Il dramma del mese
Anatomia della morte di... di Marcello Cotugno
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Anatomia della morte di... è stato uno dei Sette spettacoli per un nuovo teatro italiano per il 2000 concorso bandito dal Teatro di Roma. Questa la motivazione: Nello stile dell'inchiesta, della ricerca di una parvenza di verità, del processo indiziario, questo testo analizza problemi, situazioni, malesseri, solitudini del mondo giovanile. Interessa l'uso non banale e non convenzionale del personal computer, utilizzato non solo per proprio uso ma anche per la comunicazione interpersonale; interessa lo sguardo attento sul mondo giovanile, un mondo che qui parla in prima persona, sottraendosi agli sguardi paternalistici con i quali generalmente viene osservato dal mondo degli adulti.
ANATOMIA DELLA MORTE DI…
di Marcello Cotugno regia di Marcello Cotugno. Co-produzione Associazione Culturale Beat 72 e Teatro di Roma. Con:Paolo Zuccari, Daniele Pecci, Massimiliano Bruno, Laura Nardi, Lydia Biondi, Giorgio Colangeli.
Note dell'autore:
Anatomia della morte di… rappresenta un grido strozzato in gola, una richiesta d’attenzione per le storie che, pur non partendo da una periferia, cercano di raccontare degradi interiori di piccole persone di scarso interesse. Tutto si svolge in un teatro fatto di parole ma anche di tecnologie, che però non disarcionano il verbo. La parola che, quando tenta di raccontare cose in cui ci si possa riconoscere, quando cerca di smascherare una o più verità sulla triste condizione umana, resta il ‘quinto elemento’ di comando della situazione drammatica. E poi la velocità, il ritmo, la scansione di tempi aggressivi, la scelta di tematiche forti. Perché il mondo sta andando allo sfascio. Nuove tecnologie, nuove intelligenze, il computer come estensione del cervello, internet come estensione del computer, il teatro come massima estensione di tutto. Perché è la vita. Quella che cambia in continuazione quella che ti schiaccia per terra, quella che ti fa svegliare a quarant’anni e ti fa pensare che tu sei un fallito… Borghesi, piccoli, inutili, ma forse non colpevoli. O forse sì. La colpa è un concetto superato. E il computer corre e va a cercare le ragioni, le motivazioni, le assolute mancanze che hanno portato un ragazzo, un altro ragazzo, a dire "Oggi è l’ultima volta che vivo". Così è stata la nostra vita, piena di non lo so, di come sto male, di superficialità banali ed a volte inconsapevoli. Perché Daniele si è ammazzato? Perché abbiamo sempre bisogno di confessare tutto? Perché almeno una persona deve sapere. E allora un consiglio: qualunque cose facciate, qualunque terribile atto decidiate di commettere, non parlatene mai con nessuno, ognuno ha perlomeno una persona di cui si fida, e sarà la vostra fine, il segreto sarà sulla bocca di tutti, come il rossetto di quella puttana, quella mora, bella, colombiana da cui tutti dovreste andare prima o poi, il suo nome è Jennifer…
a suivre…
Marcello Cotugno
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Le luci di Algeri di Gianni Guardigli
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Le luci di Algeri (Un requiem di fine millennio) ha vinto il premio Flaiano 2000. Con il patrocinio di AMNESTY INTERNATIONAL e la produzione di Studio 12, la Compagnia IL PANTANO diretta da Claudio Frosi ha debuttato con lo spettacolo lo scorso febbraio. Dopo una tournèe estiva riprenderà le repliche presso il TEATRO DELL’OROLOGIO di Roma dal 21 novembre al 23 dicembre 2001
Di cosa parla:
Novità assoluta della drammaturgia italiana contemporanea assume, alla luce dei tragici fatti di New York, un valore addirittura anticipatore. Il tema trattato è infatti una delle orribili e troppo numerose stragi che deturpano il suolo dell’Algeria, ed ora anche dell’occidente. Lo spettacolo si propone come un incontro tra Culture, un Requiem, un pianto funebre scritto e rappresentato da occidentali in onore di bambini algerini, vittime innocenti sgozzate da altri algerini. Laddove ancora una volta sono le donne, nel loro dramma di madri e di mogli, a subire impotenti il peso del lutto dopo quello della violenza.
COME TRE BAMBOLE ROTTE di Letizia Bernazza.
(Articolo pubblicato su www.tuttoteatro.com Anno II - n.6 - 10/02/2001).
