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Se si pensa con quanta insensata leggerezza il nostro teatro utilizza assai spesso romanzi e grandi trame narrative come materiali da cui trarre basi drammaturgiche e cavar fuori facilmente spettacoli più o meno discutibili, allora “In_cubo” lo spettacolo ideato, scritto, diretto e interpretato da Chiara Cicognani e da Elisabetta Gambi (ma vanno citati subito anche Flavio Urbinati per il disegno luci e Massimiliano Nazzi per l’elaborazione dei suoni) e prodotto da Korekané di Rimini, appare subito possedere una cifra di riflessiva e consapevole serietà che va senz’altro subito e positivamente segnalata. S’è visto a Gibellina il 26 luglio scorso nel contesto delle Orestiadi e, se mai è stato vero che la concretezza di uno spazio teatrale può condizionare pesantemente la riuscita di uno spettacolo, allora il vento che spazzava forte il bellissimo Baglio Di Stefano in quel momento è stato uno straordinario attore. Diciamo di uno spettacolo che trae linfa da “Malina”, il romanzo scritto nel ‘71 da Ingeborg Bachmann e che da quest’ opera promana, non come semplice ricostruzione scenica e verbale, ma come potente e silenziosa riscrittura. Una riscrittura che non si sviluppa dalla progressione lineare di fatti, immagini e parole presenti nel testo narrativo, non ci prova nemmeno, ma dallo scarto, impercettibile eppure ineluttabile, segretamente necessario, tra i fatti concreti narrati (e, con i fatti, gli ambienti – la Vienna moderna e quella dei fasti imperiali austro-ungarici – gli interni, i colori, le storie, i rumori, le presenze, le attese, le assenze, le improvvise catastrofi interiori) e la percezione distorta dei fatti che proietta su quanto accade in scena e sulla stessa percezione degli spettatori l’inquietante ombra dell’incubo e della morte. Un incubo in cui rivivono e agiscono – senza parlare - tutti i fantasmi a cui la Bachmann ha saputo dare consistenza nel romanzo: ogni presenza, ogni ansia, sguardo, gesto e spaesamento, ogni voragine di senso. I movimenti sono ben delineati, e scanditi e vividi e doppi, e tutto è doppio, irrimediabilmente e sin dall’inizio, ed insieme – in un rovello infinito – tutto è mai completamente sovrapponibile; e così tutto è fermo e presente e pensabile e tutto è capace di sorprendere,  spiazzare, azzerare ogni sicurezza. Un lavoro rigoroso, che forse appare un po’ eccessivamente chiuso nella sua inquietante eleganza, ma che lascia un traccia profonda nella memoria di chi da esso si lascia attraversare.