Acque sempre più agitate insidiano il mondo dello spettacolo dal vivo e della cultura in generale, a Napoli e in Campania. La causa: gli annunciati tagli al settore, che la nuova amministrazione Caldoro -neo eletto governatore della Campania- intende attuare per ridurre quella politica degli sprechi che, a suo dire, avrebbe caratterizzato tutta la passata amministrazione Bassolino.
Dunque, il centro-destra non smentisce sé stesso, continuando a perseguire, anche in Campania, quella politica di polverizzazione del sapere e del patrimonio intellettuale che, da sempre, è il carattere distintivo del berlusconismo. Dopo l’istruzione, la scuola, la ricerca, l’attacco alla stampa libera, ora è il tempo della cultura e dello spettacolo di sopperire sotto i colpi del macete tremontiano e del malinteso senso di democrazia del pifferaio magico di Arcore. Del resto, a che serve l’esercizio del pensiero, quando si può addomesticare un popolo mescolando ribaltamento sofistico della verità a becero erotismo voyeuristico? Il berlusconismo è tutto qui. E dunque, cosa importa se la cultura muore, se chiudono fondazioni, musei, teatri? L’importante è mettere a sopire l’intelletto, lo spirito, l’immaginazione, la capacità critica e di giudizio, annullando anche i luoghi dove questi preziosi strumenti umani possono affinarsi.
Il fatto però è che non tutti sono d’accordo e tra questi, ovviamente, le lavoratrici e i lavoratori della cultura e dello spettacolo che, a Napoli e in Campania -ma anche in altri luoghi della penisola- hanno deciso di dire un forte no a quello che è, ormai, uno dei principali obiettivi del governo nazionale e delle amministrazioni locali di centro-destra.
A Napoli per esempio, da qualche tempo, soprattutto per iniziativa del regista Carlo Cerciello, direttore artistico e proprietario dell’Elicantropo -piccolo spazio cittadino dove, da quattordici anni, l’esperienza teatrale è fortemente caratterizzata dall’impegno politico, civile e sociale- è nato un movimento sulla rete, che ha subito raccolto tante adesioni, anche prestigiose, e il cui scopo è appunto opporsi non solo ai tagli annunciati, ma proprio a quel progetto di annientamento della cultura di cui parlavamo sopra.
Una prima iniziativa, dal suggestivo titolo “Il funerale della cultura”, è già stata messa in atto e altre ne seguiranno, come ha annunciato lo stesso Cerciello. Nel frattempo, in rete si discute, ci si confronta, si studiano strategie di lotta. E allora, proprio a Cerciello e a un altro autorevole rappresentante del teatro napoletano e italiano, l’attore e regista Renato Carpentieri, abbiamo rivolto qualche domanda, sia sul neonato movimento che sulla situazione della cultura a Napoli e in Campania.
Pochi giorni fa, l’assessore alla cultura della regione Campania, Caterina Miraglia, ha dichiarato che «La cultura muore quando non c' è democrazia e non per temporanee crisi di finanze. Se un funerale deve essere celebrato è per la spesa allegra. La cultura nel programma di Caldoro è centrale e lo dimostra l'intesa con il Comune per il Forum delle Culture». Come rispondono Cerciello e Carpentieri a questa affermazione?
«Per la prima volta –dice Cerciello- sono d’accordo con lei: la cultura muore quando non c’è democrazia. Lucidamente, dunque, Caterina Miraglia ammette che in questo paese non c’è democrazia! Il suo governo ha proceduto, infatti, a un taglio alla cultura di 58 milioni di euro per ciascun anno, dal 2011 al 2013, di cui 50 milioni al solo capitolo riguardante la tutela e la valorizzazione dei beni e attività culturali, cui si aggiunge il famigerato taglio del FUS. Il bilancio del ministero dei Beni Culturali è passato dai 2.116 milioni del 2003, a 1.710 milioni di euro del 2010. È quello che andiamo denunciando da mesi, e ci fa piacere che l’assessore alla cultura della Regione Campania ammetta che chi attacca la cultura attacca la democrazia di un paese».
Secondo Carpentieri «Poteva scendere in piazza con noi, quando abbiamo celebrato il “Funerale della cultura”, l’assessore Miraglia, visto che, sempre il suo governo, ha pensato bene di ridurre i trasferimenti statali a regioni ed enti locali. E dato che l’assessore ama parlar di cifre, come definisce questi tagli: amore per la cultura? Personalmente credo che si possa dedurre, dall’entità dei tagli operati, che a questo governo anti democratico la cultura proprio non interessa, figurarsi poi il teatro. L’assessore, però, ci dice che la cultura, nel programma del Presidente Caldoro, è centrale e lo dimostrerebbe l’intesa raggiunta con il Comune sul Forum delle Culture. Intanto, cosa farà questo benedetto Forum, non ci è dato sapere! Nel frattempo, il Trianon non riapre più, anche perché, a causa della mancata approvazione del bilancio, rischia il commissariamento, altro che Museo della Canzone; il Museo Madre sta per chiudere e anzi, di fatto, i lavoratori del Madre sono già a spasso; Città della Scienza idem; la Biblioteca Nazionale, la più importante biblioteca italiana, per centomila euro sarà costretta a dimezzare l’orario di lavoro; è stata chiusa la rassegna Teatri della Legalità e sotto minaccia è persino il Napoli Teatro Festival. Diciamo la verità, viene proprio da pensare che l’assessore Miraglia abbia centrato, suo malgrado, il vero problema: la cultura muore quando non c’è democrazia!»
