Il dramma del mese

L'AcquaSantissima di Francesco Aiello e Fabrizio Pugliese
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Che cosa determina la non contraddizione tra la cultura mafiosa e quella cattolica?
Com’è possibile, all’interno della stessa Chiesa, la presenza di un Dio dei carnefici e un Dio delle vittime?
In scena è un uomo dell’ndrangheta a parlare: la ricerca drammaturgica e scenica viaggia verso la creazione di un ‘personaggio narrante’; storie e fatti sono filtrati attraverso il suo sguardo in uno sforzo di immedesimazione che, considerata la materia, richiede non poca fatica.
La mafia può contare su miti potenti, riti, norme e simboli di forte presa, senza i quali sarebbe come un popolo senza religione né legge. Grazie a questo i mafiosi hanno costruito un’immagine di sé di ‘uomini d’onore’, paladini dell’ordine che fanno giustizia; ma nella loro lunga storia non hanno mai difeso i deboli contro i forti o i poveri contro i ricchi: la mafia è un fenomeno di classi dirigenti, di potere.
Abbiamo quindi dato forma a una creatura narrante, un’anima nera: il lato oscuro del pensiero meridiano, che parla di mafia, religione e, inevitabilmente, di potere, portando il pubblico su un piano di ascolto lucido e mai eccessivamente emotivo.
(Dalle note degli autori)
Prodotto da URA Teatro e Federgat, il testo teatrale in gioco è anche uno spettacolo andato in scena per la prima volta il 20 giugno 2019, al Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno per il festival I Teatri del Sacro. A interpretarlo con intensità di vibratili accenti, fra le musiche di Remo De Vico, ancora Fabrizio Pugliese che ne ha curato la regia con lo stesso Francesco Aiello. Lavoro scenico che «si muove intorno ad un inginocchiatoio, attraverso una ritualità verbale che mischia continuamente il sacro con il profano, entrando in modo diretto nelle viscere della problematica, restituendone allo spettatore tutte le valenze più profonde e spesso sconosciute», come ha scritto Mario Bianchi per la webzine “KLP - Krapp’s Last Post”.
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Francesco Aiello, nato a Cosenza nel 1981, inizia il suo percorso teatrale durante gli anni universitari con la compagnia Libero Teatro, prendendo parte a molte messinscene del regista Max Mazzotta tra cui: IL SOGNO DI LEAR e GIANGURGOLO – PRINCIPE DI DANIMARCA da William Shakespeare, VUOTI DI MEMORIA da Primo Levi, CAOS da Luigi Pirandello e VISIONI DI GALILEO da Bertolt Brecht. Interpreta poi altre pièce montate da registi quali: Francesco Suriano (ARROBBAFUMU; LA BROCCA ROTTA A FERRAMONTI; PEER ’U STORTU; SALVATORE, CACATICCHIU, GAMBILONGHE E FERDINANDO), Francesco Marino (I RACCONTI DEL PINEROTTOLO), Lindo Nudo (MIA MARTINI, UNA DONNA, UNA STORIA; AMORE E STALKING; CALABRIA, UNA STORIA) e Anna Carabetta (FORAGABBU E MERAVIGLIA). Nel 2013, invece, viene diretto dal grande Eimuntas Nekrošius nel laboratorio-spettacolo VITA DI GALILEO da Brecht, andato in scena al Teatro Olimpico di Vicenza. Diversamente, nel 2017, debutta come regista e drammaturgo con L’INCIDENTE – IO SONO GIÀ STATO MORTO, presentato in prima nazionale al festival Primavera dei Teatri e con cui si aggiudica tre premi al concorso NOpS Out del Teatro Tor Bella Monaca di Roma. Molto attivo nel mondo del cinema, recita nei film FIABESCHI TORNA A CASA di Max Mazzotta, SCALE MODEL e GOODBYE MR. PRESIDENT di Fabrizio Nucci e Nicola Rovito, oltre a RACCONTO CALABRESE di Renato Pagliuso. Recita anche in diversi cortometraggi tra cui si ricorda ECCO SORRIDE di Andrea Belcastro, grazie al quale vince il premio per il miglior attore al concorso Brevi d’autore. Il suo ultimo lavoro teatrale da regista e interprete è CONFESSIONI DI UN MASOCHISTA, scritto da Roman Sikora, coprodotto nel 2018 da Teatro Rossosimona, Primavera dei Teatri e PAV Fabulamundi.