Quando gli spettatori fanno il loro ingresso nella sala romana del Teatro Due, gli interpreti de Le luci di Algeri sono già in scena a sipario aperto ed è difficile non rimanere subito coinvolti dall’atmosfera, finemente ricreata dal regista Claudio Frosi, dell’opera di Gianni Guardigli su una delle numerose stragi commesse in Algeria durante il Ramadan. Un acre profumo d’incenso e un buio quasi diffuso avvolgono l’interno di una modesta abitazione dove è riunita una piccola comunità che piange i suoi morti: tre bambini sgozzati dai terroristi islamici senza un perché in una delle tante strade polverose tra Orano e Algeri. Il racconto del massacro prende il via dal pianto soffocato della madre e tutta la messinscena è governata dal tono sommesso di un lungo canto funebre, intriso di una rabbia talmente dolorosa da impedire l’agire disperato dei protagonisti e un loro sfogo verbale. Gesti e parole non servono a cancellare l’avvenuta tragedia che ora si consuma per i vivi sotto il candore di bianche tende e in mezzo a cuscini colorati, candele accese, tappeti sfarzosi, utili soltanto ad accogliere corpi prostrati e distrutti dalla ferocia gratuita di un gruppo di esaltati. Seduta a terra con il volto coperto dal caratteristico ciador, la madre si abbandona al ricordo dei propri figli e, mentre indulge a rammentare i loro tratti fisici non ancora sbiaditi dal trascorrere del tempo, torna alla sua mente l’immagine dei piccoli cadaveri sfigurati. <<Erano come tre bambole rotte>>, ripete a tormentone nel corso dello spettacolo ed è questa frase a sottolineare il peso irremovibile del lutto insieme alle poche battute dell’anziana nonna, la quale vorrebbe addirittura <<diventare muta e sorda pur di non sentire il silenzio della morte>>. Anche lei è accovacciata su una sedia, anche lei parla il linguaggio universale della sofferenza che diventa un grido straziante di dolore quando afferma di voler <<lavare le pietre intrise di sangue e persino il sole che ha visto tutto>>. Alla sua ribellione non sfuggono né gli assassini dei nipoti né Dio, gli uni rimasti impuniti e l’altro indifferente alle ingiustizie del mondo. Il vuoto di sentirsi costantemente orfani di tutto e di tutti è il tratto saliente dei protagonisti della pièce (a vestire i loro panni sono Chiara Di Bari, Silvana Bosi, Isabella Martelli, Maria Monti e Gaetano Varcasia) in cui, non a caso, i dialoghi vengono sostituiti dai monologhi e brevi a solo si alternano ai brani registrati del cantante algerino Kaled o ai ritmi delle musiche arabe tradizionali suonate dal vivo. Due musicisti a lato della scena con tamburi e percussioni scandiscono il tempo dello spettacolo e, nell’evocare luoghi a noi neanche troppo lontani, preparano i successivi interventi dei quattro attori principali sempre sul palco per l’intera durata della rappresentazione. Così, ad esempio, un rullo prolungato di tamburo invita il padre dei tre bambini - fino ad allora rannicchiato sul suolo della claustrofobica abitazione - a intonare il proprio inconsolabile lamento, malgrado egli sia forse l’unico disposto ad illudersi di un possibile riscatto. Mohammed è, infatti, un uomo e il suo ruolo di maschio gli impone di fare altri figli a risarcimento di quelli perduti, laddove nella pièce sembra essere affidato alla donna il compito di contrastare i carnefici. Ci prova la venditrice di granaglie del villaggio (Claudio Frosi e lo scenografo Piero Risani sono molto abili a trasformare lo spazio scenico in un suk pieno di botteghe e di commercianti ambulanti), la quale sbarra le finestre e le porte della propria casa affinché il nipote-terrorista non esca più a uccidere bambini; ci prova il fantasma di Fatima (la maggiore delle tre vittime) che fa la sua sinistra apparizione per scuotere con autentica sincerità la memoria dei vivi prima di ritornare nel regno dei morti sulle note del Requiem di Mozart.
