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Mettersi a scrivere un monolgo è come partire per un viaggio senza saper bene la destinazione. Intanto bisogna fare la valigia. Si vorrebbe portare dietro una marea di cose, per sentirsi più protetti. Invece no, l'esperienza insegna che bisogna essere selettivi. Molto selettivi. Non cercare di metterci dentro tutto. Prima regola: poche cose ma essenziali perché il viaggio può essere lungo:

scarpe, maglietta della salute, rasoio, spazzolino, maglione se fa freddo... e poi un libro. Uno solo. Quello non si può lasciarlo a casa. Anche se pesa. Diceva Che Guevara: un uomo deve avere sempre sigari da fumare e libri da leggere. Io non fumo. Peccato, perché i sigari terrebbero meno posto. Il libro va scelto con cura, bisogna evitare di portarsi quello sbagliato, sennò è una tragedia. Tragedia per tragedia, mettiamo che decida di portare "Nascita della tragedia" di Nietzche. Lo guardo. Ha l'orecchia a pagina venti. Cinque anni che sono a pagina venti. Magari è la volta che vado avanti. Però quelle venti pagine dovrò rileggerle, mi sa che a pagina venti la tragedia è già nata. Meglio se lo lascio casa. Shakespeare. "Tutte le tragedie". Questo ha il vantaggio che in un libro solo ci sono tutte. Ma pesa una cifra.  A casa. "Il Bagavara... gita". Sapienza Indiana. Questo l'ho comprato e non sono neanche arrivato a leggere tutto il titolo. A casa. "Minchia Sabri". Littizzetto. No, non posso. Non è coerente scartare Shakespeare e portare Littizzetto. Anche se mi tenta. Guarda qua, un vecchio Topolino. Pesa un cazzo, ci sono anche le barzellette di Cip e Ciop... porto quello. Valigia fatta. Ah no, manca il  K-way. Non si usa mai ma si porta sempre. Il mio è chiuso dal 1982. Dice: perché lo porti sempre? Perché può piovere all'improvviso. Dice: ma perché non porti l'ombrello? Perché li perdo, gli ombrelli. Dice: ma poi perché deve piovere all'improvviso, è un viaggio immaginario, non vai mica a Londra... Ma chi cazzo sei tu che dici tutte 'ste cose? Poi non è neanche un K-way. E' una sottomarca. Ahi ahi ahi. Sta prendendo una brutta piega. Non il K-way, quello è spiegazzato dall'82, avrà dentro anche i funghi. Parlo del pezzo. Non vi sa tanto che quello che sto facendo sia già un monologo teatrale? Cioè, io senza volerlo sono caduto nel monologo. E io odio cadere nei monologhi. Soprattutto in quelli ingiustificati. Quelli dove uno parla da solo così, per convenzione. Ma senza convinzione. Un monologo, per conto mio, deve sempre essere giustificato da qualcosa che succede in scena. Situazione canonica del monologo giustificato: squilla il telefono. Il personaggio va a rispondere e dice: Pronto - poi fa una pausa - No, guardi, qui non c'è nessuna Giuliana - altra pausa - Eh sì, mi sa tanto che ha sbagliato numero. Qui io immaginario spettatore intuisco che l'immaginario interlocutore dell'immaginario personaggio chieda: c'è Giuliana? E appena dopo: mi sa tanto che ho sbagliato numero. In questi casi il personaggio ha il comportamento del pappagallo, perché per far capire allo spettatore cos'ha detto l'immaginario interlocutore gli ripete tutte la battute. E questo è un esempio cretino di monologo giustificato. A parte il telefono, per giustificare il monologo un personaggio potrebbe parlare... che so a... un pesce rosso. In questo caso nelle indicazioni per la messa in scena ricordatevi di mettere anche il modulo per la richiesta dell'accompagnatore dell'animale, che è obbligatorio per legge. Oppure l'attore potrebbe essere un avvocato che prepara l'aringa per il giorno dopo. E qui bisogna ricordarsi di far mettere sul palco il fornello per friggere l'aringa. Come? Ah, aringa con due R. Ecco un altro tipico espediente da monologo: fingere di sentire dal pubblico una voce che non c'è. Come? Ah, quello che stavo facendo io è un'aringa con una R sola? Vabbè, non s'arrabbi, può dire il personaggio. Spegniamo il gas. Un altro modo di giustificare il monologo è mettere un personaggio da solo in una stanza. Uno da solo in una stanza fa un monologo. Punto e basta. E' come se dicesse: lasciatemi fare 'sto monologo e non chiedetemi troppe giustificazioni. Sono solo in una stanza, che cazzo devo fare, un dialogo? Il dialogo mi disturba. Questo fatto che tutti e due devono esprimere il loro parere... Se parlo è perché voglio esprimere il mio, di parere. Se si parla in due già non riesco, mi confondo. A volte commetto persino l'errore di ascoltare. Se ascolti l'altro il tuo pensiero si perde. Finisce che magari alla fine ci ha ragione quello là. E non è bello. Perché quando ero partito ero sicuro di aver ragione io. Quindi da qualche parte mi deve aver fregato. E quando ci ripenso e mi rifaccio tutto il discorso, cazzo se ci ho ragione! Poi tutto sommato le cose che mi dicono gli altri non mi interessano. L'ultimo dialogo interessante l'ho fatto nel... boh, forse quando ero piccolo e non sapevo ancora parlare. E adesso, scusate, me ne vado. Qui il personaggio immaginario sta per lasciare il palcoscenico immaginario ed ecco che si sente un'immaginaria voce all'altoparlante.