Fabrizio Pugliese. Cosentino, ‘emigrato’ a Lecce, si forma tra Bologna (dove si laurea al DAMS), Roma e Cosenza come attore e regista nonché arte-terapeuta. Dal 1992 al 2012 lavora con il leccese Teatro Koreja, storico Stabile d’Innovazione, partecipando come attore e autore alle sue maggiori produzioni; occupandosi inoltre di strutturare la didattica di molteplici laboratori di formazione teatrale che realizza con bambini, insegnanti e disabili; mentre crea, peraltro, numerosi spettacoli per l’infanzia. Un ricco insieme di attività tuttora in corso, sulla fertile scia di ulteriori incontri e collaborazioni. Dal 2015, infatti, collabora con Principio Attivo Teatro e Cooperativa Thalassia su diverse produzioni. Nel maggio 2015 invece, con Fabrizio Saccomanno, fonda l’associazione URA Teatro riprendendo una collaborazione iniziata con lui un quindicennio prima, proprio presso Koreja. Nascono cosi diversi lavori di teatro di narrazione, ma sempre ricercando nuovi stili narrativi e possibilità sceniche.

Così lontano, così Ticino di Davide Marranchelli
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Trentamila erano, a metà degli anni ’70 del secolo scorso, i bambini italiani clandestini in Svizzera: sepolti vivi, per anni, nei loro bugigattoli alle periferie delle città industriali; con i genitori che, terrorizzati dalle denunce dei vicini, raccomandavano loro di non fare rumore, non ridere, non giocare, non piangere.
La drammaturgia che state per leggere nasce, dunque, dalla scoperta di tale fenomeno dei «Versteckte Kinder» – bambini nascosti – proseguito con altri numeri fino all’ultimo decennio del ’900: bambini costretti a seguire in Svizzera i genitori, lavoratori stagionali, ma per legge clandestini e impossibilitati al ricongiungimento famigliare.
Due di loro sono i protagonisti di questa commedia nera. Cresciuti in una situazione di disagio, senza poter vedere la luce del sole, studiare, giocare al parco come i loro coetanei; e poi, da adulti, ancora incapaci di conoscere i loro sentimenti e quelli altrui: tormentati come sono da profonde paure e da un folle desiderio di rivalsa verso una nazione che non li voleva e che non li vuole ancora oggi.
Da comasco sono cresciuto immerso in una realtà incredibilmente diversa dal resto d’Italia, quasi senza accorgermene. Per noi delle province di confine è sempre stato normale avere lo zio a Basilea, il cugino a Ginevra, una sorella o una fidanzata lavoratrici in Svizzera, i nonni dipendenti della Lindt, la bisnonna contrabbandiera di sigarette.
Como, la ricca Como ‘minacciata dalle orde migratorie’, è essa stessa una città di migranti giornalieri, lo è sempre stata, e non me ne ero mai accorto.
Finalmente posso raccontare qualcosa che conosco da vicino: un rapporto, quello con il Ticino, molto controverso. Se da una parte i frontalieri “portano a casa i soldi”, dall’altra spesso nascondono l’insofferenza per essere trattati da ‘italiani’: lavoratori che si accontentano di un salario basso; spesso accompagnati da pregiudizi come quelli espressi dalla barzelletta raccontata in tutta serenità dall’ex sindaco socialista di Berna, Alexander Tschappat, ripresa nel corso della commedia da uno dei personaggi.
E contando anche che – tramite referendum del 25 settembre 2016 – il Canton Ticino ha approvato l’articolo costituzionale “Prima i nostri”, teso a privilegiare la manodopera indigena nelle assunzioni di lavoro, i due protagonisti della pièce intendono dare allora un segnale di protesta e ribellione talmente forte da imprimersi, una volta per tutte, nell’immaginario dell’opinione pubblica elvetica.
Rapire Mina. Questa la soluzione. Mina, la grande cantante, la tigre di Cremona. Nata a Busto Arsizio. Residente a Lugano. Riportarla a casa, come la Monna Lisa.
La scelta drammaturgica è strettamente legata al mio ruolo di attore e regista. La scrittura nasce già recitata, masticata in bocca prima di essere scritta, e cerca di lasciare spazio all’azione anche a discapito dell’esposizione giornalistica dei fatti che la determinano.
La scelta del linguaggio dell’opera rispecchia profondamente la mia visione del mondo, la necessità di ridere di fronte a tutto ciò che non conosciamo di noi stessi e di tutto ciò che ci circonda.
