Recensioni
Drammaturgia contemporanea in scena

- Scritto da Laura Bevione
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Testo pluripremiato – Premio Hystrio Scritture di Scena 2015 e Mario Fratti Award 2016 – il copione di Emanuele Aldrovandi è arrivato alla messinscena con la regia dello stesso autore e l’interpretazione eclettica e coinvolta di Bruna Rossi e Giorgia Senesi. Le due sono la Mora e la Bionda, sorelle cresciute simbioticamente da sole: la madre si è suicidata quando erano bambine e il padre – inguaribile e imperturbabile trafficone - si è rifatto una vita all’estero. Per trascorrere il tempo ma, soprattutto, per ricalibrare ognora gli inevitabili squilibri sorti nella loro relazione, tanto tenace quanto mutevole e asimmetrica, le due hanno ideato fin da piccole un gioco, legato a un particolare gioiello, una collana a forma di farfalla. Colei che la indossa può obbligare l’altra a compiere qualsiasi cosa e quest’ultima, a sua volta, può successivamente “vendicarsi” costringendo la sorella a un’azione sgradita. Un continuo passarsi il gioiello e infliggersi punizioni più o meno gravose, in un gioco privatissimo che,

- Scritto da Laura Bevione
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Quasi un novello Cavaliere rampante, Gio denuncia la propria estraneità a una realtà in cui non è né compreso né amato, allontanandosene e compiendo una scelta clamorosa. Ma, mentre Cosimo rimane ben visibile e presente pur fra le chiome degli alberi, il co-protagonista del testo di Tobia Rossi – vincitore del Mario Fratti Award 2019 – ricerca l’invisibilità. Sistematosi in una caverna, accuratamente attrezzata, Gio – interpretato da Andrea Manuel Pagella – viene aggiunto alla lunga lista degli adolescenti scomparsi – fuggiti da casa, vittime di pedofili o commercianti di organi, le ipotesi sono le più varie e fantasiose – finché il coetaneo Mirko – Luca Vernillo De Santis – scopre causalmente il suo rifugio. Da quel momento fra i due nasce un rapporto schizofrenico e traballante, ingenuo e profondissimo, che ne modifica radicalmente la coscienza e la conoscenza di sé. Gio è scappato dalla famiglia e, soprattutto, dalla scuola, poiché vittima di incomprensioni e bullismo – i compagni lo

- Scritto da Paolo Randazzo
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Una madre, una figlia. Una donna semplice, una madre che accudisce, da sola e con stenti, la sua bambina, poi un banalissimo incidente domestico: la bambina giocava con la sua Barbie, la madre era tutta intenta alla sua macchina da cucire, una caduta ed ecco che la vita della bambina resta incagliata per sempre, che quel sorridente concentrato di amore, di gioia, di luce, di bellezza bambina diventa poco più che un corpo da pulire e nutrire con devozione per dieci lunghissimi anni di coma. L’irrompere crudele della morte nella vita. Ecco una casa modesta e dimessa, le pareti sbrecciate, una casa che, chiusa dall’interno, diventa auto-isolamento assoluto, carcere asfittico, trincea silenziosa, simulacro domestico, bunker, ma soprattutto luogo di immaginazione folle certo, set di un dialogo malato, pietoso, difesa estrema dalla lama del dolore. Arriva il momento di staccare la spina, è inevitabile perché davvero non c’è più niente da fare, e tocca proprio a lei farlo, a lei madre, non può che toccare a lei. A quel

- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Le vite degli uomini come traiettorie, ciascuna con il suo specifico mistero, con il suo soggettivo discorso, con la sua singolare narrazione, che si intersecano nel vuoto ed il cui unico modo di comunicare è, retoricamente parlando, l'equivoco. Ciò che ciascuno dice, secondo il suo discorso, è infatti interpretato dall'altro secondo la sua narrazione. Intorno, come detto, il vuoto di un universo, metafisico ed esistenziale, minacciosamente incombente, presagio di una (della) prossima catastrofe e insieme espressione di una prigionia invincibile, di un controllo superiore e supremo, evidente ma insieme sconosciuto, che come in 1984 di Orwell recupera quelle traiettorie dalla loro stessa esplosione al prezzo della loro (im)possibile libertà. La drammaturgia di Harold Pinter, nel suo complesso, ha profonde radici e suggestioni nel teatro dell'assurdo ma lo miscela, anche per corrispondenze e intrecci generazionali, con il teatro degli Arrabbiati anglosassoni. Questa sua piecè giovanile (è del 1957) porta, dunque, ancora con sé il desiderio, se non la forza, di una possibile ribellione, il disagio di una condizione umana senza senso, che non si vorrebbe accettare ma che siamo costretti ad accettare, quasi

- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Questa ultima drammaturgia di Frosini/Timpano ha, a mio avviso, un immediato pregio, quello di metterci di fronte, per dirla con i Futuristi stessi, a un esplosivo e dissociante grammatical/linguistico/estetico doppio binario interpretativo e significante. Basta alternare soggetto e oggetto o complemento perchè possa intendersi, al titolo mi riferisco, da una parte “il disprezzo verso la donna” di una secolare cultura patriarcale, dissociata tra esaltazione e svalorizzazione, tra madre e amante ma entrambe in subordine, e “il disprezzo che la donna ha cominciato a maturare” verso quella condizione imposta e verso coloro che la imponevano. Il disprezzo, cioè, profondamente rivoluzionario di un femminile, proprio in quei decenni sempre più consapevole di sé, che si faceva man mano femminismo anche militante, a beneficio di un maschile stretto nel dilemma di un patriarcato in disgregazione. Un approccio dissociante in quanto dissociato che mescola, attraverso la girandola di citazioni dai

- Scritto da Paolo Randazzo
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Siamo a raccontare “La rimozione”, lo spettacolo tratto dall’omonimo racconto di Sciascia (inserito nella raccolta “Il mare colore del vino del 1973), costruito e diretto da Cinzia Maccagnano e con l’interpretazione di Rossana Bonafede, Pietro Casano, Marta Cirello, Rita Fuoco Salonia. Lo spettacolo è stato in scena, dal 9 al 12 febbraio a Catania, nella “Sala Futura”, nel contesto del “Progetto Sciascia”, uno dei contenitori tematici voluti dal direttore dello Stabile Etneo, Luca De Fusco, per esplorare l’identità siciliana (teatrale, artistica, più genericamente culturale), semmai oggi ce ne fosse ancora bisogno. Molto lavoro e molta energia, però lo spettacolo non convince. Ci chiediamo il perché e proviamo a spiegare. La Maccagnano è una regista che sa il fatto suo, versatile, di solida formazione. Lo stesso può dirsi dei quattro interpreti, non mancando di sottolineare il felice ritorno sulla scena di Rossana Bonafede. A non funzionare è il testo che, pur essendo firmato da Sciascia (il