Dalla stampa:
"La storia scritta da Gianni Guardigli racconta una delle terribili stragi che durante il Ramadan deturpano il suolo dell'Algeria, ... , una terra dove si vive e si muore in comunità e dove la comunità è partecipe dei lutti e delle gioie del singolo." (Rossella Fabiani, La stampa)
"Ambientato da Guardigli tra le tende di un'arcaica comunità del deserto questo "Requiem di fine millennio" riguarda anche noi: "Si bagna nelle acque del bacino del mediterraneo, è radicato in un profondo sud povero e sanguigno come era il nostro meridione". (Nico Garrone, La repubblica)
"Un lavoro il cui testo pregevole è il primo degli interpreti, poesia di parole che si susseguono accompagnate da una musica araba tradizionale molto ben eseguita ed appropriata che ne aumenta il fascino" (Diana Palma, Sipario)
"Il primo merito è quello di aver riacceso le luci su Algeri (...) il secondo è quello di aver saputo conciliare con le compatibilità teatrali una tragedia così complessa: rappresentandola nei suoi tratti essenziali, in modo da dare anche allo spettatore meno informato un quadro per capire ciò che sta succedendo in Algeria" (Giuliana Sgrena, Il Manifesto)
Le avventure del pinguino Joseph e di Madeleine La Chiesa di Maria Luisa Abbate
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Introduzione al testo
Viviamo in un’epoca in cui la parola ha assunto un valore Onnivoro. Stanchi di essere traditi continuamente dalla nostra immagine rappresentiamo verbalmente le nostre multiple personalita’. Mi riferisco alle chat, ai forum, alla comunicazione in virtuale, in cui ci spingiamo sempre piu’ verso una sorta di rappresentazione verbale di noi, del paesaggio complesso della nostra anima. Messa da parte la forma in cui appariamo rappresentati eccoci esprimere la sensazione che abbiamo di noi e attraverso quella cominciamo ad intrecciare rapporti che giungono fino all’Amour Fou. In questo giuoco di ruoli ci spingiamo ad essere tutto, uomini, donne, bambini, adulti, nani, fate, gnomi, elfi, perfino umani. Cio’ che ci fa amare o odiare il nostro interlocutore diventa la sua energia, le pulsioni che noi sentiamo attraverso la tastiera. Riusciamo a giungere fino all’orgasmo quando incontriamo la persona che accende in noi i brividi sopiti con un semplice ‘Ciao, eccomiiiiiiiiiiiii *_*!’ Ci spingiamo cosi’ a desiderare di trovare nell’altro la nostra essenza, quella verita’ che ci conduce all’origine di noi. Immaginiamoci Madeleine sola, davanti al suo PC, una donna che cerca se stessa nell’uomo attraverso tre uomini che per lei sono un unico modello, quell’anima gemella in cui vuole affondare, a cui vuole arrendersi, a cui alla fine si da completamente come a se stessa. Ecco ho cercato di scrivere questo testo in modo che potesse rappresentare questo nostro nuovo modo di vivere, sentire, interagire, comunicare, esprimerci, raffigurarci, in un linguaggio che possa essere rappresentabile in tutti i media, dalla radio, al teatro, alla tv, al cinema, fino a poter diventare una sorta di video game. Volutamente ho ridotto al minimo le indicazioni per lasciare a chi lo mettera’ in scena nel media che sceglie la possibilita’ di interpretarlo come preferisce. Per cui puo’ anche essere Joseph un uomo solo che gioca con tante Madeleine. O possono essere un uomo e una donna che si cercano attraverso i vari giri di vite. O, perche’ no, potrebbero essere anche due donne, o due uomini, o un numero infinito di coppie di tutte le eta’ e sessi. Lo stesso vale per scene, costumi, luci, suoni. Il testo e’ scritto in modo che puo’ essere rappresentato anche da un solo attore nel buio di un palcoscenico vuoto, o da soli mezzi meccanici senza piu’ attori in scena, perche’ vuole affermare la nuova potenza rappresentativa della parola che sta assumendo in se’ il suo potere generante. E’ un dialogo sospeso sulle Stanze della Memoria in cui nell’amore e’ Dio che si manifesta nel corpo attraverso il Verbo. Un corpo che ha scelto di diventare Tempio. Per la donna il viaggio per trovare la propria Identita’ Originaria consiste nel ritrovare nell’amplesso il Padre nel Figlio. Parte mancante dell’uomo solo ricongiungendosi all’ uomo puo’ giungere all’essenza di se’. Questo dialogo e’ un lungo orgasmo verso il tornare alle origini della prima genesi dell’uomo e della donna. ‘In principio era il Verbo..
