I drammi del mese
Bambino di guerra di Massimo Nicoli
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Bambino di guerra non è mai stato rappresentato ma ha ricevuto alcuni riconoscimenti. Nel 1995 ha ottenuto una segnalazione di merito nell'ambito del premio nazionale "Giacomo Bardesono". Nel 1997 ha superato la selezione italiana per la partecipazione a uno workshop tenutosi in Olanda dal titolo: "Ouch, theatre meets social reality in Europe" promosso dall'Unione Europea e organizzato dall' European network of art organizations for children and young people (EU NET ART). In quell’ambito ad Amsterdam fu presentata anche una scena del lavoro teatrale con la regia di Marco Baliani. Al termine della manifestazione “Segnali”, il testo fu pubblicato su Sipario del maggio 1995.
Una nota critica
di Sergio De Sandro Salvati
Molto intelligente l’idea dell’autore di non collegarsi ad alcun elemento spazio-temporale in modo da rendere la ‘sua’ una storia universale, realistica, con tutti i risvolti emotivi al posto giusto, forse un po’ scontati, ma mai banali. I racconti di guerra fanno parte, ormai, di una certa routine: entrano quotidianamente nelle nostre case attraverso i media con la semplicità disincantata e accattivante degli stereotipi, impossibili da rielaborare perché essi stessi sintesi, simboli, maniera, oggetti da prendere e consumare con interesse sempre più distaccato. Non è difficile riscontrare in questo una sottile insidia per la nostra coscienza: anche se in modo non intenzionale le continue incursioni di immagini e commenti raccapriccianti ci rendono paradossalmente sempre più insensibili ai dolorosi drammi della guerra che tutti i giorni si vivono concretamente nel mondo. Ma qualcosa può invertire questa tendenza: la rappresentazione teatrale; una sorta di scorciatoia per arrivare prima agli ‘obiettivi’ più sensibili dell’uomo. Come operatore teatrale ritengo che “Bambino di guerra” di Massimo Nicoli sia valido proprio per questo motivo; perché ripropone finalmente la magica condizione di poter essere spettatori attivi (non televisivi), offrendo la possibilità di rappresentarsi direttamente nella “verità” del teatro e di esaltare i caratteri più genuini della propria sfera emotiva. Nella sua stesura drammatica e relativa lettura teatrale il testo risulta molto scorrevole, ricco di scambi, attese, sorprese e, anche se apparentemente rigido nella successione e articolazione delle scene, riserva ampi spazi dove la fantasia del regista può liberarsi per favorire, se occorre, occasioni di esaltante spettacolo.
Presentazione di Giuseppe Manfridi
Dal numero 556 di " Sipario" maggio 1995
Testo breve ma articolato e composto con notevole abilità drammaturgica. Durante un ipotetico conflitto che molto ricorda quelli a noi limitrofi e con cui conviviamo, ormai assuefatti da tempo, il piccolo Stefan e sua madre Ruth danno asilo in uno sgabuzzino della loro piccola casa a Mitch, una sorta di partigiano schierato, all’apparenza, dalla parte dei giusti. In realtà, che Mitch, per dirla in modo infantile, sia uno dei buoni o no poco importa. ricordo quello splendido racconto che è il silenzio del mare di Vercors in cui un gerarca nazista, durante l’occupazione tedesca in Francia, stabilisce un rapporto di straordinaria comunicazione con la coppia di padre e figlia costretta ad ospitarlo e che oppone, all’ansia di conoscenza del nemico, un fiero ma permeabilissimo mutismo. Nulla di più alto della passione di quello straniero in pena per una terra non sua ma profondamente venerata. Così Mitch, poeta e mago col dono di un’affabulazione che incanta, diventerà il grande compagno di giochi di Stefan a onta delle angosce di Ruth, creatura vulnerabile e forte, dolcissima nel suo essere scissa tra le preoccupazioni materne e il proprio senso di umanità. Ma vorrei lasciarvi alla lettura di questo testo con l’incantata domanda che nella commedia di Massimo Nicoli il piccolo Stefan rivolge a sua madre: - Mamma, anche gli alberi fanno la guerra? -”.
Presentazione dell'autore
Il testo è nato e si è sviluppato all’interno di un laboratorio di drammaturgia, organizzato nel 1995 dalla Regione Lombardia, nell’ambito della manifestazione “Segnali. Le proposte 95/96 del Teatro Ragazzi Lombardo”. Il laboratorio fu condotto con grande abilità e competenza da Giuseppe Manfridi. La prima sollecitazione fu quella di proporci un tema da cui partire: “Sogni da un campo di battaglia”. Questa frase suscitò in me un’immagine che fu germe e punto di partenza di tutto il lavoro successivo. Immaginai un bambino che stava giocando con una barchetta in una pozzanghera. Il gioco veniva interrotto perché il bambino era attratto dal rumore sempre più incombente di soldati in marcia. Una donna, la mamma del bambino, usciva di casa allarmata, abbrancava il bambino e lo trascinava via. Successivamente i militari passavano e nella loro marcia travolgevano la pozzanghera e la barchetta di carta. Dopo aver pensato questa immagine (più cinematografica che teatrale) cominciai a considerare il motivo e quali significati racchiudeva. Scoprii così che c’era già tutto il senso del lavoro. Un bambino strappato al suo gioco da un adulto spaventato e preoccupato. La barchetta distrutta. Il bambino privato del suo diritto a giocare e costretto a rimanere chiuso in casa. Quello che volevo raccontare era proprio questo: ciò che la guerra provoca nel bambino. Non necessariamente in quei bambini che vengono sempre più tragicamente coinvolti da esplosioni e sparatorie, per i quali ci si strappa le vesti e poi, altrettanto rapidamente, ci si dimentica, ma in tutti i bambini che si trovano a subire condizioni e condizionamenti dovuti alla guerra. La vicenda, che comprende anche uno sviluppo avventuroso, ruota principalmente attorno alla figura di Stefan, il bambino, ed è caratterizzata dalle sue frequenti domande. A rispondere a queste domande sono Ruth la madre, comprensibilmente preoccupata e ansiosa , e Mitch, un misterioso rifugiato nascosto nella casa di Stefan, capace di offrire al bambino nutrimento alla sua fantasia e alla necessità di gioco. L’ultimo personaggio è rappresentato da Ierivna, una donna pettegola e impicciona, forse addirittura un’informatrice che rappresenta una minaccia continua per la piccola famiglia. In quel periodo era in corso il conflitto nella ex Jugoslavia ma il testo non vuole avere una collocazione precisa nello spazio, anche la scelta dei nomi è fatta seguendo questo criterio. Vuole rappresentare idealmente tutti i conflitti e i loro effetti sui bambini. Non credevo che il testo avrebbe continuato a restare di attualità così a lungo.
Massimo Nicoli