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Se è ormai evidente che la drammaturgia contemporanea si muove assai spesso, e in qualche modo ormai pacificamente, su strade che incrociano un’idea globale della resa scenica e dello spettacolo, ovvero nel solco della cosiddetta scrittura o partitura scenica, è anche vero che ogni tanto fa piacere incontrare uno spettacolo che ha al proprio interno la solida compostezza di un testo drammaturgico forte. E fa piacere tanto più incontrare una messinscena basata su un testo drammaturgico se questo è nuovo o se è tradotto in italiano per la prima volta. Parliamo qui dello spettacolo “La fionda” tratto dall’omonimo testo del prestigioso drammaturgo Nikolaj Koljada (classe ’57, una delle più autorevoli voci del teatro russo contemporaneo, mentre la traduzione è del Collettivo Tso), andato in scena a Catania dal 24 maggio al 3 giugno nel nuovo spazio del Teatro Machiavelli in Piazza Università. Lo spettacolo, realizzato dall’associazione “Ingresso libero” e diretto dal regista catanese Salvo Piro, vede in scena Fabio Balasso (in scena Il’ja), Liborio Natali (Anton), Pamela Toscano (Larisa) e Denis Boichuk (il musicista). Le musiche e i paesaggi sonori, interessanti e ben calibrati, sono del collettivo elettroacustico “Der string mit O”. Dicevamo della solida compostezza e – aggiungiamo – della profondità di questo testo di Koljada: la vicenda si svolge nel contesto urbano di un’alienata periferia popolare di una qualsiasi metropoli russa; il trentenne Il’ja, ridotto su una sedia a rotelle dopo un incidente sul lavoro avvenuto dieci anni prima, vive da solo in un piccolo e miserabile appartamento di proprietà in uno dei tanti casermoni di costruzione sovietica; la vita gli ha voltato le spalle e in qualche modo anche lui, intrappolato nelle sue acide paranoie e in una velenosa e impaurita impotenza, affettiva e spirituale prima che fisica, ha già voltato le spalle alla vita; cercheranno di scuoterlo da questo alienato torpore (è alcolizzato e pensa spesso di suicidarsi) Anton, un giovane che casualmente lo salva da un incidente automobilistico e che, frequentandolo assiduamente, ne diventa intimo e sincero amico, e Larisa, la giovane e sensuale vicina di casa che dice di amarlo, lo accudisce e vorrebbe farsi sposare; tutto inutile: alla fine Il’ja si suiciderà e porrà lui stesso fine alla speranza di una vita da vivere con pienezza come il sogno di un volo liberatorio. La regia di Salvo Piro costruisce lo spettacolo con delicatezza e attenzione analitica ad ogni piega del testo (desiderio frustrato e riaffiorante, amarezza, disillusione, solitudine, ricerca di autenticità, sradicamento, alienazione, veleno dell’autodistruzione), cercando non solo di dare ritmo, sostanza e peso d’umanità alla vicenda, ma sopratutto di assegnare ai personaggi una credibile complessione e di render evidente la complessiva sostanza metaforica e umanissima del testo.