Un'autobiografia
All'età di due anni e mezzo finisco in un braciere. E' la prima volta che vado in coma. Quando torno su questa terra trovo ad attendermi 'Il Teatro delle Meraviglie'... Un bellisimo Teatro di Burattini! Vi entro dentro! Oggi, 2001, vivo in un Teatro di 100 posti che somiglia in tutto a quel Teatrino. Si prepara a diventare un Cyber Theatre e una Virtual Gallery:'DREAM'S THEORY' Lo condivido con un artista visivo: MICHELE GENTILE! LA PAROLA & L'IMMAGINE = IL DIVINO GEROGLIFICO E' questa la base attuale della mia personale ricerca di scrittura per rappresentazione che si muove sulla chiarificazione e la puntualizzazione del senso di aderenza che il canovaccio della vita quotidiana, che come personaggi riceviamo mentre recitiamo a soggetto, ha con la Sacra Scrittura. 'All'età di sei anni inizio a studiare danza classica come maestra coregrafa. Comincio anche a studiare filosofia con mio padre, e mi interesso al melodramma. Il mio sogno è diventare una scrittrice. Mia nonna materna, Capararo, a S.Domenico Maggiore mi fa diventare 'Piccola Rosariante', (spose di Gesù che possono agire nella vita normale). Ella mi avvia ad una rigida cultura cattolica e mi insegna a vivere in una continua disciplina dei miei mezzi.. Originaria di Sondrio in Valtellina parla un italiano ottocentesco. Vive nella memoria di mio nonno Ottavio Saviano, morto dopo solo tre anni di matrimonio. Scrittore, amico di D'Annunzio, amante della Aleramo, rimane nella mia vita di bambina un'immagine onnipresente che mi osserva da un'antica fotografia. La nonna paterna, Mezzacapo, discende da una nobile famiglia di Marchesi che dalla Rivluzione del 1799 comincia a dilapidare sostanze e titolo comprendendo e agevolando così la metamorfosi che porta al grande salto fuori dal Tribalismo Originario dentro la Nuova Cittadella Globale composta di Individui Liberi, Unici e Irripetibili:. Ai primi del secolo un esponente della famiglia emigra in America, con la cugina sua compagna, dove diventano Macchiettisti.. Nonna Lillà mi introduce alla lingua napoletana raccontandomi in napoletano del '600 'LE FAVOLE DEL BASILE' e mi da' elementi basici di pianoforte e di canto. A giugno, poco prima di compiere sette anni, il mio primo debutto come ballerina al Teatro Mediterraneo! Dietro le quinte piango! Sento che sta per iniziare un lungo Viaggio d'Iniziazione sulla Scena del Mondo attraverso il suo Palcoscenico: il Teatro! Tra i sette e i dodici anni, frequento le Monache di 33, Monache di clausura, Profetesse! Esse mi annunciano: " Andrai! Vedrai! Ritornerai!" Studio danza per sette anni! Poi, per un trauma familiare, le forti incomprensioni con mia madre a causa della conflittualità esasperata che lei prova con il fiorire in me della donna durante la mia prima adolescenza, ma anche, e forse ancor di più, per un morboso maniacale affetto che ha per il figlio maschio, Gianni, e che la porta a non avere in nessuna considerazione le figlie femmine, me in primis che a ciò mi ribello annunziandole che sta allevando in questo modo un inetto, Oblomov sostiene mio padre, proprio quando sono stata presa al S.Carlo nel corpo di ballo, ingrasso, come per sfregio alla femminilità e per autolesionismo, di 20 kg in due mesi! Addio Danza! E' da quel momento che comincio ad essere ossessionata dalla volontà di morire, crisi suicide e forme violente di autodistruzione, che fanno di me una creatura fragile, facilmente plagiabile per certi versi, ma estremamente sensitiva e sensibile. In un primo momento mi chiudo unicamente negli studi filosofici e nella scrittura. Poi, in un secondo momento, scelgo il TEATRO che vedo come punto d'incontro di tutte le arti, luogo multimediale per eccellenza, architetetura della STORIA, THE GLOBE. La mia volontà autodistruttiva mi porta a cancellare continuamente la mia personalità terrestre, dissipando i frutti della mia stessa creatività ed alienandoli, lasciandoli poi come in trance firmare dal mio ex marito, in attesa di vedere prima o poi fiorire in me la VERA VITA. Inizia così un processo di vita traslata in cui il mio gioco di artista diventa quello di annullarmi e ricostruirmi attraverso i personaggi che scelgo e che mi cucio addosso come una maschera, un abito per sopravvivere. A 17 ANNI, A NAPOLI, AL Liceo Classico UMBERTO I, mi collego ad un gruppo di giovani intellettuali con cui fondo 'IL GRIDO' rivista di cultura di cui escono solo tre numeri. In questa occasione