Il dramma del mese

Penelope l'Odissea è fimmina di Luana Rondinelli
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Al cospetto della reinvenzione drammaturgica compiuta da Luana Rondinelli della figura di Penelope, conviene comunque riportare alla mente il mito da cui prende le mosse e ispirazione.
Non sarà inutile quindi ricordare la ventennale attesa dell’eroina rivolta al suo sposo Ulisse, figlio di Laerte e re d’Itaca nonché padre di Telemaco, preso nelle spire della sua Odissea (in specie tra le braccia della maga Circe) dopo la vittoriosa guerra di Troia.
Converrà pure accennare al cane di questi, Argo, in grado di accorgersi ben prima d’altri della presenza rediviva del padrone, potendo così esalare un ultimo liberante respiro: poiché la Verità, come afferma il filosofo Carlo Sini, è d’altronde solo degli animali e non degli esseri umani. Ancorché essa sia un orizzonte a cui mira l’abbandonata sposa: la quale, nella dilatazione temporale vissuta, scopre dimensioni vaste e insondate di sé che fatalmente collidono con le delimitazioni di una cultura e società a misura della potenza – più che del potere – maschile e senz’altro meno rispetto a quella femminile.
Di qui un annodarsi di interrogativi e visioni che, sulla scena delle parole, assumono i contorni di uno spettro di reviviscenze intermittenti di episodi del passato, messi a emblematico confronto con l’adesso, il poco fa e il domani in cui si dimena l’animo inquieto della sovrana.
Flashback, ritorni al presente e al recente, irrisolti sguardi al futuro, dunque, che vengono raccordati grazie agli interventi che l’autrice riserva a tre umorose Parche: intelligentemente poste nella pièce a cucire e scucire i fili che, come da mythos, danno intreccio e foggia decisiva alle storie e ai destini umani. Tra cui quello possibile delle seconde nozze di Penelope con un pretendente dei Proci invasori: al quale ella sa sottrarsi con l’astuzia, divenuta celebre, di volersi pronunciare sulla scelta del nuovo consorte solo alla fine della tessitura di un sudario per il defunto Laerte. Artefatto che, filato di giorno e disfatto nascostamente di notte, non si completa lasciando così alla donna altro tempo. Per un tempo altro di se stessa.
Pesano, del resto, dentro di lei le onde di trascorsi abusi patiti per paterna mano; il conclamato giudizio maschile, e altrui, verso un certo libertarismo effuso dalle sue condotte; l’abisso pauroso di non avere, al di fuori delle sicumere di un’esistenza agiata e protetta dalla benevolenza del senso comune, un proprio posto in cui sentirsi in diritto di potere finalmente stare.
Lo stuolo di riferimenti stilati finora è per dire, oltretutto, dell’eterogenea complessità che la Rondinelli tesse e ritesse lungo un andirivieni tra le età della vita e di un immaginario che ci permea dagli albori della civiltà; mostrando fin da subito uno sdrucito didentro della regina di cui, da una battuta all’altra, si cerca il risolutivo gesto e la trama che ne riparino gli orditi smagliati. Per esempio, ricorrendo all’immediatezza di una lingua affettiva e della madre terra qual è il dialetto: un siciliano, nella fattispecie, che assume i colori e i tratti della Verità nella follia – che è l’altra faccia dell’autenticità – della maga Magnifica; mentre, tra le labbra delle Parche e di Euriclea (vecchia nutrice di Ulisse), dispensa ironici alleggerimenti e vie di fuga in cui rispecchiare pensieri di differenza rispetto a più stringenti grammatiche istituzionali, e bien faites, di un parlare standard offerto dall’ufficialità dell’italiano.
Tant’è che, difatti, l’ultima apparizione della protagonista si staglia coerentemente in un al di là linguistico: cioè, nell’espressivo mutismo di un andarsene via privo di risposta verbale agli incitamenti animati di Euriclea, con la quale poco prima aveva invece consuonato nel rincorrere cari ricordi legati a Telemaco bambino. Figlio fanciullo, evocato nel corso di una sequenza in cui, ormai adulto, fa sapere alla madre di voler partire in cerca dell’inafferrabile padre.