La tematica affrontata è a cerchi concentrici. Parte dal macrotema sociale fino ad arrivare al particolare introspettivo. La critica alla vicina Svizzera, alle sue discutibili scelte di questo e dello scorso secolo, lascia fin da subito spazio a un altro tema: il disagio di due emigranti che, come sovente accade, cercano qualcuno o qualcosa con cui prendersela. Sono italiani e sono in Svizzera, ma potrebbero essere di qualsiasi nazionalità e ovunque.
Ma è l’esistenza, alfine, il focus su cui vira l’andamento del testo. Così come è emblematica la decisione dei protagonisti di rapire un’icona del calibro di Mina: venerata, stranota e diffusamente nominata a dispetto della sua scelta di scomparire, tanti anni fa, dalle scene mass-mediatiche e televisive. Da cui la domanda inversa: cioè, come si fa invece a essere qualcuno e ad avere un proprio posto nel mondo, quando quest’ultimo fa fatica a sopportarci?
Forse la violenza, declinata in tutte le forme di terrorismo narrate negli ultimi anni in Europa, nasce proprio da questa intima frustrazione; e dopo, solo dopo viene legittimata da altro: politica, religione, ideologia.
COSÌ LONTANO, COSÌ TICINO è pertanto il racconto di una follia che diventa realtà. Un gioco teatrale che eviscera – esasperandolo – non solo il rapporto tortuoso che hanno con la Svizzera i 60.000 italiani circa che, ogni giorno, varcano il confine come frontalieri dalle ricche province del Nord Italia, a cui vanno sommati i 500.000 residenti stabili oltreconfine: bensì, più in generale, la frustrazione e l’ammirazione dell’emigrante verso un paese che gli dà da mangiare e, al contempo, lo detesta.
Davide Marranchelli
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Diretto dallo stesso autore, a sua volta in scena con Stefano Panzeri, COSÌ LONTANO, COSÌ TICINO è altresì uno spettacolo prodotto da Teatro Città Murata e Mumble Teatro, che ha avuto la sua prima nazionale il 28 aprile 2018 al Teatro San Teodoro di Cantù, in provincia di Como. L’anno seguente è stato quindi finalista a Siena al Premio In-Box 2019 (di cui al website “inboxproject.it”) dove, lo scorso maggio, si è aggiudicato il riconoscimento della giuria “popolare” dei Millennials oltre a una serie di repliche in tutta Italia.
Davide Marranchelli nasce a Cantù il 6 novembre 1982. Prima di laurearsi in Scienze dei Beni Culturali all’Università Statale di Milano, frequenta il corso per attori della Civica Scuola Paolo Grassi di Milano, proseguendo la formazione con pedagoghi e artisti quali: Kuniaki Ida, Gabriele Vacis, Ambra D’Amico, Elisabeth Boeke, Emanuele De Checchi, César Brie, Laura Curino, Serena Sinigaglia e Leo Muscato. L’amore per il teatro e qualsiasi forma di narrazione lo portano a esplorare differenti forme di ricerca artistica e d’attore. Ha quindi l’occasione di interpretare Zorzetto/Arlecchino nella BARCA DEI COMICI goldoniana, diretta da Stefano de Luca per il Piccolo Teatro di Milano; di collaborare con AsLiCo e Teatro Sociale di Como in qualità di attore e mimo per produzioni operistiche quali LA BOHÈME, CAPULETI E MONTECCHI, LA SONNAMBULA e OTELLO; di lavorare con molteplici realtà teatrali italiane come Unoteatro, Teatro del Buratto, Fondazione Toscanini, Teatro Evento, Teatro Pan e, a Mosca, con il Puppet Theatre Sergeij Obraztsov. Un fervido e articolato percorso che va dalla commedia dell’arte alla narrazione, dal teatro di figura al cabaret. Dal 2010 lavora inoltre come regista nella compagnia comasca Mumble Teatro, di cui è cofondatore e con la quale mette in scena diverse produzioni: tra queste si ricordano SENTIMÈ, presentata al festival Il Giardino delle Esperidi 2013 con la compagnia Anfiteatro; e, in coproduzione con Teatro Città Murata nel 2015, FIGURINI di cui è anche drammaturgo. La sua attività registica si estende poi nell’ambito dell’opera lirica. Difatti per AsLiCo cura le regie del BARBIERE DI SIVIGLIA, della CARMEN e dell’ELISIR D’AMORE all’interno del progetto OperaIT, mentre è assistente regista di Silvia Paoli per OTELLO e, al Teatro Comunale di Sassari, di Matteo Mazzoni per LA BOHÈME. Nel 2019 infine, fatta menzione dei successi di COSÌ LONTANO, COSÌ TICINO, vince il concorso della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo con la creazione DON GAETANO - A SPEED DATE WITH: spettacolo musicale di ricerca da lui scritto e diretto, rappresentato durante la Donizetti Night del 15 giugno dello stesso anno.

