuno. Se per caso ti interessa, venerdì prossimo verso le 22 passa da me, Sali e dovresti poterla sentire. Va bene?... una sola domanda: perché t’interessa?”.
“Perché ho seguito il processo, occupandomi di cronaca giudiziaria, e piacendomi molto e seguendolo il teatro, come ben sai, ho voluto con attenzione in qualche modo studiare la situazione, il carattere, il pensiero di Rosa, rimanendone non dico “stregato”, ma in qualche modo attratto da una vicenda che nel mondo della camorra può essere normale, ma per noi, e soprattutto per una ragazza apparentemente onesta, che ha studiato, molto sensibile d’animo, almeno così mi è parsa, assume tutto un valore e un interesse molto particolari!”.
E Mario:” Io l’ho appena conosciuta, vedendola sulla scena in un paio d’occasioni; le ho anche parlato, dopo uno spettacolo, e devo dirti che mi è parsa una giovane attrice ancora forse immatura, come immersa in molti problemi, e piuttosto distaccata rispetto agli aspetti fondamentali del suo mestiere intrapreso da pochi anni, ma già con un certo successo di pubblico e attenzione degli addetti ai lavori. Comunque se verrai sarà un piacere!”.
“D’accordo, penso senz’altro di approfittare della tua gentilezza il prossimo venerdì, a presto dunque…”.
“Eccola” mi fa Mario “sta arrivando!”.
Mi sporgo il più possibile dalla finestra che dà sul vico in cui sta arrivando a passo lento Rosa. Si guarda attorno, si gira all’indietro, poi guarda in alto verso finestre e balconcini. Canta a bassa voce un’aria partenopea che a malapena si distingue: <<I te vurrìa vasà>>. Poi si ferma, torna qualche passo addietro gridando:” Io ti vorrei baciare! Capisci? Alba, ti voglio baciare, aro stai, ah? Non mi vuoi più vedere eh? Tu credi più ai signori della corte, eh? Non credi alle mie parole, no, tu non ci credi! E allora non sei più la mia amica sorella, non puoi pensa’ che io, io cu ‘e mane’ meje, abbia ucciso il tuo uomo, con le mia mani!? Mani di sangue dovrei avere io?”.
Una voce dall’alto di una palazzina grida contro Angela:
“Has fernut’e ‘e alluccà’?; e basta no, ogni venerdi sera sta nenia che scassa ‘a uallera! E sparisci!”.
E lei: “Sparirò, sparirò, sarò io a decidere quando, però; basta giudici che giudicano per me! E dite ad Alba che io non c’entro nulla con l’assassinio del suo uomo, ne sono sicura, FURONO AFFARI DI CAMORRA, Alba lo deve capire, e noi facemmo molto, ma molto male ad entrare nel loro giro, è STATA LA NOSTRA DEFINITIVA ROVINA: DOVETE TUTTI CAPIRE VOI CHE MI ASCOLTATE che il mio e il suo uomo erano degli A-NI-MA-LI!!!! E Alba deve capire che se il nostro amore si sciogliesse come neve al sole sul Vesuvio, moriremmo entrambe, dentro di noi, sempre che qualcuno non ci ghigliottini ben presto DEL TUTTO.”.
Una voce solitaria le grida “Canta!”. E lei, battendo a tempo su un tamburello, con un registro
vocale flautato, con un timbro simile a quello di una soprano lirica:
“Scetateve guaglione ‘e bona vita / ca è assai preziosa ‘sta serenata /i’ songo innamorata ‘e
na bambulella / ch’è ‘a femmena / cchiù bella ‘e sta cittààààà….”.
Un’altra voce femminile si ode da una palazzina: “E bbasta, falla finita!”, mentre molti
lampioni della strada si spengono all’improvviso, e la camicia tutta bianca di Rosa la mostra
come fosse il fantasma di se stessa, come smaterializzata, imprendibile, lontana.
Io e Mario ci guardiamo, tra il sorpreso e l’interrogativo, quando si sente come uno sparo:
ci riaffacciamo e Rosa non c’è più, sfiorita in un inverno terribile dell’umanità.
