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Caro Diario,

la settimana scorsa ho preso un interregionale (una volta tanto ineccepibile e comunque sempre da preferirsi a intersiti e iurostar, in perenne ritardo) e sono arrivato nella bella (e molto teatrale) città di Parma. Ero lì per assistere alla prima (beh, quasi…) di Sterili, il testo di Maria Teresa Berardelli che ha vinto il Tondelli alla scorsa edizione del Premio Riccione, con questo statement della giuria: “Convince l’ambientazione in una stazione della metropolitana, un non-luogo di aggregazione quotidiana che suggerisce isolamento e solipsismo e dove invece l’autrice stabilisce delle relazioni intime e sottili tra cinque personaggi, che si alternano in una successione di triangolazioni scandita da quadri ben articolati. L’attesa, che dovrebbe sciogliersi nella partecipazione a celebrazioni di famiglia, diventa occasione di una messa a nudo impietosa di ombre e dolori inespressi. Una autrice che, giovanissima e quindi solo all’inizio del suo percorso di scrittura, dimostra sensibilità nel penetrare i sentimenti più nascosti e insieme più banali dell’animo umano.”

Caro Diario,
durante il mio relativamente tranquillo tragitto ferroviario ho letto per la prima volta il testo, già nella sua versione aggiornata e , forse anche per vicende personali, ho trovato anch’io una maniera efficace e sottile al tempo stesso di rendere “ombre e dolori inespressi”, con l’accento su quest’ultimo elemento, quella specie di sottotesto o di “basso continuo” ai nostri sentimenti “più nascosti e insieme più banali”, in questo tempo di tragedie senza catarsi.
Arrivo al Teatro Due, sul Lungoparma, raggiungo la saletta Spazio minimo, mi accomodo e assisto alla rappresentazione: in effetti, nonostante la regista Nicoletta Robello e l’ensemble composto da Federica Bognetti, Paola De Crescenzo, Teresa Timpano, Antonio Tintis e Massimiliano Sbarsi avessero avuto a disposizione solo pochi giorni per le prove, si è trattato di qualcosa di più di una lettura drammatizzata.

Caro Diario, devo dire bene di tutti gli interpreti e in particolare di Federica Bognetti, che ha molto ben rappresentato Lei, la figura di maggior spessor drammaturgico. Di mano in mano che la rappresentazione procedeva, mi sono trovato in non totale sintonia con la ricezione prevalente da parte del pubblico, che sottolineava con sommesse risate alcuni scambi di battute.
Alla fine, dopo i calorosissimi e convinti applausi, scambio due parole con l’autrice (che si sta perfezionando al corso di alta specializzazione per attori del Teatro Due) per sapere delle sue impressioni dopo che il testo era stato affidato ad altri: la regista Nicoletta Robello, gli attori e, last but not least, il pubblico, importantissimo co-autore della messa in scena complessiva. Maria Teresa mi ha dato delle chiavi di lettura, caro diario, e allora ho pensato che avremmo potuto offrire le sue riflessioni sul percorso dalla pagina alla scena ai lettori di dramma.it