incontro Mario Santella che diviene mio marito e con cui dò vita al GRUPPO VORLESUNGEN, uno dei primi gruppi di teatro sperimentale, che vede al lavoro personaggi come Renato Carpentieri ed Ettore Massarese, personaggi ambigui della scena culturale napoletana di oggi., o fotografi al loro exploit come Mimmo Jodice e subito dopo Fabio Donato. Fin dall'inizio mi isolo in me stessa lavorando tra gli altri, ma come in solitudine, perseguendo un mio proprio tragitto interiore che mi distacca completamente dal concetto carrieristico che muove verso la volontà di annullare il Potere Terreno per Impossessarsene tutti quelli che mi circondano. Non è al POTERE che io aspiro ma alla scoperta della integrità dell’essenza dell’esistenza, della verità del senso di questo nostro angosciante calvario terrestre. E quando comincio a studiare Antonin Artaud mi prefiggo che IO riuscirò a vedere apparire sulle mura del TEATRO/TEMPIO IL GEROGLIFICO DIVINO. COSì COMINCIO A LANCIARE I MIEI MESSAGGI ATTRAVERSO LE FIAMME PIU’ AGLI INVISIBILI ESSERI SPIRITUALI CHE MI CIRCONDANO CHE AI COSì DETTI VIVI! I primi spettacoli, EXPERIMENT/ACTION/EXPERIMENTACTION e ANA LOGON vengono dati in una discotcca underground e si ispirano alle espereienze del LIVING THEATRE, con cui ho avuto contatti diretti a Napoli,. E di GROTOWSKJI, incontrato a Spoleto. CON GROTOWSKIJ UN NUOVO CREDO SI AGGIUNGE A Ciò CHE MI MUOVE: GIUNGERE A VIVERE LA VIA DELL’ARTISTA COME VIA DEL SANTO PER RENDERE VERO UN PELLEGRINAGGIO POETICO CHE NON Può CHE CONDURRE VERSO UN’IDENTITA’ CHE PORTA A TRASCENDENZA. Fine anni ‘60 esplosioni di idee e fermenti! Sull'onda dello slogan su cui nasce il movimento del 1968: 'Portiamo l'immaginazione al potere' comincia la lotta politica che si frammenta in miriadi di gruppi di studio, analisi, e azione, che a me personalmente non interessano perchè li vedo esasperatamente legati ad un discorso armato di presa di Potere Politico lontano dal mio concetto di Autonomia dell'Arte. Quello SLOGAN mette, invece, a fuoco in me l'esigenza di un personale laboratorio delle Idee che, in primis, per concretizzarsi deve assumere in sè la necessità di creare non solo un linguaggio nuovo in continuo movimento, ma anche un'organizzazione produttiva e distributiva alternativa in continua metamorfosi, sì da trovare sempre nuove strade di materializzazione della ricerca. Sulla stessa onda cominciano a nascere nel mondo piccole sale indipendenti in cui gruppi di giovani danno vita a spettacoli d'avanguardia e commistioni di generi e linguaggi che attirano un numeroso pubblico di curiosi e intellettuali, fans e affecionados. Si vengono a formare delle vere e proprie piccole sette, come al solito non tutte mosse dagli stessi motivi di purezza della ricerca, il che porterà poi al fallimento del movimento. Intanto, all'insegna del Teatro Povero, con mezzi di fortuna, comincio a visualizzare visionariamente un teatro basato sulla riscrittura dei testi classici, sull'interrelazione tra platea e stage, sullo studio del corpo e della voce come strumento sonoro, su un uso immaginifico di tutte le componenti della messa in scena.(scene, costumi, luci, musiche) viste tutte come essenziali elementi di un linguaggio globale. A differenza del discorso di REGIA puro e semplice, la SPERIMENTAZIONE, in specie per quanto mi riguarda, si propone di giungere ad un tutto nuovo concetto di SCRITTURA DRAMMATURGICA base essenziale di un TEATRO TOTALE. Su queste basi dò vita, col Santella, al TEATRO ALFRED JARRY, una sala in via S.Maria della Neve a Napoli,. dove mi dedico alla sperimentazione di una nuova scrittura per rappresentazione che si realizza in importanti spettacoli come 'FALL OUT e, 'PROVE PER UNA MESSA IN SCENA DI AMLETO'. Il mio lavoro fino a questo punto è stato solo di strutturazione e rapprsentazione filosofico linguistica di una scrittura drammaturgica che rimette in discussione l'uso di tutte le componenti proprie allo specifico della messa in scena come racconto agito in unità di tempo e spazio. E' solo col 'FAUST' tratto da MARLOWE che decido di salire in scena per assumermi in corpore la scrittura drammaturgica di cui sono portatrice in tutti i suoi sensi, sfumature, e nessi. Il 'FAUST' di Marlowe, diventato un dialogo tra Faust e il suo vero doppio, la donna, che in sè assume tutte le facce del mondo di rappresentazione fino alla SALVAZIONE, (viene infatti inserito anche il personaggio di Margherita che