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“La Mennulara”, romanzo d’esordio di Simonetta Agnello Hornby, nella riduzione e nell’adattamento curati a quattro mani dalla stessa autrice del romanzo e dal giornalista Gaetano Savatteri, ha inaugurato alla sala Verga di Catania la stagione 2011-2012 del Teatro Stabile etneo intitolata “ Donne. L’altra metà del cielo”.  Lo spettacolo in due tempi, per la regia di Walter Pagliaro, l’impianto scenografico di Giovanni Carluccio ed i costumi di Elena Mannini, della durata di circa due ore e mezza, è la fedele trasposizione scenica del best seller pubblicato dall’Agnello Hornby nel 2002, tradotto in dodici lingue e premiato con il premio Stresa nel 2003. La regia di Pagliaro mantiene l’impianto narrativo e ripercorre vita e morte di Maria Rosalia Inzerillo, la protagonista, detta appunto “la mennulara”, per essere stata in gioventù raccoglitrice di mandorle. La scena, che racchiude strade, terrazze, angoli di Roccacolomba, paese dell’entroterra siciliano in cui è vissuta la protagonista, non fa altro che incrociare, attraverso dei flash back, presente e passato, ripercorrendo vita e morte di Rosalia, detta “la Mennulara”. Attraverso la misteriosa, dura, drammatica, generosa vita della donna si raccontano anche le vicissitudini  de i componenti della famiglia di Orazio Alfallipe e di coloro che ruotano attorno alla famiglia servita dalla “Mennulara” sino alla morte. Ed in questo ambito familiare, l’autrice, il regista e gli attori in scena raccontano soprattutto caratteri, usi e costumi, arretratezze e smania di progresso di una Sicilia sempre ambigua, tra sentimenti arcaici e urgenze del boom economico. Lo spettacolo, così come il racconto dell’Agnello Hornby, inizia il 23 settembre 1963, con la morte e continua poi con il funerale, di Maria Rosalia Inzerillo, "criata", ovvero domestica, a servizio degli Alfallipe fin dall'età di 13 anni. In scena si delineano i caratteri dei vari componenti della famiglia Alfallipe, dal capofamiglia donnaiolo, dissipatore di patrimonio e amante dell’arte Orazio, alla moglie Adriana, timorosa e dipendente dalla “Mennulara”, alla figlia Carmela succube dell’interessato e violento marito Massimo, al fratello Gianni, tutti in attesa dell’eredità ben preservata dalla furba “criata”, capace di tenere in mano le redini della famiglia e di amministrarne il patrimonio, pur essendo analfabeta, ma con un animo nobile ed amante d’arte e musica. Nella storia si intrecciano anche le vicende, i commenti, i giudizi, di contadini, banditi, dell’amico di Orazio Alfallipe, il presidente Pietro Fatta, di padre Arena, del dottor Mendicò, del mafioso don Vincenzo, tutti espressione di una Sicilia maschilista e violenta, che a cavallo degli anni Sessanta dominava incontrastata l'entroterra siciliano e contro la quale l’umile ma forte “Mennulara” si era saputa opporre, da viva e da morta con carattere e personalità. Proprio la “Mennulara”, protagonista della vicenda, muove i fili delle persone che fanno parte della sua esistenza, fino ad organizzare una vendetta che va oltre la propria morte, prevedendo le reazioni di ognuno e per ognuno predisponendo un percorso obbligato. Il finale dello spettacolo è a sorpresa e suona come una sorta di testamento morale della donna che, a dispetto dell’ignoranza, conosce ed apprezza arte e cultura, con il senso di armonia e pace che trasmettono.  Sulla scena un cast di assoluta professionalità, capeggiato da una rigorosa Guia Jelo nei panni della “Mennulara” e da Pippo Pattavina nel ruolo del focoso amante Orazio Alfallipe, innamorato di Rosalia da ragazzo e fedele a lei fino alla morte. A completare il cast Ileana Rigano (la moglie di Orazio, Adriana), Mimmo Mignemi (don Paolino), Angelo Tosto (Pietro Fatta), Fulvio D'Angelo (padre Arena), Filippo Brazzaventre (Gianni Alfallipe), Valeria Contadino (Carmela Alfallipe), Emanuele Puglia (Massimo Leone), Camillo Mascolino (don  Vincenzo) e poi negli altri ruoli Yvonne Guglielmino, Raffaella Bella, Giorgia Boscarino, Alessandro Idonea, Raniela Ragonese, Sergio Seminara.  Lo spettacolo, ben diretto da Walter Pagliaro, con l’imponente scena di Giovanni Carluccio, le musiche di Marco Betta, i movimenti scenici di Daniela Schiavone, il disegno luci di Franco Buzzanca, pur funzionando nel suo sontuoso allestimento che mantiene l’impianto narrativo, accusa a tratti dei cedimenti e spesso i lunghi dialoghi, le parti cantate o musicali, i ritmi eccessivamente lenti, fanno abbassare nello spettatore la soglia dell’attenzione, compromettendo, quindi, la godibilità dello spettacolo. Una sfoltita di alcuni dialoghi o di qualche brano cantato o musicale non sarebbe certo dispiaciuta, anzi avrebbe reso lo spettacolo più snello e più dinamico nei ritmi.  Alla fine applausi degli spettatori in sala, per una produzione dello Stabile di Catania comunque impegnativa e di grande spessore e che verrà replicata nella sala del “Verga” fino al 23 dicembre.