Con la sua screziata episodica, disseminata di andate e ritorni su frastagliate cronologie esistenziali, la drammaturgia di PENELOPE allora decostruisce l’ordinamento temporale precostituito: ne spezza la costrittiva spirale per ricomporre semmai un modo diverso di affrontare il Divenire. Un modo, ossia, divergente e divaricante in rapporto alle chiusure e pressioni conferite da una visione convergente del vivere, mirante perciò a un unico punto o limite come – tra gli altri – la stessa società odierna ci vuole imporre: con la sua ossessione per il risultato, il raggiungimento di obiettivi e traguardi a tutti i costi. Quando, invece, ognuno di noi è un viaggio, un molteplice evento tramato di vitali impermanenze e derive che, nel loro dirompente accadere, cercano con integrità la direzione spaziante della Gioia.
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Luana Rondinelli (nella foto di Giovanna Mangiù) è attrice, drammaturga e regista. Nata nel 1979 a Roma, ma di origini siciliane, si diploma alla scuola di teatro palermitana Teatés diretta da una personalità di culto e di rilevante influenza come il compianto Michele Perriera. Continua la formazione presso Ribalte, scuola romana di recitazione guidata da Enzo Garinei, e partecipa a molteplici laboratori; mentre nel 2006, in collaborazione con l’associazione D’altra P’arte, lavora a una riduzione de I CIECHI di Maurice Maeterlinck che va in scena al Teatro Antico di Segesta. Nel 2011 fonda la compagnia Accura Teatro ed è aut-attrice e regista di TADDRARITE: pièce sulla violenza contro le donne, con cui conquisterà il premio della critica al contest internazionale Etica in Atto 2013, oltre a quello del Roma Fringe Festival 2014 come miglior spettacolo e drammaturgia. Vittoria, quest’ultima, che consentirà l’approdo della rappresentazione negli USA al San Diego International Fringe Festival 2016, anticipato dalla chiamata all’In Scena! Italian Theater Festival 2015 di New York. Altri riconoscimenti le giungono di nuovo nel 2013 e nel 2016. Il primo riguarda GIACOMINAZZA, testo da lei creato e recitato, insignito quale miglior scrittura originale al festival nazionale Teatri Riflessi di Catania; il secondo è per A TESTA SUTTA che scrive per l’interpretazione di Giovanni Carta, ottenendo il Premio Fersen alla drammaturgia in un anno che, peraltro, la vede in giuria al prestigioso Premio Mario Fratti di New York. Successi che anticipano il lungo lavoro svolto sulla stesura e creazione di PENELOPE - L’ODISSEA È FIMMINA, coronato alfine dalla vittoria del Premio Anima Mundi 2018 alla drammaturgia femminile, assegnatole al Piccolo Teatro Grassi di Milano, prima del debutto estivo sulla scena delle Dionisiache del Calatafimi Segesta Festival. Un’applaudita e suggestiva produzione di Accura Teatro e Robert Schiavoni, diretta dalla stessa Rondinelli a sua volta interprete insieme a Giovanna Centamore, Corinna Lo Castro, Mauro Failla, Giovanni Maria Currò, Camilla Bianchini e Laura Giordani, fra le musiche di Francesca Incudine, le scene di Veronica Raccosta e le truccature di Antonino Provenzano. Informazioni e approfondimenti, infine, sulla fervente attività di questa intensa teatrante si trovano online al link “facebook.com/accurateatro”.

Aplod di Rodolfo Ciulla
- Scritto da Damiano Pignedoli
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In un futuro non troppo lontano, il governo ha dichiarato illegale produrre e caricare in internet materiale video. Siti come Youtube sono stati chiusi e dichiarati fuori legge. Nei meandri del web però esistono siti pirata dov’è ancora possibile condividere filmati. Il più famigerato di tutti è Aplod dove un videomaker può guadagnare un sacco di soldi caricando, ad esempio, il video divertente di un gattino o altro ancora.