appare in Goethe ma non in Marlowe), assume l'andamento e la visionarietà di uno spettacolo gotico post-industriale di stampo millenarista. IL TEATRO ALFRED JARRY ospita il gruppo francese Le ChIEN NOIR e il gruppo di GIANCARLO NANNI E MANUELA KUSTERMAN. Con il 'FAUST', ESPORTATO NELLA SALA ROMANA TEATRO LA FEDE' DI NANNI -KUSTERMAN, appunto, comincia la storia della COMPAGNIA DEL TEATRO ALFRED JARRY. Nome che vuole essere non solo un omaggio a JARRY ma anche e soprattutto ad ANTONIN ARTAUD, che diventa uno dei cardini fondamentali su cui si muove il mio metodo non solo di scrittura ma anche tutto il training di attrice, teacher e metteur en scene. Da allora fino al 1987, al fianco del Santella, con cui ho due gemelli Samos e Valia, mi occupo di tutto il complesso mantenimento della Compagnia e dei Teatri che andiamo a gestire, tra cui voglio ricordare il Teatro Biondo a Forcella, esperimento difficile quanto esaltante, e il Teatro Ausonia, dove gettiamo le basi di un Centro di Produzione, ostacolati, boicottati, perseguitati da tutti, ed è questa un'esperienza per me di tale sofferenza che ne vengo fuori letteralmente con le ossa rotte, finendo sotto una macchina a Milano davanti al Teatro di Porta Romana dove stavo recitando 'DESIDERIO' un mio monologo ispirato a 'UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO' di Tennesee Williams. In quegli anni duri e dolorosi occupandomi di tutto il lavoro teatrale, dall'organizzazione, alla scrittura, alle scene, ai costumi, alle musiche, alle luci, alla regia, elaboro in un mio mondo PSYCHODARK, TRA IL POST PUNK E IL FOLK APOCALITTICO POST INDUSTRIALE, UN PERSONALE STILE DI SCRITTURA E MESSA IN SCENA. Insieme alla dr. VERA VIGANò del Ministero Turismo e Spettacolo, e a compagnie come quella di Nanni/Kusterman e Mario Ricci, comincio a gettare le basi di una nuova politica organizzativa dello spettacolo che vede la nascita del settore COMPAGNIE SPERIMENTALI e SUBITO DOPO L'INGRESSO all'A.G.I.S DELLA SPERIMENTAZIONE.
Con l'avvento delle sovvenzioni statali nascono in Italia numerosi gruppi e teatrini che per un attimo mettono in crisi il potere delle Grandi Ditte che vedono anche una discesa vertiginosa dell'audience, E' così che tutta la scena teatrale si vede costretta a rendere attuali linguaggi e sistemi della messa in scena. Dalle piccole cantine i gruppi vanno all'assalto dei grandi teatri, entrano nei circuiti dei Teatri Stabili, sfondano nella televisone e nel cinema. Ancora una volta in questa rivoluzione si trova in prima linea la compgnia che dirigo, insieme al Santella, che vince il premio NOCI D'ORO a Milano; vede registrati per la RAI 'Mmescafrancesca' una riscrittura da Petito, 'TUTTI AVVELENATI' un nostro testo originale, e 'NOTTURNO' di PISTILLI (unica apparizione televisiva di ANNIBALE RUCCELLO); che vince il premio per una scrittura drammaturgica del TEATRO STABILE DELL'AQUILA con 'PECCATO CHE FOSSE UNA SGUALDRINA', il premio I.D.I., per 'LA MEDEA DI PORTAMEDINA', il premio RICCIONE per 'STORIA DI DORA'. Mentre simultaneamente, affascinata dal mezzo radiofonico, dò ampio spazio ad una forma di scrittura sonora che si ispira alla scenografia verbale del Teatro Elisabettiano dando vita ad una carriera radiofonica con realizzazioni di testi originali prodotti appositamente per la RAI. Come attrice, inoltre, ci tengo ad evidenziare il lavoro e il sodalizio col regista UGO GREGORETTI che mi vede tra i protagonisti di numerose produzioni televisive di prestigio che restano nella storia della ricerca televisiva in Italia, rapporto che si proietta con successo in Teatro con 'LA CANTATRICE CALVA E LE SEDIE' di IONESCO, 'DELIRIO A DUE' sempre di IONESCO, con 'IFIGLI DI IORIO' per il FESTIVAL DI BENEVENTO, DIRETTO E IDEATO DALLO STESSO GREGORETTI, e PRODOTTO DAL TEATRO STABILE DI TORINO, E UNO STRAORDINARIO EVENTO A BORGIO VEREZZI IL PURGATORIO di DANTE., appena tornmata dall’Australia. Infine comincio una carriera in cinema sfondando subito col personaggio della SIGNORINA ISIDE in 'BRUTTI SPORCHI E CATTIVI' di ETTORE SCOLA, per cui ricevo una nomination ai NASTRI D'ARGENTO, e che vince un ambito premio al FESTIVAL DI CANNES. Seguono 'OGGETTI SMARRITI' di GIUSEPPE BERTOLUCCI, 'MACCHERONI' DI ETTORE SCOLA, 'DON CHISCIOTTE' di MAURIZIO SCAPARRO, 'KAMIKATZEN' di GABRIELE SALVATORES, 'WINDOWS' (in AUSTRALIA) di TERESA CREA, 'I VESUVIANI' nell'episodio di PAPPI CORSICATO e come me stessa in voce e volto