Fiato corto di Andrea Monti
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Una drammaturgia incardinata su un avvicendarsi di battute, fra monologhi e dialoghi a due e tre personaggi, che si snodano lungo un ritmico sviluppo orchestrato su forme e moduli tipici della poesia: ricercando, dunque, una musicalità e un’immediatezza espressiva in grado di fare risuonare, con fulminea carica penetrativa, uno stuolo di concetti e discorsi sul nostro problematico vivere odierno.
In sintesi, ecco presentati i tratti salienti di FIATO CORTO. Un incastro di corti teatrali che nei pensieri del suo autore, Andrea Monti, risponde a un bisogno bruciante di liberazione da certi limitanti schematismi esistenziali indotti, o altrimenti autoimposti in modo inconscio, dovuti al quotidiano turbinio di relazioni e dinamiche sociali che la sovraeccitata epoca attuale tende a innervare di elementi funzionali a un pigro benessere di facciata, alimentato dalle foghe del consumismo con le sue illusive mode e modalità.
Quando, invece, nell’intimo delle persone premono energie e urgenze in cui vibra la voglia di emanciparsi da simili sistemi irreggimentati, per andare piuttosto in cerca di vitali e affrancate vie di pensiero e condotta. Dischiuse, quindi, a una sincera ed espansa connessione con un proprio intimo sentire; sempre in ascolto attento, comunque, del respiro e delle sintonie di chi si ha intorno.
C’è inoltre nel testo un’ulteriore gamma di risonanze, dettate dalla sua matrice metateatrale. Difatti la compagnia di personaggi protagonista dà conto di riflessioni sull’arte del teatro, sul mestiere difficile e magari mal gratificato dell’attore, su certi meccanismi creativi e d’organizzazione che spesso ne serrano la forza comunicativa e d’invenzione. Così, tra un «Fiato corto» e l’altro, si assiste al tentativo di siffatte figure recitanti di stravolgere il senso primario del flusso testuale che sono impegnate a rappresentare, cercando di prendere il sopravvento su di esso oltre che sulla regia che lo accompagna. Quest’ultima – come scrive Monti di suo pugno – viene allora «resa invisibile dalle sollecitazioni degli attori, sui personaggi, che con il rallentamento del respiro diventano sempre più sicuri del loro ruolo e pronti a uscire dallo schema imposto». Poiché «l’alternanza di comicità, assurdità, rabbia, frustrazione lavorativa e bisogno di astrazione» gli consente «di giocarsi la loro possibilità interpretativa»; mentre il pubblico può trovare continuamente «qualcosa a cui aggrapparsi per mantenere alto il livello di curiosità e tensione», grazie al mirato intervallarsi dei diversi interlocutori in scena.
Ne sortisce una drammaturgia dinamica, imprevedibile, fitta di suggestioni e che diverte. Nel senso proprio di questo termine: ossia che verte, volge, altrove. E, nella fattispecie, laddove vi sia gioia da condividere qui e ora.
(dp)
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Diretto dallo stesso autore, FIATO CORTO è andato in scena per la prima volta al Nuovo Teatro San Paolo di Roma il 17 novembre 2018 (leggi la recensione); con il disegno luci di Mauro Guglielmo, i costumi di Angela Di Donna e Mariagrazia Iovine, la supervisione musicale di Umberto Papadia e l’aiuto regia di Matelda Sabatiello; mentre nel cast di interpreti figurano Martina Barboni, Riccardo Benforti, Emanuele Boscioni, Francesco Casella, Diego Parente, Lisa Recchia e Giorgia Valeri che ha curato anche le coreografie. Per ogni altra informazione, si veda il website “nuovoteatrosanpaolo.it”.