In questo mondo, a metà fra un romanzo di George Orwell e una sceneggiatura dei fratelli Cohen, dove tutti sono dediti al lavoro, il nostro protagonista viene licenziato. Spinto dal peso delle bollette e dell’affitto da pagare, stufo di vivere una vita quasi ai margini della società, decide di creare un’associazione criminale dedita a produrre dei filmati da caricare in rete per fare un mucchio di quattrini.
(Dalla sinossi dell’autore)
La vicenda drammatizzata in APLOD fa ridere. Ma sotto le risate c’è la tragedia di una generazione di millenials.
Portando in scena un mondo del futuro, la commedia ci parla delle paure e dei disagi del presente immaginando un avvenire pieno di precariato: in cui lavorare è l’unica cosa che conta e ogni sogno viene soffocato da un sistema rigido votato alla carriera, mentre chi non sta al passo viene tagliato fuori.
L’unico modo per sopravvivere a questo regime è darsi allora alla criminalità nell’opera rappresentata dallo sfavillante mondo del videosharing pirata. Così, nel testo, un sito immaginato come la versione criminale e avveniristica di Youtube diventa una piattaforma di riscatto sociale: dove più Like non significano solo più soldi, ma più fama; e realizzare video vuol dire poter essere chi si desidera senza sottostare al sistema. Ogni Like ti rende migliore di quello che sei.
Temi attuali, e fin troppo presenti nella nostra quotidianità, s’intrecciano nella fiction teatrale: la quale viene raccontata e vista attraverso il buco della serratura del piccolo e angosciante appartamento dove convivono i tre protagonisti. Il pubblico viene invitato a fare da voyeur e a osservare, a suon di risate, il dramma di tre giovani precari e di come il desiderio di evadere da un sistema soffocante finirà per metterli l’uno contro l’altro. Ed è questa la forza della pièce, che ha suscitato grande apprezzamento da parte del pubblico giovane: la capacità di far ridere fino alla fine mentre avviene la tragedia. Così oltre le risate, sia lo spettatore che – nella fattispecie – il lettore si porteranno dietro un leggero, ma duraturo, senso di disagio. Perché ognuno di noi, nel profondo, probabilmente farebbe qualsiasi cosa (perfino uccidere un amico) pur di ottenere un milione di like e cambiare la propria vita.
Rodolfo Ciulla
Da un processo di creazione collettiva dei membri di Fartagnan Teatro, nasce la drammaturgia consuntiva di Rodolfo Ciulla qui in gioco: esito scritto, dunque, di uno spettacolo andato in scena per la prima volta nel 2017 e recitato da Federico Antonello, Michele Fedele, Matteo Giacotto e Giacomo Vigentini, con la voce registrata di Dalila Reas. Una produzione che si avvale delle luci di Giuseppe Musmarra e delle cure scenografiche di Elisa Vannuccini, oltre a quelle di carattere organizzativo di Serena Tagliabue. Tuttora in tournée, la commedia si è conquistata progressivi riconoscimenti da parte di addetti ai lavori e spettatori: coinvolti dai suoi temi e modi capaci di attivare una stimolante adesione, in virtù delle sue connessioni al vivo immaginario delle fiction video e cinematografiche del nostro tempo. Per ogni informazione e novità al riguardo, è possibile consultare la webpage del gruppo al link “facebook.com/FartagnanTeatro”.