nell'episodio di MARIO MARTONE. Staccatami sempre più dal Santella per esprimermi in toto nel mio stile produco, scrivo, dirigo, intepreto, metto in scena curando tutti i particolari dell'allestimento. Nascono così: 'DARK LADIES' da LE BACCANTI di EURIPIDE ; 'DESIDERIO' monologo tratto da 'UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO';; 'ASSUNTA SPINA' ispirato all'omonimo racconto di DI GIACOMO; ed un lavoro per la televisione 13 profili di DONNE ESTREME per RAITRE. Stanca di una società culturale retrograda, anti femminista, chiusa su un vecchio concetto di Capocomicato, per niente messo in crisi dall'avanguardia, anzi, è l'avanguardia residua ad ambire ad assumere in sè ciò che resta del Teatro trascinandolo verso un gioco di massacro che, ora, a fine millennio, si è trasformato in un insulso TERMINETOR che sta conducendo i resti delle famiglie tetarali sulle sponde di una ARMAGEDDON DELLA SCENA DI RAPPRESENTAZIONE TUTTA, INCLUSO IL CINEMA; stanca di essere derubata delle mie idee, del mio lavoro, delle mie regie, dei miei scritti, relegata ad un ruolo limitato di attrice pur intervenendo con la mia creatività in tutti i campi e i linguaggi del mondo di rappresentazione; sentendo che mai in Italia mi sarebbe stato riconosciuto il mio ruolo di ARTISTA MULTIMEDIALE AL SERVIZIO DI UNA SCENA GLOBALE DELLE ARTI; espatrio con l'artista visivo MICHELE GENTILE per anadare a porre i nostri talenti al servizio di una Nazione in grande sviluppo e affascinante come l'AUSTRALIA, dove infatti, mostrate le nostre qualità e le nostre credenziali, riceviamo la CITTADINANZA! Dal 1987 con l'artista visivo MICHELE GENTILE, prima in AUSTRALIA, poi in ITALIA, dò vita ad un progetto di ricerca between visual and performing arts che alimenta molti prodotti multimediali a cominciare da 'MEMORY ROOMS' fino ad una serie di VIDEO D'ARTE, VIDEO DOCUMENTI, VIDEO MOVIES, MOSTRE, PRESENTAZIONI DI LIBRI, LAVORI IN DIGITALE - Prende così sempre più forma quell'idea di ARTE TOTALE che avevo sempre perseguito ed anzi, a contatto con una società multietnica che in sè include la CULTURA DEL POPOLO ABORIGENO, comincio a vedere possibile la nascita di un LINGUAGGIO SINCRETICO. In AUSTRALIA il lavoro prende una piega esaltante e raggiungo i massimi risultati nel campo della RICERCA collaborando con l'ACADEMY OF PERFORMING ARTS un istituto di formazione per artisti che esprime già nella sua struttura quel bisogno di interrelazione tra tutti i linguaggi artistici che da sempre è stato un mio sogno. Nell'ACADEMY OF PERFORMING ARTS dirigo due produzioni di rilievo: 'MEMORY ROOMS' PROGETTO BETWEEN VISUAL AND PERFORMING ARTS CHE INCLUDE UNO SCAMBIO CULTURALE CON GLI ABORIGENI, IL PRIMO NELLA STORIA DELL'AUSTRALIA, E DIVENTA CULTURAL HERITAGE DEL WESTERN AUSTRALIA. IDEAZIONE ORIGINALE SU CUI A TUTT'OGGI CONTINUO A LAVORARE; TONIGHT WE IMPROVISE' RISCRITTURA DRAMMATICA, IN INGLESE, DI 'QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO DI PIRANDELLO IN CUI AL FIANCO DI PULCINELLA INTRODUCO UNA NUOVA MASCHERA ISPIRATA ALLA CULTURA MITICA DEI NATIVI AUSTRALIANI: PUNCHEMU - SEMPRE PER L'ACADEMY OF PERFORMING ARTS METTO A PUNTO UN PERSONALE TRAINING PSICOFISICO, ELABORO UNO STUDIO SULLA COMMEDIA DELL'ARTE in RAPPORTO AL MONDO MITICO CULTURALE ABORIGENO, PRENDO PARTE AD UN'IMPORTANTE CONFERENZA DELLE ACADEMIES D'AUSTRALIA E NEW ZEALAND. VINCO UNA PRESTIGIOSA BORSA DI STUDIO DALL'AUSTRALIA COUNCIL FOR THE ARTS - LITERATURE BOARD - PER UN PROGETTO DI NEW WRITING FOR PERFORMANCES CHE MI CONSENTE DI VIAGGIARE INTORNO ALL'ISOLA CONTINENTE ED ENTRARE IN CONTATTO CON I RESTI DELLA CULTURA ABORIGENA PER DAR VITA AD UN'ELABORATO CONCETTO DI NUOVA SCRITTURA SCENICA PER IL NUOVO MILLENNIO. LA RICERCA Dà VITA PER PRIMA COSA AD UN LIBRO : 'LA TERRA PARALLELA / TEORIA DEL SOGNO' PUBBLICATO A NAPOLI . MA LO STUDIO E L'ANALISI DEGLI ELEMENTI PRODOTTI, IN FASE DI SVILUPPO A TUTT''OGGI, MI PORTA AD UN TUTTO NUOVO CONCETTO DI SCRITTURA MULTIMEDIALE E DIGITALE. TORNATA A NAPOLI NEGLI ULTIMI ANNI DEL MILLENNIO Dò VITA, CON LA VITALE COLLABORAZIONE DI MICHELE GENTILE, AD UN MIO SOGNO: 'DREAM'S THEORY' ITALO AUSTRALIAN MULTIMEDIA CENTRE in PIAZZA CEAREA 5 (39 81 5644001 / 5643085) DOVE FIORISCE UNA PRODUZIONE DI LABORATORII DI VIDEO TEATRO, VIDEO ART, VIDEO DOCUMENTI (VEDI NOTE BIO) ATTUALMENTE STO LAVORANDO AD UN'IDEA DI CYBER THEATRE E COL GENTILE ad una VIRTUAL ART - GALLERY - E QUESTO E' ANCORA L'INIZIO !!!!!