Quando siete scesi in piazza la prima volta, sui volantini che avete distribuito durante la manifestazione c’era scritto «Inventiamoci partigiani della resistenza culturale». È questo il nome che avete deciso di dare al movimento?
«Innanzitutto –afferma Cerciello- è difficile stabilire se sia nato effettivamente un movimento. Sicuramente una corrente di forte dissenso dalle strategie culturali del potere, si è polarizzata intorno ai problemi che, in questa regione, sono sotto gli occhi di tutti. Un insieme di persone che hanno deciso, spontaneamente, di unirsi in una particolare contingenza drammatica in cui versa la nostra regione, stretta tra degrado socio-culturale e malavita». Anche per Carpentieri «Non è ancora nato un movimento. I movimenti degli operatori culturali nascono per riflesso di altri movimenti. C’è stata si una prima scintilla, ma va considerata come sviluppo all’interno di movimenti e rivendicazioni più generali, come quelli sui diritti, per il lavoro ecc.».
Caldoro afferma che i tagli sono necessari per arginare la dissipazione delle risorse messa in atto dall’amministrazione Bassolino. Ammesso che effettivamente ci siano stati degli sprechi, può questo legittimare la politica, francamente scellerata, della nuova amministrazione?
«Sicuramente –dice Cerciello- la passata amministrazione di sinistra –lo dico da uomo di sinistra- ha commesso alcuni errori, ma ciò non giustifica l’atteggiamento arrogante dei nuovi vincitori. Noi non stiamo né con Bassolino, né con Caldoro, stiamo con la libera espressione del pensiero e della creatività umana e ritengo, quindi, che chiudere i luoghi della cultura sia un atto di pura barbarie».
Anche Carpentieri concorda col fatto che «Non c’è giustificazione. Del resto, tutta la politica della destra è orientata a spezzare le gambe alla cultura e al lavoro. Certo, nel caso della cultura ci sono poi ragioni specifiche, che vanno ricercate nel modello di vita propugnato da questi signori. Essi non hanno alcun interesse che si sviluppi un’attività culturale e di ricerca, anche perché non hanno gli uomini capaci di elaborare progetti culturali validi».
Nonostante il nome dai chiari riferimenti culturali, storici e politici, vi siete dichiarati politicamente slegati da qualunque partito. Perché? E soprattutto, non è un’abitudine sempre più diffusa, che rischia di depotenziare ed esautorare proprio quel ruolo di guida dei fenomeni sociali che la politica dovrebbe svolgere?
«Sarebbe opportuno –sostiene Cerciello- che tutto questo fermento di idee, nonché il disagio che ci ha portati a scendere in piazza, trovasse nella politica un canale di attenzione e riferimento. Ma la politica è vecchia come me: mancano nuovi metodi di aggregazione, un nuovo modo di parlare alla gente. Oggi, infatti, ottengono più consensi i Santoro, i Travaglio, le Dandini, perché non fanno sconti, sono diretti e hanno rapporti con il territorio, con il sociale, con il dissenso più di qualsiasi politico»; mentre per Carpentieri «Partire dicendo che non si è schierati con nessun partito è legittimo. Un partito, del resto, può essere guida se indirizza, sostiene, dirige, ma in giro ne vedo pochi, anche a sinistra purtroppo, capaci di assumersi questo ruolo. Noi, invece, siamo un movimento spontaneo. Certo di parte, partigiano appunto, ma siamo innanzitutto dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo e della cultura. Comunque, non chiudiamo le porte a nessuno, ovviamente che sia dalla nostra parte».
Voi siete entrambi, da sempre, uomini di sinistra. Ci sono responsabilità, secondo voi, da parte della sinistra se si è giunti a questo punto?
«Secondo me –dice Cerciello- la sinistra paga il suo eterno frantumarsi in mille diversi modi di essere di sinistra. Inoltre, credo che a sinistra si debba creare un modo nuovo di fare politica e di parlare alle giovani generazioni, per evitare che il qualunquismo, imperante nel nostro tempo, le sottragga spazio e pensiero politico». «Quando, nel ’93, fu eletto Bassolino –dice dal canto suo Carpentieri- che io allora sostenni, feci un intervento sulla necessità dell’inchiesta, come metodo d’indagine e di analisi in ogni campo, non solo in quello culturale. Non si può pensare che la verità, come la legge, promanino dall’alto. Bisogna indagare, analizzare e capire quali siano le forze in campo, quali siano le istanze sociali. Diceva un grande timoniere: senza inchiesta non si può parlare. Ma purtroppo tutto questo non è mai stato fatto. I nostri amministratori, anche quelli di sinistra purtroppo, hanno pensato che bastasse dare qualche soldo per risolvere i problemi, senza approntare un vero e proprio progetto di politica culturale e teatrale. Fammi dire una cosa. L’immagine positiva di Napoli, nel mondo, è molto legata al teatro: a partire da Eduardo a finire ai nostri giorni. Senza una seria politica, un serio progetto culturale –e come abbiamo detto, la destra non mi pare averne una, anzi- questa città rischia di morire ancora una volta».