Andrea Monti è regista, autore e attore teatrale. Allievo di Aldo Nicolaj e Maurizio Faraoni, dal 1994 continua ad affinare la sua scrittura orientandosi perlopiù su quella drammatica. Infatti sono numerosi gli spettacoli che ha scritto e prosegue a scrivere, spesso occupandosi di dirigerli per la scena. Anche se si afferma subito come creatore di racconti grazie ai riconoscimenti che, sul finire del secolo scorso, riceve in un paio di premi: cioè lo Studio12, nel 1997, grazie al racconto FUORI!; e, per due volte, quello della Condotta Romana di Slow Food ossia “Racconti di Vino” con le opere SENZA LANGUORE e C’ERA UNA VOLTA UN CAVOLO. In quel periodo, si laurea peraltro in Lingua e Letteratura Spagnola, presso la Terza Università di Roma nel 1998, con una tesi su Alfonso Sastre: noto drammaturgo e sceneggiatore contemporaneo fra i più rappresentati e premiati in Spagna. Diversamente, nel mezzo della sua formazione alla scuola teatrale di Faraoni, realizza ancora nel 1997 la sua prima regia: DOCCIA FREDDA. Dal 2003, invece, tiene corsi di scrittura teatrale e laboratori di recitazione in talune realtà del Lazio quali la Piccola Accademia di Stefano Jurgens, le Officine Teatrali e l’Officina Teatro XI. Nel 2006 fonda la webzine “TeatroTeatro.it” – di ampio seguito fra addetti e appassionati dell’arte scenica – con cui indice altresì il concorso “TeatroTeatro da Mangiare”, dedicato ai corti teatrali inerenti al cibo. L’anno seguente, scrive e dirige con Marco Massaccesi il serial in 10 puntate intitolato ZONA CRITICA, riguardante l’«infame mondo della critica cinematografica» e interpretato da Mauro Mandolini e Lisio Castiglia. Un biennio dopo fonda l’Associazione Culturale Accademia San Paolo per la divulgazione delle arti legate allo spettacolo dal vivo (cfr. www.accademiasanpaolo.com). Si susseguono, poi, alcuni suoi adattamenti concernenti alcuni classici della drammaturgia, di cui dirige anche le rispettive messinscene: ovvero FILUMENA MARTORANO (2011), versione in romano della celebre Marturano creata e scritta da Edoardo De Filippo; 6 PERSONAGGI (2014) dall’altrettanto famosa pièce di Luigi Pirandello coi suoi sei «in cerca d’autore»; e TRILOGIA DER SANGUE (2015) da tre tragedie di William Shakespeare. Dal 2014, sempre a Roma, è direttore artistico del Nuovo Teatro San Paolo, di cui cura la programmazione più le rassegne “Belli Corti” e “Belli Passi” rivolte rispettivamente ad autori teatrali e a coreografi; mentre dal 2012 è drammaturgo e regista della compagnia Dupla Carga (cfr. facebook.com/DuplaCarga). Con questa, negli ultimi anni, ha scritto e diretto diversi spettacoli quali: VERSO ME, PAPADIARIUM, SENZA AFFLATO, ASPETTANDO GODO e, oltre al citato FIATO CORTO, il donnesco FEMMINARIUM che è stato insignito come miglior testo alla rassegna romana del 2016 Testaccio Comic Off, ottenendo ottimi riscontri di pubblico e critica nel corso della successiva tournée nazionale. Di quest’anno, infine, è la creazione del bando “Belli Lunghi” che seleziona testi per il cartellone di drammaturgia contemporanea del 2019-20 del Nuovo Teatro San Paolo.

10mg di Maria Teresa Berardelli
- Scritto da Damiano Pignedoli
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«Una scrittura che utilizza con abilità le dinamiche sceniche grazie a dialoghi secchi, di gran ritmo e piglio cinematografico, da cui i personaggi emergono con poche ma decise pennellate. L’ambizione […] è quella di disegnare una storia di ampio respiro, dove analisi sociale, familiare e di coppia si mescolano per raccontare le nostre paure e il nostro senso di inadeguatezza. La sinistra attrazione per l’additivo chimico come soluzione provvisoria dell’infelicità viene così resa senza moralismo, grazie a intense sintesi poetiche e metafore potenti quanto inattese».
(Dalla motivazione della giuria del Premio Hystrio - Scritture di Scena 2015 per la menzione speciale attribuita a 10mg)
10mg parla della mercificazione della malattia attraverso il sistema pubblicitario. Sempre più frequentemente, infatti, attraverso il marketing e la pubblicità viene cambiata la percezione dei disagi quotidiani: che diventano vere e proprie malattie. La pubblicità funziona a tal punto da trasformare molte persone in pazienti e il farmaco, per costoro, diventa come una droga. I nomi dei farmaci usati in questo testo non sono reali, ma ogni malattia menzionata lo è poiché la realtà (come spesso accade) supera di gran lunga la nostra immaginazione.