Vincent è morto di Fortunato Cerlino
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Vincent è morto è stato selezionato dall'Outis per la Mostra Mercato nel giugno 2000, è risultato finalista all'edizione 2001 del premio Enrico Maria Salerno e segnalato all'edizione 2001 del Premio Vallecorsi.
Motivazione della giuria del Premio Vallecorsi
"Fortunato Cerlino in “Vincent è morto” elegge a protagonista un giornalista scrittore pedofilo, condannato a morte, che affida al migliore amico i suoi sogni nel cassetto. La vicenda si sdoppia tra quanto avviene nella cella della morte e quanto invece si proietta virtualmente nei sogni del morituro. L’alternanza tra mondo reale e mondo onirico ha un ritmo incalzante con dialoghi in lingua alta e in lingua bassa che riflettono considerazioni non superficiali sulla legittimità della condanna capitale."
Note dell'autore:
Vincent è la possibilità negata, la storia di un grande uomo che muore suicida. La vendetta è un male che le società eticamente sviluppate non devono tollerare, perché sono queste a produrne le condizioni. Il bene commesso genera altro bene, il male commesso al contrario apre due possibilità ; generare ancora male o essere viatico di un bene maturato dalla sofferenza. Quando l’uomo condanna l’uomo non è soltanto concettuale che condanna se stesso. Dare la morte all’atto empio si può solo cambiandone la natura ma questo ha bisogno di fiducia in se stessi. Se è la morte che interrompe la vita, e di questo non sono convinto, per contro è vero che la vita mette fine alla morte. Se l’uomo è sintesi tra possibilità di percepire se stesso e necessità che questo avvenga, darsi la morte è negare entrambe le cose. Il carnefice è soltanto il nostro braccio armato, vittima delle colpe sociali e cancro visibile a condanna di tutti. Non si può combattere un sintomo, si può e si deve curare la malattia. A fallire non è il carnefice, ma la natura umana. Tutte le vite sono la nostra vita, e la nostra è tutte. La vittima, e mi perdoni chi è stato colpito dal dramma, non è in questo diversa dal colpevole. Il crimine non si consuma tra due soggetti, ma dal soggetto uomo che uccide se stesso e il paradosso sta nel fatto che si uccide tante volte senza riuscire a morire ; quando si arma la mano, quando da sicario agisce, quando colpito muore, quando dichiara la massima pena, quando la esegue. Le società non possono cedere alla vendetta perché sono i mandanti del delitto. Uccidere chi uccide, dov’è il senso ? Vincent vuole morire perché come la società che l’ha prodotto fugge il confronto con il suo male. Egli sente che continuare a vivere è dare fiducia ad un se libero dal male commesso, e questo richiede un coraggio che forse non appartiene all’uomo finito. Vincent si sostituisce a se stesso ; l’alibi , la complicità, gli è concessa da una società che nasconde Vincent nella morte, ma l’oblio è solo illusione, la colpa armerà la mano di altre vittime che uccideranno vittime. Inoltre la sbornia di sangue produce sete di sangue. Bisogna astenersi dalla pena di morte, perché questa è l’oppio dei popoli incoscienti di se stessi. La giustizia nasce dal perdono, nessun Dio solleverà la responsabilità di chi elimina un crimine eseguendo un crimine. Che Vincent viva dunque, colpevole com’è ! Prenda la responsabilità di guardarsi e divenire, ripartendo dalla sua colpa. Scelga se stesso ( Kierkegaard). " (...) Donna, dove sono quei tuoi accusatori, nessuno ti ha condannata ?" Giovanni 8.10
Fortunato Cerlino
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