Commissario: Dove sta andando?
Non è nient'altro che un altro espediente del monologo. La voce registrata. Espediente di serie B. Che tuttavia un autore non può ignorare.
Commissario: Le ripeto la domanda: dove sta andando?
Personaggio: Io? Da nessuna parte.
Commissario: E allora la valigia che stava facendo?
Personaggio: Io non stavo facendo nessuna valigia, la faceva l'autore. Anzi, nemmeno lui, era una metafora.
Commissario: Sì, una metafora... verificheremo. Professione?
Personaggio: Attore.
Commissario: Sulla carta d'identità leggo studente.
Personaggio: E' per via delle facilitazioni.
Commissario: Quali facilitazioni?
Personaggio: Massì, anche nei musei. Se leggono attore ti guardano male. Fanno le battute. Attore? Strano, non ti ho mai visto. Se invece scrivi studente, non te lo chiedono. E anche se dicessero. Studente? Strano, non ti ho mai visto. Be', segno che studio.
Commissario: Professione del padre e della madre.
Personaggio: Basta, voce registrata! Eri un esempio...
Commissario: Che esempio? Io sono qui. Mi hanno pagato. Sono un professionista serio. Doppiatore. Mi chiamo Fabio Degrada. Costo un tot all'ora che non è neanche poco. Sono qui per fare il commissario. Sono anche vestito da commissario e voglio fare il commissario.
A questo punto il personaggio immaginario sconsolato allarga le braccia. Non sa cosa fare. Dall'altoparlante arriva il rumore di una porta che si apre.
Commissario: Oh! E' arrivata anche la dattilografa.
Molly: Hallo!
Commissario: Come mai così in ritardo, signorina Molly?
Molly: Ho bucato una gomma.
Commissario: Ma se viene in tram....
Molly: Non dica così.
Commissario: La nostra professione è una missione, signorina Molly. 
Molly: Non dica così.
Commissario: Stupido io che tutte le volte che mi chiamano dico: dattilografa? Mandatemi la Molly. Come se non sapessi che lei ha una doppia vita. Che per noi doppiatori diventa quadrupla. Vuol sapere perché è in ritardo? Lei doppia i porno, signorina Molly.
Molly, piangendo:  Come ha fatto a indovinarlo, commissario?
Commissario: Si rivesta, signorina Molly. E' completamente nuda.
Il personaggio immaginario a questo punto insorge: Scusate. E' il mio spettacolo, non il vostro. Non fatemi perdere il filo. Stavo rispondendo alla domanda sui genitori. Allora: impiegato e casalinga. Cioè papà impiegato. Mamma casalinga. Anche se a papà piace cucinare. E alla mamma piace fare i conti. Così è facile vedere papà col grembiulino e le mani sporche di farina. E la mamma con la calcolatrice, un cicchetto e la pipa in bocca...
Commissario: Si ritiene un piccolo borghese?
Personaggio: No.
Commissario: In prova aveva detto sì. Si rende conto che certe risposte possono essere usate contro di lei?
Personaggio: In che senso?
Commissario: Collabora o non collabora?
Personaggio: Ma a cosa?
Commissario: Ci dica perché stava facendo la valigia. Io non l'ho capito. Non l'ha capito nessuno qui dentro. Glielo chiediamo in coro.
Si sente un coro greco che recita all'unisono: Perché stai facendo la valigia? Perché stai facendo la valigia?
Il personaggio si sovrappone al coro e si irrigidisce: Basta! L'ho già spiegato prima. La valigia non era la mia.  Ma non è questo il punto. Il problema, l'ho capito adesso, è che voi vi aspettate qualcosa da me. Qualcosa che ha a che fare con la vita personale e col modo di scrivere dell'autore che mi sta inventando. Ma perché io dovrei star qua a parlarvi dell'autore? Scordatevelo. Io non sopporto i personaggi monologanti che paralano dei loro autori, del loro modo di scrivere... e il suo lavoro lo fa così perché la mia mamma era cosà, e il papà era costì... ma perché io spettatore dovrei ascoltare i resoconti della vita di un altro? Uno dice: adesso mi racconta la sua, dopo toccherà a me, come dagli alcolisti anonimi. Ti ho ascoltato sui tuoi drammi, sui tuoi preconcetti e suoi tuoi segreti? Adesso tocca a me. Ce ne ho anch'io una montagna, di problemi. Invece no, luci in sala, applausi, fine. Io non ci sto. Io sono contrario a questo andazzo. I cazzi di un autore io non li voglio riferire. A me i cazzi se non sono miei, vi giuro, non è per cattiveria, ma non mi interessano. Io mi annoio. L'unica cosa che a me interessa veramente, è parlare dei cazzi miei. Lì sono veramente interessato. Anzi, se c'è qualcuno di voi che vuole parlarmi dei cazzi miei, io lo ascolto. Di altre cose, per favore, non discutiamo nemmeno!