Maria Teresa Berardelli, l’autrice:
Quando, novembre scorso, decisi di partecipare al Premio Riccione, scrissi dapprima un testo e poi durante il periodo di Natale ne scrissi un altro, "Sterili", che fu per me più convincente rispetto al precedente. Scrivere "Sterili" è stato capire cosa mi potesse realmente interessare nella scrittura teatrale. E' significato proseguire un lavoro da poco iniziato in una direzione ben precisa. E' nato tutto molto naturalmente, come non sentire nient'altro se non la necessità di scrivere, come dover scrivere, più che solamente volerlo fare.
La mia "inconsapevolezza" drammaturgica mi ha portato a scrivere in modo fluido, inciampando soprattutto all'inizio, quando immaginavo il mio testo ben diverso da come poi è stato partorito. Quando ho deciso di mandarlo, per il premio, ho deciso di non rileggerlo nei mesi seguenti. Fino alla fine di maggio, periodo in cui ho saputo di essere tra i finalisti del Premio, ho posto come una distanza tra me e quel testo, proseguendo con il mio lavoro teatrale e quello drammaturgico, ma quasi come dimenticandomi di "Sterili".
Vincere il premio Tondelli è stato per me motivo di grande forza e grande spinta interiore verso una passione precisa. Come sapere da sempre di voler fare qualcosa ma tenerselo per sè, e come, d'improvviso, avere un riconoscimento per quella cosa ben precisa e poter finalmente condividerla con gli altri. La mia vita, artisticamente-drammaturgicamente parlando, ha avuto una svolta grazie al Tondelli, soprattutto una svolta di tipo intimistico.
Dopo aver vinto il Premio ho incominciato a fare leggere "Sterili" o altro materiale a diverse persone e ho raccolto tutte le critiche che mi sono state fatte, le ho immagazzinate dentro di me e ho partorito un altro testo, "Altrove". Qualcuno mi diceva che avrei dovuto stabilire un rapporto prima di tutto con il mio testo, parlo di "Sterili", ossia capire in che modo fossi io in relazione ad esso. E' per questo che, in questi ultimi due mesi, soprattutto alla luce di questa lettura del testo presso il teatro Due di Parma, ho deciso di recuperare un rapporto profondo con il mio testo, rapporto, in realtà, assolutamente diverso rispetto a quello precedente. Ho riletto e rilavorato su "Sterili" usando un occhio più acuto e più cosciente, una mano lievemente più abile, una mente più precisa. Ho fatto tre stesure del testo e ammetto di essere più soddisfatta dell'ultima stesura che della prima.
Il mio impatto con la lettura e con le prove, chiaramente, è stato di natura ben diversa. Ho seguito i giorni di prova con attenzione ed entusiasmo, confrontandomi spesso con la regista, Nicoletta Robello, ma rimanendo comunque un pò in sordina. Il mio lavoro è stato quello di seguire il lavoro di attori e regista, e quello anche di apportare piccole modifiche sul testo in base al lavoro degli attori. Questo è stato il lavoro più stimolante, mentre quello più sorprendente è stato l'ascoltare il mio testo che incominciava ad acquistare una vita, se pur anche un pò diversa rispetto a quella che io avevo immaginato. Ho capito veramente come sia sorprendente il lavoro del regista, ho capito che ciascuno può capire quello che vuole di un testo, anche di un mio testo. Ho accettato atmosfere a cui io non avevo neanche pensato e ho assistito ad un prendere corpo delle mie parole. E' stato bello, davvero. L'impatto con il pubblico, se pur in ambito di semplice lettura (che poi, in realtà, era anche di più che una semplice lettura), è stato soddisfacente, come sentire la stima altrui per qualcosa che và al di là di ciò che si vede perché, effetivamente, una cosa è il testo, un'altra è il testo fatto, visto, ascoltato.
E' stata un'esperienza forte che, mi auguro, possa proseguire.
Io scrivo sempre, unicamente, utilizzando a ripetizione una musica ("Alina" di Arvo Part) e questo, con in più un grande amore che nutro per Jon Fosse, mi porta a scrivere tendendo sempre verso atmosfere un pò ovattate, chiuse in se stesse, tetre ma non necessariamente negative. E' come se facessi parlare i miei personaggi utilizzando un solo tono, una sola espressione, e questo è quello che li rende sterili e che li porta, nel corso di tutto il testo, a rimanere sempre sterili, per l'appunto. Immagino loro come chiusi in se stessi, spesso bloccati e immobili fisicamente, non proiettati verso l'espressione di se ma piuttosto verso un'implosione, e anche i monologhi o le battute più lunghe sono sempre come un'eco di una verità, non come una verità appena scoperta, appena afferrata.
Nicoletta è riuscita, con mio grande stupore, a trovare una grande positività in tutto questo e a trovare una sottile ironia con cui esprimere tale positività. Per lei "Sterili" sembrava essere il dramma dell'amore, amore tra le sorelle, amore della donna verso i due uomini, ed in fondo è così anche per me, solo che l'amore a cui io drammaturgicamente tendo non è mai espresso ironicamente o gioiosamente ma sempre con un pizzico di malinconia e con una grande sofferenza di fondo. Lei è riuscita a trovare una comicità in alcune battute, cosa che io non avevo considerato ma che, di fatto, c'è, è vero. Mai mi sarei aspettata risate tra il pubblico durante la lettura, mai mi sarei aspettata quelle atmosfere che lei, con sapienza, è riuscita a creare.
Io ho accettato e amato il suo lavoro perchè, tutto sommato, il lavoro del regista è proprio questo, ossia un andare oltre il lavoro drammaturgico, cogliendo sfumature, atmosfere, che magari non sono state create dal drammaturgo stesso.


