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I drammi del mese

Ciò che non si può dire - il racconto del Cermis di Pino Loperfido

Dettagli
Pubblicato: 28 Settembre 2010
Visite: 2419

Ciò che non si può dire... non solo è stato detto per tutta la scorsa stagione teatrale ma ancora si continua a dire nella tournee di quest'anno. Vincitore del Premio Bolzano teatro nel 2001, ha vinto il Premio Chianciano per la letteratura e la televisione sempre nel 2001, la Targa Speciale Il Molinello nel 2002, il Concorso Autori Co.f.as.. Lo spettacolo, con la regia di Paolo Bonaldi e interpretato da Andrea Castelli, è stato prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano in collaborazione con Centro Servizi Culturali S. Chiara e Coordinamento Teatrale Trentino.

Le prossime date della tournee:
Gallarate (Va), Teatro delle Arti
mercoledì 12 febbraio h. 21
Bolzano: Nuovo Teatro Comunale (Teatro Studio)
venerdì 14 febbraio h. 20.30
sabato 15 febbraio h. 20.30
domenica 16 febbraio h. 16
lunedì 17 febbraio h. 20.30
martedì 18 febbraio h. 20.30
mercoledì 19 febbraio h. 20.30
giovedì 20 febbraio h. 20.30
venerdì 21 febbraio h. 20.30
Osnago (Lc), Teatro Sironi
domenica 23 febbraio h. 21
Settimo Torinese (To), Teatro Garybaldi
giovedì 27 febbraio h. 21
venerdì 28 febbraio h. 21
sabato 1 marzo h. 21

Il libro: Edizioni Curcu & Genovese - Trento

Nota dell'autore:
Eventi come quello del Cermis ti costringono a prendere posizione, a riflettere al di là di una semplice indignazione momentanea. Questo testo è il risultato di indagini, documentazioni, ma soprattutto è frutto di un’analisi profonda, di un lavoro che ho voluto compiere innanzitutto su me stesso. Un testo di indignazione civile, d’accordo, ma pure un testo “umano”, con una forte valenza ontologica. Su quella cabina superstite, c’è il manovratore, solo, ma c’è pure ognuno di noi con le sue problematiche legate all’esistenza: la paura, la delusione, il dolore, quel dolore che tutta una cultura dominante ci spinge a celare, ad esorcizzare, a spazzarlo via sotto al tappeto. “Ciò che non si può dire” offre il fianco a speculazioni feroci, si presta benissimo ad essere strumentalizzato da questa o da quell’altra parte politica. È per questo che mi rivolgo a Te, che assisti alla rappresentazione o che leggi il libro. Per dirti quello che non si può dire. E cioé che il superstite al disastro può essere ognuno di noi quando perde la speranza, quando sperimenta il male. C’hanno provato in tanti a dire che il mio libro è contro l'America. Eh, no, cari. Il crollo delle Twin Towers è stato un po' il crollo di tutti noi, lo smottamento della nostra umanità. Dall'11 settembre 2001, ogni persona che abbia un po' di sale in testa è cambiata, ha mutato il suo modo di vedere il mondo, le persone e le cose; ha riformulato e ricalcolato credenze, visioni e convinzioni. Un po' quello che accade al protagonista del mio testo. In "Ciò che non si può dire" il carnefice è l'imbecillità, quell'imbecillità che "oltre a non avere sesso e religione, non ha patria". Quello compiuto dal Prowler al Cermis è stato un atto deliberato di scelleratezza che non richiede né presuppone l'appartenenza ad una determinata nazione. Io non sono mai stato critico sulla presenza delle basi Usa in Italia e comunque non mi interessa prendere posizione sull'argomento. Quello che dovevo dire ve l’ho detto. Ricordatevelo. Anzi, fate come gli alberi della Val di Fiemme: scrivetevelo dentro. Per non dimenticarlo mai più. L’oblio è la prima, la più crudele, la più disumana delle ingiustizie. Grazie.
Pino Loperfido

Di cosa parla:
Il 3 febbraio 1998, un aereo Prowler della base militare U.S.A. di Aviano trancia di netto i cavi della funivia del Cermis; una cabina precipita nel vuoto causando la morte di tutte le venti persone che vi erano a bordo. Questa è la ricostruzione "teatrale" del disastro affidata ad un protagonista, il manovratore del vagoncino che saliva verso la stazione intermedia, che restò appeso nel vuoto per un tempo indefinito, prima che un elicottero, con una spericolata manovra, riuscisse a portarlo a terra. Il Cermis è ormai sinonimo di strage, ma è anche il paradigma della tenace volontà della gente di Cavalese di non restare schiacciata sotto un vagoncino, giallo o rosso che sia, né di essere appesa a quel filo tranciato un pomeriggio d'inverno da chi giocava a fare la guerra come davanti ad un videogame. "Ciò che non si può dire" è la riproposizione di un disastro come una tragedia portata sul proscenio da un protagonista che racconta ciò che ha vissuto. Perché non sia dimenticato.
La stampa

