Secondo spettacolo della nuova stagione del teatro della Tosse di Genova, ha esordito in prima nazionale il primo novembre e resterà in cartellone fino a domenica 4 novembre. La pièce nasce da una idea drammaturgica di Marco Andreoli, l'idea interessante e anche intrigante di traslare in uno spazio tempo psicotico, calustrofobico e persecutorio le tensioni di una coppia possessiva, anzi le tensioni di coppia nella diade ripetuta e contrastata di un maschio e di una femmina imprigionati in ruoli che non riescono ad abbandonare. Così all'interno di una scenografia fin troppo esplicita, tra sedie e mobili enormi, Michele Riondino e Maria Sole Mansutti si muovono come due bambini che giocano a fare gli adulti senza volerlo o poterlo diventare. Anzi Ada appare quasi, più che una bambina, una bambola-bambina che si muove in fondo al comando dei sogni-desideri di Savino, forse 'spaventato' da troppo forti segnali sessuali della sua compagna che pure lo attraggono. Al centro un pesce rosso (si chiama siamosolonoi) in una grande bolla di vetro convoglia sguardi e attenzione, in un groviglio di desideri, tra libertà e certezze, che non si riesce a sciogliere. La sintassi fortemente metaforizzante consente dunque di accogliere insieme a tensioni soggettive, fors'anche psicologicamente autobiografiche, le tensioni sociali e culturali della contrapposizione spesso autodistruttiva tra sessi, entrambi impegnati a disfarsi di maschere e luoghi comuni che li imprigionano, anche fino al reciproco annullamento. È una tensione fortissima quella che caratterizza il suggerito percorso di liberazione di Savino, percorso speculare e insieme complice delle resistenze di Ada, su cui si prroiettano debolezze e paure, in un alternarsi onirico di desideri e ritirate precipitose, costruite narrativamente e drammaturgicamente intorno ad un delitto, l'uxoricidio fose solo pensato o desiderato ovvero simbolico. Una tensione solo alleggerita dall'ironia alienante fino al comico dei ruoli sovrapposti e nascosti nella sintassi infantile che caratterizza la narrazione scenica, ma che non può non ricordare le tragiche contrapposizioni che attraversano il secolo breve fino a noi, a partire dalla drammaurgia di uno Strindberg fino alla più recente e nera cronaca del ripetuto 'femminicidio', all'insegna di una sessualità femminile autonoma che spaventa l'uomo come spaventa Savino. La guerra dei sessi allontanata, dunque, nella regressione infantile di un onirirismo che mescola il tempo e confonde lo spazio, per contenerne il peso e alleggerirne l'effetto claustrofobico (le finestre che improvvisamente si aprono su un mondo irragiungibilmente 'libero'), senza però evitarne l'esito comunque drammatico. Una liberazione, o forse solo una 'fuga' sognata, ambita e finalmente raggiunta quella di Savino nel finale della pièce, ma di cui forse si nasconde il prezzo pagato non solo da Ada ma da Savino medesimo. Una drammaturgia nel complesso meritevole, anche se talora ingenua nella ripetitività della narrazione in quadri e dei relativi movimenti scenici, attorno al delitto non si sa se e quanto consumato, quasi ad esprimere il timore di non essere ben compresi e che un po' dilata e diluisce l'efficacia della significazione metaforica nel suo complesso. Buona la maestria recitativa dei protagonisti, a volte con accenti accademici, e buona la trascrizione registica di Circo Bordeaux, cui ha collaborato Alessio Piazza. Già citate le scene di Fabrizio Darpino, il video è a cura di Marco Quintavalle, trucco e costumi sono di Eva Nestori, il disegno luci di Luigi Biondi, le musiche di Teho Teardo, mentre l'attrezzista di scena è Francesco Traverso. Uno spettacolo bello, dunque, e a lungo applaudito dal pubblico che ha gremito la sala.
Foto Corbetta