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Rodolfo Ciulla. Nato a Palermo nel 1991 in una famiglia di musicisti, inizia fin da piccolo a studiare canto e recitazione. Affascinato dal teatro musicale entra a far parte nel 2007 dei Solisti di Opera Laboratorio, partecipando alla messa in scena de L’ELISIR D’AMORE di Gaetano Donizetti per l’edizione di TaoArte 2007 a Taormina; inoltre canta nella compagnia d’operetta del Teatro Franco Zappalà di Palermo e nel coro Eufonia per l’Orchestra Sinfonica Siciliana. Comincia a studiare recitazione e, insieme a Linda Uzzo e Emmanuele Aita, nel 2009 crea il Trio Wanninger mettendo in scena LE AVVENTURE DEL RILEGATORE WANNINGER E ALTRE STORIE, liberamente tratte dai testi di Karl Valentin. La sua passione per il teatro musicale lo spinge a trasferirsi a Milano, dove si diploma nel 2013 alla SDM - Scuola del Musical diretta da Federico Bellone. Contemporaneamente si laurea in Discipline delle Arti e dello Spettacolo all’Università di Palermo, presentando una tesi sul musical WEST SIDE STORY di Leonard Bernstein. Come performer lavora poi con le produzioni Wizard Productions e Show Bees per gli spettacoli DIRTY DANCING - CLASSIC STORY ON STAGE del 2014 e FAME - SARANNO FAMOSI del 2016. Sempre a Milano, scopre l’amore per la prosa e, dal 2013, studia alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi diplomandosi in Drammaturgia. Da allora opera come autore e dramaturg in molte compagnie off milanesi: fra cui il Gruppo Teatrale Esperimente che – con la regia di Alessia Punzo – porta in scena il suo testo UN GIORNO QUALUNQUE, ispirato alla vita e alle opere di Alda Merini, nello spazio dedicato alla grande poetessa dalla Casa delle Artiste del capoluogo lombardo. Lavora inoltre come dramaturg presso la compagnia Vicolo del Teatro, al Teatro Martinetti di Garlasco. Nel 2017 invece è tra i fondatori della compagnia Fartagnan Teatro, coi quali inizia un percorso di ricerca per la creazione di un nuovo Teatro Pop. La formazione, infatti, crea e studia spettacoli per il pubblico dei millennials, analizzando tematiche care alle nuove generazioni ed esplorando generi come la fantascienza e la distopia, insoliti per il teatro italiano: il quale, a suo parere, sembra essersi dimenticato di tutta quella fascia di pubblico giovanile cresciuto con i serial Tv e che non va a teatro perché non vi trova storie che riescano ad affascinarlo.

La confessione di Giampaolo Spinato
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Don Virginio ha un segreto. Forse, più d’uno. Vincenzo Semerari, ispettore di polizia giudiziaria, è stato mandato a estorcergli la confessione del più indicibile e nefando dei crimini ai danni di un essere umano.
Segregati nell’angusto e misterioso ricettacolo-palcoscenico della loro sfida (un covo? una cella? una camera di sicurezza sui generis?), il parroco e lo sbirro si affrontano senza esclusione di colpi. Anche il poliziotto, a quanto pare, ha qualcosa da nascondere: l’inconfessabile sodalizio, condiviso dallo stesso prete, che chiama in causa un’assortita consorteria di ‘superiori’ fra cui un monsignore, un colonnello, funzionari, magistrati e narcotrafficanti.
Qualcosa dev’essere sfuggito di mano dopo la morte e il ritrovamento della bambina. Si cerca un capro espiatorio. Non ci sarà via di fuga.
(Dalla sinossi dell’autore)
Testo sfuggente e disturbante, LA CONFESSIONE di Giampaolo Spinato.
Non un dramma per tutti. Ma neanche per nessuno. Anzi.
Con il suo sostrato di fitti sottintesi, lungo un’obliqua mobilità di «stati di coscienza» (per citare Leo de Berardinis) su cui inventare possibili schiarite, offre un denso materiale d’abisso ad attori di fervida curiosità interpretativa che vogliano esplorare confini e resistenze dei propri mezzi di indagine ed espressione.
C’è, infatti, un dedalo di ambiguità e segretezze pronte ad accoglierli – nel chiuso di una strana stanza adombrata di fosche trame – per un ampio e inventivo scandaglio. Ci sono corpi e menti da abitare di due personaggi trasudanti contraddizioni, sordidezze e vaghi tormenti; dai quali emergono colpe, errori e fetide debolezze sulle faglie di accidentati dialoghi e separati soliloqui su cui potere erigere recitazioni d’evocativa allusività: passibili, così, d’irretire lo spettatore in un gioco di scomodi dilemmi e domande pungenti.
