Ubu ormai non è più un personaggio, se mai lo è stato, ed è più di un 'mito', Ubu è un luogo tanto ben definito da risultare sconfinato, cioè senza confini, tanto 'banale' da essere il più 'eterodosso' e tanto consueto da diventare il più 'eversivo'.
Per un ispirato Emanuele Conte, direttamente da Alfred Jarry e indirettamente da Tonino Conte e Emanuele Luzzati, fondatori del Teatro della Tosse anche sulla pietra angolare di un tale personaggio, Ubù, con l'accento sulla u, un accento scivoloso e sfuggente come le dramatis personae che denomina, è soprattutto un doppio, esistenziale e distopico che paradossalmente 'anticipa' il passato per prefiguare il presente del nostro futuro.
Ubù dunque è “Padre Ubu” e “Madre Ubu” insieme, e contemporaneamente essi sono una realtà che è s-catenata in quanto portatrice di catene, una realtà 'immaginata' che si legge al presente della storia mentre la viviamo.
Così l'Ubu di Jarry, preziosa invenzione di una 'inattuale' goliardia eversiva, espressione scenica di una Patafisica inventata ma reale, io credo, scienza delle “cose impossibili”, si trasfigura per continuare a parlare di noi.
Questo Ubù di Emanuele Conte, che si svincola almeno un po' dai suoi antenati, è infatti un Ubu storicamente assai concreto, impastato, come è, nei gesti e nei pensieri di vecchi e nuovi desposti che popolano, grottescamente ridicoli ma anche tragicamente crudeli e spesso sanguinari, il nostro pianeta e che hanno oggi trovato una vecchia/nuova maschera con il volto di tanti contemporanei 'Presidenti'.
Un Ubù politico dunque, non potendo essere per sua stessa natura in alcun modo novecentescamente 'ideologico'.
Anche lo spettacolo, di cui Emanuele Conte cura la originale drammaturgia e la regia spigliata e leggera ma che guida con efficacia, è un doppio che si specchia tra la scena che ospita le tracce dell'avventura della famiglia Ubu (più tragica nella sua comicità della coppia shakespeariana Macbeth e la sua Lady) e l'avanscena che, lascito di ogni possibile avanspettacolo, accoglie i vecchi Padre e Madre Ubu alle prese con la lavatrice mediatica del 'politicamente corretto', cui non possono adeguarsi, dentro un talk show, 'guardone' come i tanti di oggi, per mano della sua giovane conduttrice (Sarah Pesca) molto trendy.
Ne emerge uno stimolante e politicamente liberatorio (come nella intenzione di Jarry stesso) contrasto di linguaggi e tempi scenici, tra apparenza e rappresentazione, che sondano la memoria che abbiamo e tastano, provocandoli, gli anti-corpi che dovremmo ancora avere rispetto alla violenza del potere, nonostante i continui 'salassi' degli anni e degli eventi più recenti.
Uno spettacolo piacevole che cerca di contrastare il rischio sempre presente della semplice riproposizione 'celebrativa' (sono cinquant'anni di buon teatro alla 'Tosse' dalla sua prima rappresentazione) per rinnovare senza tradire.
Conte cura anche la bella scenografia che ricorda quelle cantine sottosopra in cui abbiamo confinato e protetto, con i mobili, i ricordi della nostra vita, che fatichiamo a mettere in ordine ma che sono comunque confidenti e oniricamente generatrici.
Il confronto/dialogo si estende infine agli stessi attori di due diverse generazioni ma tutti all'altezza, i nuovi (Marco Taddei è Ubu padre e Antonella Loliva Ubu madre) che riprendono le vesti degli Ubu abbandonate in quella cantina mentre i vecchi Padre e Madre Ubu, rispettivamente i bravi Enrico Campanati e Susanna Gozzetti li guardano dalla gabbia di uno studio televisivo, smentendosi tra di loro e contestando in continuazione la 'narrazione' (così si dice adesso) che il mondo vuole 'appioppargli'.
Alla fine, mentre la scritta lampeggiante “Applausi” ci ricorda dove siamo e chi siamo diventati, gli attori, diventati tutti Ubu, come i virus di un morbo 'risanatorio' e 'risarcitorio' si diffondono tra il pubblico in platea, magari finalmente vaccinandolo.
Belli i costumi di Daniele Sulewic e Daniela di Blasio (cuciti nella Sartoria del Teatro, e le sarte meritano per una volta un applauso) che, nell'ovvio segno della “Giduglia”, si rifanno a quelli storici ma riescono a sapientemente rinnovarli. Efficace il disegno luci di Andrea Torrazza.
Una sfida al passato (e anche al presente), proprio e del Teatro della Tosse, quella di Emanuele Conte, che il pubblico ha apprezzato con lunghi applausi.
Alla Sala Trionfo dei Teatri di Sant'Agostino di Genova, la prima il 16 ottobre, poi in scena fino al 26.
UBÙ, RE SCATENATO–prima nazionale. Drammaturgia e regia Emanuele Conte, con Ludovica Baiardi, Enrico Campanati, Pietro Fabbri, Susanna Gozzetti, Antonella Loliva, Sarah Pesca, Marco Rivolta e Marco Taddei. Scenografia Emanuele Conte. Costumi Daniéle Sulewic e Daniela De Blasio. Disegno luci Andrea Torazza. Regista assistente Alessio Aronne. Scenografo assistente Luigi Ferrando. Oggetti di scena e assistente scenografia Renza Tarantino. Macchinisti Fabrizio Camba, Marco Lubrano, Amerigo Musi. Elettricisti Davide Bellavia, Matteo Selis. Fonico Massimo Calcagno. Attrezzista Mara Giordo. Direzione tecnica Roberto D’Aversa. Assistente ai costumi Marta Balduinotti. Sarte Rocio Orihuela Perea e Viviana Bartolini. Stage Denise Stuppia. Produzione Fondazione Luzzati Teatro della Tosse.
Foto Donato Aquaro
