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Vorrei parlare di un elemento che ritengo fondamentale nella scrittura teatrale e che spesso, nella drammaturgia contemporanea, è trascurato: l’azione. C’è un riferimento che si sente spesso nell’ambiente teatrale che rende l’idea di che cosa intendo: se in un testo di Cechov, l’autore mostra nel primo atto una corda in scena, quella corda nell’ultimo atto servirà a qualcuno per impiccarsi.

La corda in questo senso ha già in sé, per il solo fatto di essere mostrata, una tensione narrativa: l’uso che se ne potrà fare.
Un altro esempio è mostrare in scena un uomo, una donna e un bambino. Ammettiamo che il pubblico sia a conoscenza che l’uomo è potenzialmente un pedofilo, dal momento che la donna esce dalla scena lasciando soli l’uomo e il bambino, ecco nuovamente innescarsi quello che intendo per azione: anche se fra i due personaggi non succederà nulla che abbia a che fare con la pedofilia, il pubblico seguirà con tensione ogni loro movimento, ogni loro parola, nell’attesa “drammaturgica” che si manifesti o che non si manifesti ciò che si teme.
E’ necessario che l’azione sia presente in primo luogo nella “favola” che si sta raccontando; il suo intreccio con i suoi nodi e i suoi scioglimenti, deve far sì che ci siano elementi in contrapposizione: forze che si scontrino nel volere ognuna il proprio fine e che così facendo sottraggano alle forze antagoniste il loro proprio compiersi, fino alla vittoria o alla sconfitta, dipende dal fuoco scelto, di una o dell’altra forza, siano esse la volontà di un personaggio o di un gruppo di personaggi, o il cocciuto manifestarsi della volontà di quello che chiamiamo destino contrapposto al desiderio, o la semplice, e non per questo meno vigorosa, casualità delle cose che sommerge la progettazione di un vissuto.
In secondo luogo l’azione deve essere presente in ogni piega del testo, in ogni suo dialogo: un personaggio vuole uscire di scena e un altro glielo impedisce; uno vuole pulizia e un altro semina sporcizia; uno ama il sole e un altro ama la pioggia; e così via. Perché è vero che si può scrivere un testo teatrale con una sequenza di belle battute, costruite con appropriata disposizione di belle parole, nobili concetti, poetiche metafore, ma non sarebbe in ogni modo, così facendo, garantita la tensione drammaturgica che ritengo necessaria per una storia di teatro. Tensione che invece si otterrà con una scrittura anche più povera di questi elementi, ma che abbia “favola” cioè intreccio di fatti, “scontro” di personaggi, “scontro” di tesi o di poetiche cioè azione.
Un’altra prova di questo fatto, come dice Aristotele nella sua Poetica “…E’ che coloro i quali cominciano a poetare riescono a perfezionarsi nell’elocuzione e nella costruzione dei caratteri prima che nella composizione dei fatti della vicenda…” Cioè a dire, semplificando, che è più facile procedere per “belle” parole che per azioni. Ecco quindi il mio invito a tutti coloro che scrivono, o che vorranno scrivere per il teatro, di superare con temperamento appropriato le difficoltà che indubbiamente si avranno nel ragionare per azioni, ma che una volta ottenuta la giusta confidenza con l’argomento, si potrà avere anche più “divertimento” e più efficacia nel raggiungere la parola Fine nell’opera a cui si sta lavorando.
Inoltre, se si è dato alla “favola” gli elementi d’azione sopra indicati in modo tale che questi servano con continuità i personaggi, i quali, avendo a loro volta un preciso compito (azione) da svolgere (forze-volontà che si contrappongono), l’autore avrà un robusto sostegno anche alla disposizione delle parole, che facilmente si faranno dialogo, che fatalmente si faranno storia: una storia di teatro, naturalmente, dove i dialoghi saranno sicuri, i personaggi interagiranno agilmente poiché ogni loro mossa sarà un tassello che andrà ad aggiungersi al mosaico; ogni loro battuta conterrà la sintesi di ciò che si vuole raccontare. Solo a questo punto l’autore potrà dedicarsi interamente ad abbellire le parole (necessario anche questo intendiamoci), o i concetti, i pensieri o quant’altro, perché, a quel punto, saranno sorrette da una tensione drammaturgica che farà apparire l’opera, per dirla ancora alla maniera di Aristotele “Un organismo vivente”.