Il teatro Eutheca di Cinecittà a Roma ha ospitato, in esclusiva italiana, dal 30 novembre al 5 dicembre Roberta Carreri dell’Odin Teatret di Eugenio Barba. L’attrice, insieme con Jan Ferslev, ha portato in scena “Sale” una pièce storica della compagnia danese, che è stata accompagnata da due giornate di laboratorio: “Orme sulla neve”, autobiografia teatrale di Roberta Carreri e “Lettera al vento”, spettacolo dimostrazione.
Mettendo insieme le parole del romanzo epistolare di Antonio Tabucchi, “Si sta facendo sempre più tardi” e la musica suonata sul palco da Jan Ferlslev, “Sale” racconta le vicende di una donna, che cerca disperatamente il proprio innamorato. È “una storia d’amore chiusa nella cornice del viaggio e del ricordo”, come la definisce Eugenio Barba nel programma di sala. Ma “Sale”, che è una produzione del 2002, realizzata dalla Fondazione Pontedera Teatro e dal Nordisk Teaterlaboratorium Odin Teatret, è anche una tappa importante del più ampio progetto di ricerca dell’Odin, che parte dalla parola letteraria per riscriverla in un linguaggio corporeo, fatto di musica e di danza. Abbiamo rivolto alcune domande a Roberta Carreri, che ci ha parlato di “Sale” e della sua realizzazione.
D: In “Orme sulla neve” lei offre una dimostrazione della propria pratica di attrice. Ci può parlare di questa esperienza?
R: Uno dei grandi temi del lavoro dell’Odin Teatret è sempre stato quello della trasmissione dell’esperienza, quando ad un certo punto ci siamo trovati ad avere più richieste di lavoro pedagogico rispetto a quelle che potevamo soddisfare, abbiamo cominciato a creare dimostrazioni di lavoro, ovvero spettacoli nei quali spieghiamo il nostro percorso di apprendistato all’Odin.
In “Orme sulla Neve” io racconto il mio training e il lavoro sulla creazione dei personaggi durante i miei primi 14 anni all’Odin, mostrando frammenti del lavoro su diversi principi basilari all’interno del training ed esempi di lavoro sull’improvvisazione e sulla composizione del personaggio con estratti da spettacoli.
D: In che modo le parole del testo di Tabucchi prendono vita sulla scena, attraverso la sua interpretazione?
R: Come in tutti gli spettacoli unipersonali dell’Odin Teatret il punto di partenza è sempre il lavoro dell’attore su se stesso, ovvero il risultato della ricerca che l’attore fa attraverso il suo training individuale. “Sale” è il risultato di una ricerca che io e Jan Ferslev abbiamo compiuto tra il 1996 e il 2001. Quando Eugenio ha visto il lavoro, nel marzo 2001, il nostro montaggio durava un’ora ed era composto da danze, musiche, scene con oggetti e testi. Avevamo anche creato una scenografia ed un semplicissimo disegno luci. Eugenio ha deciso di intervenirvi e di trasformarlo in uno spettacolo usando come trama la novella “Lettera al Vento” tratta dal libro di Antonio Tabucchi “Si sta facendo sempre più tardi” ed inserendovi anche frammenti di altre lettere tratte dallo stesso libro. In questo modo le parole di Tabucchi sono venute a sovrapporsi ad un montaggio di azioni pre-esistenti. Per dare senso a queste azioni, in relazione alle parole, questo sono dovute passare attraverso un processo di metamorfosi che le ha rese coerenti al testo.
D: Nella scrittura di “Sale” è stato fondamentale il ruolo di Eugenio Barba. Che tipo di interazione avete avuto?
R: Come ho già accennato Eugenio Barba è intervenuto su un montaggio che Jan ed io avevamo creato nel corso di 5 anni. Il suo intervento è stato determinante in quanto ha apportato al montaggio la storia. La sua regia ci ha permesso di uscire dalla sfera del lavoro individuale dell’attore e raggiungere gli spettatori ad un altro livello. La grande abilità di Eugenio è di trasformare il ferro in oro.
D: Al centro della scena c’è un unico personaggio femminile. Chi è la protagonista di “Sale”? E qual è il suo rapporto con il musicista che la accompagna?
R: La protagonista di “Sale” è una donna alla ricerca del grande amore della sua vita che è scomparso senza lasciare traccia. Il musicista che la accompagna può essere visto come il direttore di un ‘circo’ che presenta la storia di questa donna come un ‘fenomeno da baraccone’.
Foto di Tony D'Urso