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“Orso d’oro” all’ultimo festival del cinema di Berlino, “Cesare deve morire”, il film girato dai fratelli Taviani con i detenuti-attori di Rebibbia, accende i riflettori sul ruolo chiave giocato dal teatro tra le mura di un carcere di massima sorveglianza. L’attività teatrale in luoghi di reclusione, tuttavia, non è una novità: in Italia esiste da quasi 30 anni. Merito di compagnie e operatori impegnati nel sociale, che hanno scelto di portare i loro progetti, artistici e formativi, tra gli emarginati della società: detenuti, migranti, senzatetto, persone affette da disturbi fisici e mentali. “Il Teatro (in) carcere” – sosteneva lo storico Claudio Meldolesi, tra i principali promotori del teatro nei luoghi del disagio – “è simbolo dell’Immaginazione contro l’emarginazione, dove l’immaginazione induce a valorizzare un meccanismo teatrale dell’interazione sociale, quello di scoprirsi scoprendo gli altri, ancora più importante laddove il comportamento coatto è fondato su obblighi e rimozioni, che inducono a introiettare lo stato di emarginazione”. A detta di operatori ed esperti, per i carcerati quest’esperienza rappresenta un importante passo avanti verso la risoluzione delle problematiche spesso all’origine della reclusione. La bontà del progetto trova conferma anche nei numeri: secondo un censimento del ministero della Giustizia, infatti, nel 2003 le compagnie coinvolte in questo genere di attività erano 106, 15 solo in Toscana, da questo punto di vista, la regione più attiva. A livello europeo, uno dei laboratori più accreditati è il Cetec - Centro Europeo Teatro e Carcere, fondato oltre 15 anni fa nella sezione femminile di San Vittore, a Milano, dalla compagnia diretta da Donatella Massimilla. L’Edge Festival, rassegna di grande impatto sulla scena internazionale, è stata una sua iniziativa coinvolgere gruppi sociali in difficoltà nella messinscena di produzioni d’alto livello: Beckett, quindi, ma anche Genet, Shakespeare, Eduardo, Pinter e, talvolta, il vissuto degli stessi detenuti. Nel tentativo di mettere in relazione tutte queste realtà nel 2011 è nato il Coordinamento nazionale di teatro e carcere. Presieduto da Vito Minoia, già direttore artistico del laboratorio teatrale del carcere di Pesaro, l’associazione ad oggi riunisce 32 compagnie da 12 regioni diverse. “Nonostante le difficoltà drammatiche delle nostre carceri, quella del teatro è una realtà in crescita, le adesioni stanno aumentando” ha dichiarato Minoia durante l’incontro organizzato il 14 marzo all’Università Cattolica di Milano in collaborazione con il Centro di cultura e iniziativa teatrale Mario Apollonio.  Durante il confronto, aperto anche agli studenti dell’ateneo milanese, è stato ufficialmente presentato il primo festival nazionale di teatro e carcere in programma a Firenze, presso il Carcere di Soldicciano, dal 21 al 24 giugno. “Il nostro sogno – ha concluso Minoia – sarebbe di farlo diventare una kermesse itinerante per unire il ‘dentro’ e il ‘fuori’”.