Quesiti e intrichi che, attorno alla spirale dell’oscuro giallo e alla diffusione intorbidata della sua notizia, portano quindi a interrogarsi anche su come ognuno di noi percepisca e interpreti la realtà oggi. Sempre più filtrata e deformata da un regime di tale sovraesposizione massmediatica che – coi suoi maggioritari teleobiettivi e display distanzianti, tesi più all’effetto visuale d’entertainment che all’effettivo merito sostanziale – mostra ma non dimostra, dispiega ma non spiega: semmai rischia di confondere e distogliere dal vero tant’è sovraccarica di informazioni, dati e visioni d’intrusiva presenza che la disserrano piuttosto a spinte manipolative e opportuniste, dettate da esigenze di opaco controllo ed elitario mantenimento del generale status quo da parte di gerarchie e potentati che, per linee privilegiate o dirette, vi hanno accesso.
A tal invadente mole che pressa così il reale, Spinato oppone allora un movimento spezzato d’anime che s’addentra in minuti anfratti e solchi interiori cosparsi di parole, fra pieghe e contropieghe di detti e non detti, tra sporchi squarci di rivelazioni a metà e bagliori di dettagli che non fanno comunque troppa luce sugli eventi e sui suoi protagonisti. Ovvero due elusivi uomini soli che, per ruolo e altresì vocazione, dovrebbero attendere alla cura e custodia della Verità. La quale nessuno in toto, nelle sue infinitesimali scaturigini e derivazioni, alfine possiede; a differenza della Ricerca che, invece, è davvero di tutti. Per tutti. Non per pochi e men che meno per nessuno.
Ed è questo, in conclusione, uno tra gli aurei portati della labirintica pièce, al cospetto di un presente asserragliato dalle pervasive condotte di oligarchie operanti a circuito chiuso e per fini di ristrette cerchie esclusiviste: che pertanto lasciano, o meglio, fanno fuori disparati bisogni e necessità vitali di aperte moltitudini e comunità d’individui. Temi e aspetti su cui interrogarsi e avanzare domande per, poi, porsi in cerca di un sincero vivere riconquistato.
Damiano Pignedoli
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Giampaolo Spinato. Scrittore e docente, drammaturgo e giornalista nonché regista e agitatore culturale, nasce a Milano nel 1960. Completati gli studi classici al liceo, nella prima metà degli anni ’80 prosegue la sua formazione frequentando dapprima l’Università di Bologna – dove in seguito conseguirà la laurea al DAMS – e diplomandosi nel 1984 all’allora Scuola del Piccolo Teatro di Milano, antesignana dell’attuale “Paolo Grassi”. Nel 1990 diventa giornalista professionista, dopo avere già collaborato con “il Giornale” diretto da Indro Montanelli e dal 1987 con “la Repubblica” per la quale, a più riprese sino a oggi, continua a scrivere. A tali collaborazioni si aggiungeranno poi quelle con molte altre testate: tra cui “Linus”, “L’Europeo”, “Cuore”, “Max”, “Società civile”, “Leggere”, “Carnet”, “Panorama” e “Oggi”. Diversamente, compiute una serie di regie teatrali concomitanti e seguenti ai suoi studi alla Scuola del Piccolo, debutta nella scrittura drammatica con MOTORADIOTAXI: messa in scena nel 1988 da Cristina Pezzoli per la produzione di Futura Corporation. Un biennio più tardi è coautore della pièce collettiva PANE BLU, prodotta dal milanese Teatro del Buratto. Col procedere degli anni ’90 prende quota la sua attività letteraria. Nel 1993 pubblica infatti il racconto B. sulla rivista “Idra”, dal quale scaturirà l’omonimo dramma che nel 2001 verrà segnalato tra i finalisti al Premio Riccione per il Teatro e, nel 2005, diventerà uno spettacolo diretto da Fulvio Cauteruccio per la compagnia Krypton. Edito da Einaudi, nel 1995 esce invece il suo primo