A questo punto, caro diario, ho pensato di chiedere una testimonianza sull’inizio di questo percorso (che tutti ci auguriamo che, dopo la bella prova parmense, possa concludersi con una produzione a tutto tondo).

Nicoletta Robello, la regista:
E' molto bello quando si incontra un giovane scrittore dotato di istinto teatrale per cui il testo, toccato dalla voce degli attori, comincia a mostrare le sue possibilità e a scoprirsi quel tanto che basta a fare intuire la strada che lo condurrà alla vita scenica. Non succede con facilità; testi anche molto belli non possiedono questa qualità.
L'occasione di dedicare qualche giorno a "Sterili" di Maria Teresa Berardelli ci è stata offerta da Paola Donati, Direttore Artistico del Teatro Due di Parma che lo ha inserito nel programma del Teatro Festival Parma in forma di lettura.
Sono stati 4 giorni intensi che ci hanno portato, nella breve compagnia formata da 5 attori dell'organico parmigiano e la presenza costante e attiva dell'autore, al primo incontro con il pubblico presentando il testo in voce e in una forma che spontaneamente e inevitabilmente scivolava, per meriti linguistici, verso la mise en espace. E' proprio la lingua ciò che maggiormente mi ha interessato dell'opera di Maria Teresa, la sua pasta particolare in grado di creare una atmosfera di sospensione da cui non è affatto escluso il gioco. Conservando una concretezza di relazione tocca tuttavia un clima rarefatto di attesa che si lascia invadere da una itronia molto speciale, molto facile da comprendere per il pubblico, come se accedesse ad un linguaggio appunto finalmente condiviso e che sa di buono, di vivo.
Questo autore, giustamente premiato con il Tondelli, si pone secondo me la questione, forse non in piena consapevolezza ma con un bell' istinto, di una lingua non descrittiva della contemporaneità, ma alla ricerca di un contatto reale che passa per me molto per vie linguistiche, prima ancora che tematiche.
Leggo negli appunti che per Maria Teresa nel suo testo io vedo la presenza dell' amore. E' vero. Molto mi muovono questi personaggi così pieni di emozione, colmi e confusi, indecisi all'azione per eccesso di sentimento e che brillano per totale assenza di coraggio. Non è certo una umanità eroica quella che dice Maria Teresa, né splendente, né portatrice di un dramma esistenziale. Solo attende qualcosa che non accade e che mai accadrà o, ed è peggio pure, che è già accaduto senza lasciare traccia. Non c'è capacità attiva né reattiva e l'unica azione conclusiva che giunge a siglare la fine di un rapporto affettivo che percepiamo come logorato e devastato è una sberla. Ed intorno ad essa si scatenano sentimenti di rancore, di incredulità e stupore, e, ovviamente, di nostalgia per una l'unica azione in qualche modo di coraggio. Io penso che tutto ciò ci attraversi con un gran sentimento di appartenenza e che il sorriso che ne deriva, o il riso ad avere un po' di coraggio, sia liberatorio. Ci portiamo appresso, senza saperlo o sapendolo non importa, la lezione di Beckett che osserva il tragico del nostro passaggio terreno attraverso la lente di una graffiante tenerezza. Che rimangano il sostantivo e l'aggettivo in questo sentimento è ciò che mi auguro; è umanità di passaggio nel metrò o sotto l'albero, che non può stare sola. Gente che passa, noi.


Caro Diario, adesso ti saluto: ci sentiamo presto, spero di poterti scrivere sulle anticipazioni sulla produzione del testo di un’altra autrice (e attrice), Angela Demattè, che lo scorso giugno ha vinto il Premio Riccione. A presto!