"Il 3 febbraio 1998 un aereo americano da guerra, in volo di addestramento, tranciò i cavi della funivia che dalla Val di Fiemme sale al Monte Cermis, provocando la morte della ventina di sciatori che in quel momento erano sospesi in cabina. L’inchiesta mostrò che l’aereo non doveva scendere così in basso nella valle, che il pilota l’aveva fatto per bravata, e mise anche in evidenza il depistaggio operato dal personale di bordo e dalla base di Aviano. La giustizia italiana fu costretta a dichiararsi incompetente, quella militare americana emise una sentenza scandalosamente mite. Sulla strada delle ‘orazioni civili’ inaugura da Marco Paolini, Pino Polerfido ricostruisce l’andamento del terribile incidente, dando voce ad superstite: il conduttore della cabina che viaggiava in senso inverso. Quel che emerge è la crudeltà, l’insensatezza, e la prevedibilità di un disastro che si poteva benissimo evitare."
Ugo Volli "La repubblica"

"Ricostruendo insieme con il regista Paolo Bonaldi il "suo" Cermis, Andrea Castelli ha lavorato sull'alternanza: comici i pochi momenti tali, al limite del grottesco. Poi tesi i momenti di passaggio, pieni i silenzi."
Eugene Galasso "Il mattino"

"Dal racconto, misto di italiano e dialetto, del manovratore superstite prende vita "Quello che non si può dire. Il racconto del Cermis" di Pino Loperfido, testo vincitore del Premio Bolzano Teatro 2001. Prodotto dallo Stabile di Bolzano, il monologo è interpretato da Andrea Castelli per la regia di Paolo Bonaldi. Da vedere."
Claudia Cannella "Corriere della sera"

«Ciò che non si può dire», perché la stupidità e l'ingiustizia, talvolta tagliano la parola in bocca, Pino Loperfido trentenne scrittore trentino, l'ha detto con un racconto onesto e disperato, premiato col Bolzano teatro 2000, sulla tragedia del Cermìs. Marco Bernardi ha fatto mettere in scena il testo dallo Stabile di Bolzano affidando la regia a Paolo Bonaldi e l'interpretazione ad Andrea Castelli, attore popolare in Alto Adige ma non conosciuto come meriterebbe altrove (al Litta fino al 24). Con questo lavoro di impegno civile e sofferta partecipazione, ben rispondente ai doveri di repertorio di un teatro pubblico (…) .Nella versione teatrale chi racconta è il manovratore superstite dell'altra cabina, sfiorata dall'aereo della morte: espediente che - in un intreccio "alla Paolini" fra cronaca puntigliosa della sciagura e testimonianze e ricordi dei valligiani (assurda coincidenza: nel '76 c'era già stata una disgrazia analoga) - dà spessore drammaturgico e accenti di verità al monologo. Tanto più efficace è il testo - che nella sua fatale determinazione non può non ricordare "Il ponte di Saint Louis Rey" di Thornton Wilder - in quanto non indugia, se non per denunciare lo scandalo della quasi impunità dei colpevoli, in un antiamericanesimo di maniera. Odio, sì, dice il superstite della tragedia, ma per l'incoscienza di chi stracciò i piani di volo abbandonandosi ad acrobazie omicide: "Non ce l'ho con l'America, ce l'ho con l'imbecillità!". Perché "quei morti (i cui nomi, in uno stillicidio funebre di note, compaiono alla fine su uno schermo) restano morti". Il testo trova l'interprete ideale in Andrea Castelli, attore - orchestra che dà il colore di una varia umanità al suo personaggio, ne fa un montanaro semplice e giusto che parla, straziato, a nome della sua valle oltraggiata e delle vittime.
Ugo Ronfani "Il giorno"

Ma «quel pezzo di cielo rimasto vuoto sopra Cavalese» diventa anche una finestra nella quale cogliere una forte invocazione spirituale che passa attraverso il comprensibile giorno dell'ira per approdare alla speranza dell'aldilà.
Diego Andreatta "Avvenire"

«Pino Loperfido, con il suo “Ciò che non si può dire”, trova una forma lirica e, nello stesso tempo, puntuale e precisa, per raccontare una recente tragedia, una di quelle tragedie italiane che non sono fatalità, ma colpa. In controtendenza rispetto alla sua generazione, Loperfido dimostra che l’impegno non è morto e può non andare a discapito della ricerca formale.»
Sergio Zavoli presidente della giuria Premio Chianciano 2001.

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