Città e conflitto - Mario Martone regista della tragedia greca
di Alessandra Orsini
Bulzoni editore Roma 2005
170 pagg. € 12,00
Quello del rapporto del teatro militante con la drammaturgia greca è un problema che continua a rivelarsi d’inesauribile interesse ed assai fecondo d’implicazioni teoriche, estetiche e più concretamente legate alla prassi teatrale. Con questo problema, a partire dal 1987 e fino al 2004, Mario Martone s’è confrontato senza soluzione di continuità e con risultati importanti che esprimono con evidenza la misura del suo spessore di regista e d’intellettuale. Di questa vicenda artistica si occupa Alessandra Orsini in Città e conflitto, Mario Martone regista della tragedia greca, interessante saggio critico (premessa di Massimo Fusillo) che da qualche settimana si trova nelle librerie per i tipi di Bulzoni. Si tratta d’uno studio completo ed informato che analizza tutti gli spettacoli che il regista napoletano ha realizzato a partire da testi della tragedia greca. Li ricordiamo in ordine cronologico: il Filottete di Sofocle (Teatri Uniti/Festival di Santarcangelo, 1987), l’Ultima lettera di Filottete (Teatro Biondo di Palermo, 1987), La seconda generazione (Teatri Uniti, Teatro Biondo di Palermo, C.R.T. 1988); Oedipus Rex di Jean Cocteau nella traduzione latina di Daniélou (Orestiadi di Gibellina, 1988), I Persiani di Eschilo (INDA, Siracusa 1990), I sette contro Tebe di Eschilo (Teatri Uniti, Teatro Nuovo, Napoli, 1996), Edipo Re di Sofocle (Teatro di Roma, Argentina 2000), Edipo a Colono (Teatro di Roma, India, 2004). Abbiamo detto prima del problema del rapporto del teatro militante con la drammaturgia antica, ma forse sarebbe più esatto dirne non tanto come di un solo problema quanto di un grumo di problemi: quale rapporto c’è davvero tra noi (noi col nostro contesto storico, politico e culturale) e la produzione teatrale classica? cosa ci resta concretamente di essa e della sua straordinaria ricchezza? E questa ricchezza davvero possiamo utilizzarla, ed in che modo, nel nostro teatro? che ruolo può avere il regista in questo tipo di operazioni? E si devono pensare come messe in scena o, forse più propriamente, come radicali riscritture? ed ancora, quanto e come influisce in queste operazioni la ricchissima tradizione teatrale e letteraria che nella nostra cultura s’è stratificata intorno al dramma antico? Sono domande cui Martone in questi anni ha risposto, col suo lavoro artistico e in molte pagine di acuta riflessione teorica, in un modo ch’è davvero esemplare e che la Orsini ha saputo esporre con chiarezza: non si tratta portare sulla scena contemporanea un testo antico di venticinque secoli, quanto di costruire uno spettacolo (su «frammenti, tracce, evocazioni») che abbia come proprio centro la riflessione contemporanea (quindi autentica, aperta, artisticamente necessaria, capace di rinnovarsi) su alcuni nodi tragici che il dramma antico riesce a porre alla riflessione del teatro e della cultura dell’oggi: basti pensare alla relazione tra libertà e responsabilità nel contesto dei rapporti parentali e generazionali o in quello della città e dello stato, oppure si pensi al dolore della guerra, al rapporto tra vincitori e vinti o alla condizione di immigrati in terra straniera. Per esemplificare: l’assedio dei sette a Tebe, non è visto da Martone (ne I sette contro Tebe e nel film Teatro di guerra) come figura di ciò che stava accadendo intorno a Sarajevo ma come catalizzatore della sua riflessione teatrale su un nodo tragico (l’insensato furore della violenza bellica) su cui ancora oggi non si può non riflettere con onestà e a pena dell’assoluta insignificanza estetica della prassi teatrale. E se già questo primo livello di approfondimento potrebbe bastare per avere un esatto metro di misura del valore (spesso purtroppo inesistente) di molti degli spettacoli ancora oggi costruiti (e a quale prezzo!) a partire dai testi della drammaturgia antica, in realtà il libro della Orsini riesce a mettere felicemente in luce anche altri aspetti sostanziali del lavoro che Martone ha svolto sul dramma antico: la riflessione meta-teatrale e la dolorosa tensione dialettica tra collettività e individualità. Nel passaggio dallo sperimentalismo di Falso Movimento (la prima compagnia di Martone aperta all’accoglimento della pluralità dei linguaggi artistici) ad una nuova attenzione alla carne viva della parola teatrale di Teatri Uniti prima e poi del regista da solo o con attori di diversa estrazione, si profila un segno chiaro del volgersi ad una dimensione di recupero adulto, responsabile e doloroso di una modalità di comunicazione teatrale che è consapevole della propria (tragica, non più eludibile) rilevanza politica in seno alla realtà. E tuttavia, se pure questa consapevolezza politica riassume e riflette in sé diverse lezioni della cultura e del teatro del secondo novecento (in particolar modo il magistero intellettuale di Pasolini) non viene mai meno in Martone anche l’attenzione alla dimensione individuale, emotiva, affettiva e quindi autenticamente umana d’ogni vicenda tragica. Per riassumere e concludere citiamo direttamente il regista: «Le prospettive di messa in scena del teatro greco sono legate alle prospettive di vita che ha un teatrante, come un suo tesoro archetipico a cui poter attingere, o forse proprio come un oracolo da poter interrogare.»
Paolo Randazzo