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28 giugno 1978. In un'Italia ancora atterrita e confusa per il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, Giorgio Strehler metteva in scena “La tempesta” di Shakespeare, rispondendo a quella violenza, con la forza della poesia, con un testo che s’interrogava su temi del potere, della tirannide, del tradimento. In “Remake”, Giulia Lazzarini, al Piccolo  di Milano, racconta i momenti salienti di quello spettacolo memorabile. Una lunga carriera, fatta di studio e scelte consapevoli, spesso non facili. Nata a Milano, si diploma presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e approda nel 1954 in Via Rovello, al Piccolo Teatro. Inizierà così e la sua collaborazione con Giorgio Strehler. E dopo Strehler, altre importanti impegni fino ad arrivare allo spettacolo Muri di Renato Sarti, nella parte di un’infermiera. Bravissima nel raccontare i fragili muri della mente. Giulia e La Tempesta, Giulia simbolo della Tempesta, piccola, fragile e meravigliosa, nella parte dello spirito Ariel, nessuno potrà più reinterpretare questo ruolo senza che il pensiero corra a lei e alla versione dì Strehler di oltre trent’anni fa. La Tempesta è l’ultima opera interamente attribuita a Shakespeare, opera densa e polivalente, da sfuggire ad ogni definizione. Favola apparentemente semplice e lineare, ricca di significati, che tendono a dar forma teatrale al movimento della vita stessa, un percorso di ricerca e di conoscenza che tutti i personaggi affrontano. La Tempesta è la rappresentazione del tentativo dell’uomo di instaurare un rapporto con il reale, del suo sforzo per percepirlo, delle difficoltà che incontra, degli inganni  che subisce, della fatica con cui giunge a un grado di conoscenza superiore. Un’avventura molteplice, composta da molteplici personaggi, uomini, spiriti, forze della natura, come suggerisce Agostino Lombardo, studioso di Shakespeare, in un suo commento all’Opera.  Il primo a compiere questo percorso, lo stesso drammaturgo inglese, dal “tempo che opprime”, fatto di  tradimenti inganni, gelosie, sospetti, quello  delle tragedie, al “tempo che redime”, quello delle commedie e dulcis in fundo La Tempesta. In un’isola dominata dalle forze della natura tutti i personaggi compiono un cammino di conoscenza, un cammino faticoso e arduo anche per gli attori. Nella rappresentazione Lazzarini interpreta se stessa sul palcoscenico vuoto, fra frammenti di documenti, filmati, musica, ricordi, aneddoti, tessuti che improvvisamente appaiono come vele al vento, l’attrice insegna alla giovane allieva Maria Alberta Navello, il senso della verità scenica. Una lezione magistrale. Un cammino non facile. Giulia Lazzarini, ci parla di quel cammino, indimenticabile, della sua Tempesta, racconta la fatica fisica e psicologica per rendere pienamente il ruolo del piccolo spirito Ariel al servizio del mago Prospero, in attesa della propria libertà. Musico, mimo, danzatore, attore, bisognava essere tutto questo insieme per rendere pienamente il personaggio. Tutti i mezzi del teatro confluivano in Ariel e Giulia aveva tutte le doti per sostenere la Tempesta sul palcoscenico e la Tempesta dentro di lei, tutte le doti necessarie per rendere pienamente il personaggio, ma anche per capire quello che voleva raggiungere Strehler con la sua Tempesta. Lavorare con lui non era semplice bisognava entrare nelle sue visioni, in quello che sognava... Era un uomo tenace e impaziente, non si accontentava mai finché non raggiungeva quello che aveva in mente, non abbondonava mai l’attore, continuava a spiegare a sostenerlo a chiedergli nuovi sforzi, sempre più elevati per portarlo sulla strada giusta in cerca di sé, bisognava essere più intelligenti per capirlo a fondo, sognatori, ma anche molto disciplinati. Provavamo per ore, io attaccata a quel filo d’argento, il macchinista che manovrava e Prospero/Carraro che mi parlava. Provavamo per giorni interi poi Strehler arrivava e diceva “Siete ancora a questo punto? Non è quello che voglio, provate ancora, cercate…”  Ecco, il percorso di Giulia nella Tempesta. Un percorso fatto d’ impegno e sensibilità, sforzo fisico. “Venivo giù da quell’altezza sospesa a un filo mi giravo e poi ritornavo su, che fatica, per fare questo ci vuole un atto di fede. Sospesa nell’aria volavo sulle parole di Shakespeare, la sua poesia mi sosteneva”.. Torno a casa dopo lo spettacolo, mi sento liberata dalle mie piccole tempeste e porto con me quello che Giulia mi ha regalato. Vivere nello sforzo e nel sogno, per inseguire le proprie passioni. Questa è La Grande Magia del teatro ma anche della vita. L’attore ha un compito  come diceva Strehler “essere tutto sulla scena in un abbandono di sé e nello stesso tempo tutto in una chiarezza di visione critica che lo impegna come uomo. I migliori attori di oggi sono quelli che meglio riescono ad equilibrare le capacità “istrioniche” con quelle di “essere pensante” Cos’è l’attore? Un uomo che dice parole di altri davanti ad altri, con il proprio corpo, la propria voce, con gesti, toni, movimenti e suoni, sollevato da terra, su un palco reale o ideale...” Giulia Lazzarini nella sua lunga carriera ha reso pienamente questo compito. “Brava e straordinaria, matura cosciente, precisa lucida e abbandonata, sempre giustamente sospesa tra intuizione e critica, in equilibrio  quasi incredibile tra un altissimo mestiere di teatro (viva quando è così il mestiere !) e una freschezza poetica, invenzione fantasia e rispetto per quello che si deve dire e si deve fare” (Giorgio Strehler 1° Maggio 1973, Lettere sul teatro ed. Archinto, Milano). Un percorso difficile che si raggiunge solo con l’umiltà dichiara Lazzarini stessa in un’intervista. Essere attori vuol dire saper uscire da se stessi entrare nel personaggio, amarlo capirlo, pensare come lui. L’attore deve mostrare e non mostrarsi, l’attore narcisista non raggiunge l’animo dello spettatore, non porta nessuna verità. Siate vivi nelle cose che fate, e soprattutto amate. Recitare è un atto d’amore verso il teatro. Vivere nel sogno pensandolo reale. “Noi siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata da un sogno.” Grazie Giulia.