Due sono i mondi che si muovono, come su binari paralleli, in questo testo: quello di una famiglia e quello di una casa farmaceutica. Nella prima, la Moglie e il Marito sembrano non comunicare e subiscono in modo diverso il problema di un figlio a cui è stato diagnosticato l’ADHD. Nella seconda, il Direttore marketing e Lei – creativa pubblicitaria – sembrano invece comunicare esclusivamente per ragioni lavorative: dopo aver concluso con successo la campagna pubblicitaria per un farmaco contro l’ADHD, stanno lavorando a una nuova per un prodotto contro il dolore da lutto.
Due mondi distinti, collegati dalla figura di un Medico, con cui tutti i personaggi avranno man mano a che fare. Due mondi che solo nel terzo atto si andranno a incrociare, nonostante, fin dall’inizio, dal movimento di uno dipenda il movimento dell’altro.
(Dalle note dell’autrice)
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Nata a Roma nel 1986, Maria Teresa Berardelli si diploma nel 2008 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. Nel 2009, vince con il dramma STERILI il prestigioso Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” per autori under 30. L’anno seguente conquista il Premio InediTO - Colline Torinesi, “Sezione Testo Teatrale”, con ALTROVE e anche la sesta edizione del Premio Fersen con STUDIO PER UN TEATRO CLINICO, mentre è finalista del Bando Nuove Sensibilità con il progetto L’ESTREMO LIMITE. Nel 2012 entra nel gruppo “CRISI”, laboratorio permanente di drammaturgia tenutosi a Roma al Teatro Valle Occupato e condotto da Fausto Paravidino; con il quale, sei anni dopo, ripeterà un’analoga esperienza laboratoriale al Teatro Stabile di Torino partecipando all’«ecosistema» Playstorm, concentrato «sul processo e sulla ricerca drammaturgica, più che sul prodotto». Con Paravidino lavora peraltro come sua assistente regista per gli spettacoli IL MACELLO DI GIOBBE (del 2014), SOUPER (2016), IL SENSO DELLA VITA DI EMMA (2018) e LA BALLATA DI JOHNNY E GILL (2019); così come con Valerio Binasco per la pièce SOGNO D’AUTUNNO di Jon Fosse prodotta ancora dallo Stabile di Torino nel 2017. Frattanto, numerosi altri registi mettono invece in scena i suoi testi: e cioè Camilla Brison, Marianna Di Mauro, Fabrizio Arcuri, Federica Bognetti, Imogen Kusch, Antonio Mingarelli, Nicoletta Robello, Antonio Tintis, Federico Vigorito e Andrea Baracco. Per quest’ultimo – oltre ad assisterlo nella regia degli spettacoli ROMEO E GIULIETTA ed EDIPO RE del 2016, e in quelli del biennio a seguire FINALE DI PARTITA e IL MAESTRO E MARGHERITA – scrive nel 2018 una serie di adattamenti teatrali: UNO, NESSUNO E CENTOMILA dal romanzo di Luigi Pirandello, da cui la messinscena prodotta da Khora Teatro; IL RACCONTO D’INVERNO da William Shakespeare, per la produzione del Teatro Stabile dell’Umbria; e ITACA PER SEMPRE dalla reinvenzione narrativa di Luigi Malerba del mito di Ulisse e Penelope, andata in scena per TrentoSpettacoli. Da teatrante a tutto tondo qual è, tuttavia, lei stessa si cimenta nella regia di proprie drammaturgie montando, per la compagnia Quattroquinte, ALBA nel 2014 e OLIO DI GOMITO. CANOVACCIO PER CINQUE CASALINGHE nel 2015: da poco tornato con successo sulle scene ad avvio di questo 2019 al romano Teatro de’ Servi. E ricordata già la sua affermazione al Premio Hystrio - Scritture di Scena 2015 grazie a 10mg, sono infine da menzionare le diverse pubblicazioni che, a partire dal testo STERILI, compaiono negli anni in vari volumi collettanei editi dalla casa Editoria & Spettacolo di Spoleto: dai succitati ALTROVE e STUDIO PER UN TEATRO CLINICO a PERDERSI e SIGNOR P. STORIA DELLA DISCESA DI UN UOMO E DELL’ASCESA DI UN ALTRO UOMO.