Caro Diario,
posso trascurare l’elezione di Barack Hussein Obama a Presidente of the United States of America? No, non posso e non voglio: spero tanto che siamo alla fine degli Ignoble Thirties, gli anni che vanno grossomodo dalla metà dei Settanta a ora, contrapposti ai Glourious Thirties, che li precedono e che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà dei Settanta e all’inizio dei quali – lucky me! – sono nato e cresciuto. Ti sento obiettare: ma che c’entra con il teatro?
C’entra, c’entra! Negli ultimi trent’anni c’è stato un costante, distruttivo attacco politico, economico e culturale non solo a una certa curvatura democratica e progressista della cultura ma alla funzione intellettuale in quanto tale, mutandone lo status ( la cultura è inutile), la condizione materiale
(immiserimento dei redditi e della posizione del lavoro intellettuale, dalle maestre “uniche” ai ricercatori universitari), l’immaginario ( la massima aspirazione attuale non è più il futuro, nel frattempo scomparso, ma il ritorno agli anni Cinquanta: wow!!).
Questo attacco, comune a tutto il pianeta e partito dalle piazzeforti anglo-americane (Thatcher 1979 seguita da Reagan nel 1980) è poi stato declinato dalle diverse culture nazionali in modo differenziato.
Caro Diario, come poteva essere incardinato in Italia l’attacco al “culturame” (copyright di Mario Scelba, il ministro della Celere nei primi anni Cinquanta )? Certo, non era una domanda difficile: è pian piano riemerso ( se ne stava in effetti poco sotto il pelo dell’acqua), cavalcando il populismo, una sorta di “fascismo rosa” o pink fascism, oggi finalmente visibile alla luce del sole, declinato in modi molto articolati, dal linguaggio dell’attuale illegittimo premier dell’entità statuale italiana (non mi pare si possa parlare più di Re-pubblica), ricalcato da alcuni passaggi sui lapidari molti del duce del fascismo ( non indietreggerò di un centimetro!), al ripugnante pastone per le masse del Tg 2 di Mauro Mazza (cronaca nera + Minculpop + cronaca rosa).
Bene, ora lo sfondo a tutto questo, anzi il fondale – dato che alla fine parliamo di teatro – non è più il presidente più disprezzato della intera storia degli Stati Uniti, Dubia il Massacratore, ma l’elegante, affascinante, cosmopolita, quarantasettenne Barack Hussein!
Questo drastico cambio di immaginario fa invecchiare di colpo il decrepito scenario italiano, con il suo ignobile razzismo, il suo disprezzo della democrazia, la sua accanita difesa del privilegio, il suo asffittico provincialismo la sua arida grettezza: se proiettiamo l’immagine del capo dell’entità italiana, sullo sfondo di Barack Hussein, sia ha la netta impressione che il cerone si sciolga, il capello finto si arricci e cada, la pelle avvizzisca, il sorriso meccanico si allarghi sempre più, fino a rivelare il teschio…un po’ come in quegli horror quando la mummia viene portata a contatto con l’aria fresca o quando il sole del mattino distrugge il vampiro…
Può la necrofilia imperante essere sconfitta dalla vita che si rinnova? Possiamo dire addio al culto dei morti? Possiamo celebrare il nuovo giorno? Non so se possiamo, ma di certo lo vogliamo!
Caro Diario, non ti ho parlato molto di teatro, ma questa volta il gran teatro del mondo, veniva prima!
E poi, se ti devo dire - e te lo dirò nei prossimi giorni - mi pare di poter registrare segnali di vita anche da noi, anche a teatro
a presto!
Che c'entra con il teatro?
- Scritto da Fabio Bruschi