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Una scatola di legno scura è abbandonata in un angolo dimenticato, dentro c’è la pallina verde che Maureen ha sequestrato tanti anni fa al piccolo che giocava in strada. Anche la vita di Maureen è come questa scatola scura. La sperduta e affascinante

natura irlandese diventa la cornice di un recinto ancora più claustrofobico, la casa che Maureen divide con sua madre Mag. Piccole meschinità quotidiane, la rabbia che cova sotto gli oggetti sbattuti e le parole spezzate, la violenza che vorrebbe esplodere ma si trattiene. 
Al Teatro Franco Parenti di Milano (via Pier Lombardo, 14, fino al 2 novembre) va in scena Martin McDonagh, acutissima penna contemporanea che sa scavare nei cortocircuiti dell’esistenza con una personale sintesi di dramma, grottesco e humor nero (“Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, “In Bruges”).
E’ la storia di un vicolo cieco. Maureen ha avuto una vita (psicologica) travagliata. Ci ha provato, è crollata, la madre Mag l’ha accolta a casa. Giudizi, svalutazione, paura di perdersi senza mai essersi veramente trovati. La catastrofe incombe all’orizzonte, chi sia il cattivo e chi sia il buono non è dato scoprirlo in modo definitivo perché così va la vita, che unisce l’angelo e il demone dentro di noi, ogni giorno. Mag è una donna lamentosa, aspra ma anche spietata pur di tenere legata a sé questa figlia, impedendole di vivere la propria esistenza. E se all’orizzonte si presenta l’amore, il sabotaggio è la via necessaria per preservare il tritacarne domestico. Ma sarà a costo della vita.
Maureen non riceve una lettera che le cambierebbe la vita, Maureen vorrebbe partire per l’America col suo Pato e gli manda tanti baci alla stazione, Maureen si racconta la sua verità. Ne ha bisogno per vivere, ma non riesce davvero a vivere.
Poi la metamorfosi, la sua voce, i suoi gesti e financo quella sedia a dondolo in mezzo alla casa che sono stati di sua madre, che sono stati sua madre. 
E’ l’antica maledizione di Edipo, il destino incombente non può essere evitato e la scelta vera, libera è un’illusione negata a tante anime tormentate, rinchiuse nel loro vicolo cieco. L’illusione accenna a volersi trasformare in esistenza ma ripiomba nel labirinto della mente, che uccide la possibilità di cambiamento.
La vita sembra fatta di vincenti e di talentuosi, ma poi ci sono loro, quelli che non ce l’hanno fatta, rinchiusi in un dramma archetipico senza via di soluzione, che può solo perpetuare sé stesso nella propria necessità.
Ambra Angiolini fa benissimo il duro gioco dell’equilibrista, oscilla tra generi recitativi diversi, sarcastico, drammatico, delirante. Ivana Monti è la matrona perfida e disperata, riesce a unire dolore e livore in un’unica battuta con maestria inaudita. A rendere ancora più straniante la percezione, sono le scelte registiche dell’ormai espertissimo Raphael Tobia Vogel, che ama giocare con una scenografia ambivalente, lo sguardo che sfugge ai verdi pascoli montani ma poi si scontra con lo squallore di una grigia di disperazione. Elegia irlandese psicanalitica.

Foto Le Pera