romanzo intitolato PONY EXPRESS, mentre vara il progetto “Bartleby - pratiche della scrittura e della lettura” tramite cui, lungo il tempo, darà corpo a una molteplicità di iniziative, corsi e laboratori formativi riguardanti la scrittura creativa e la drammaturgia. L’esperienza e gli insegnamenti prodotti in tali occasioni sconfineranno anche in ambito accademico, attraverso numerose docenze tra le quali si cita almeno quella che, dal 2009 a tutt’oggi, tiene presso l’Università Cattolica di Milano. Frattanto, a cavallo del nuovo millennio, dà alle stampe per l’editore Mondadori i romanzi IL CUORE ROVESCIATO (1999, vincitore del Premio Selezione Campiello) e DI QUA E DI LÀ DAL CIELO (2001), dedicandosi con profitto di nuovo alla drammaturgia. Fatta menzione di B. (peraltro pubblicato all’epoca come “Dramma del Mese” in questa stessa testata), scrive nel 2001 DA LONTANO VI UCCIDONO CON L’ONDA che assurge alle cronache per la censura tentata dall’Istituto Italiano di Cultura di Stoccarda della corrispondente messinscena diretta dalla Pezzoli, programmata per il festival di Heidelberg del 2002 dove si riuscirà comunque a presentare in forma di performance. In quell’anno, partecipa al collettivo nazionale Scrittori per la Pace che viene insignito del Premio Hystrio per la Drammaturgia; inoltre vede andare in scena il suo testo ICO NO CLAST grazie ancora al gruppo Krypton e alla regia di Fulvio Cauteruccio. Nei due anni successivi, con l’ensemble d’autori Città in Condominio, sperimenta scritture ed espressioni di teatro che raccontino il presente secondo crismi di maggiore immediatezza, svincolata da tempi e modalità cogenti della produzione teatrale. Del suo testo BLU, invece, ne fa una rappresentazione per l’edizione 2005 del festival La Fabbrica dell’Uomo organizzato a Milano da Outis. Nel frattempo, tra giornalismo e continue docenze, fervono le stesure di romanzi: al 2004 risale l’uscita di AMICI E NEMICI per i tipi di Fazi, a cui seguiranno LA VITA NUOVA nel 2008 per Baldini Castoldi Dalai e, in un’edizione fieramente indipendente, LA BAMBINA nel 2014. Un anno prima, accanto a Massimo Sgorbani e Roberto Traverso, crea uno dei monologhi del trittico intitolato FUCK ME(N) «Studi sull’evoluzione del genere maschile» che diviene uno spettacolo recitato da Alex Cendron e diretto da Carlo Compare per la Compagnia Teatrale Dionisi. Il lavoro riceve il Premio Giovani Realtà del Teatro 2013 dell’Accademia Drammatica Nico Pepe di Udine, ponendosi temporalmente giusto in mezzo ad altri due riconoscimenti conferiti a Spinato a distanza esatta di un decennio, confermando così una vitalità d’autore non soggetta al logorio degli anni e dei suoi rivolgimenti. Uno è l’Isimbardi 2008, assegnatoli dalla Provincia di Milano nella “Giornata della Riconoscenza”, ad attestazione proprio di una carriera da scrittore «con largo consenso di pubblico e critica»; l’altro è il Premio InediTO 2018 - Colline di Torino per la Sezione Testo Teatrale, vinto con la drammaturgia figliata dal suo citato ed eponimo romanzo AMICI E NEMICI, inerente al tragico sequestro del 1978 ai danni dello statista Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse. Una reinvenzione drammatica giudicata «d’alta levatura culturale» che, prossimamente, esordirà per le scene in versione reading. Per ogni altra informazione, infine, e aggiornamento sull’attività di questo corrosivo intellettuale libero, d’indomabile curiosità e sagacia argomentativa, che non teme di esporsi in modo impopolare e sarcastico alla luce di un’onestà di pensiero apparentemente scorbutica, si vedano il suo website “giampaolospinato.it” e il suo seguito account twitter @GPS_SPINATO.

Questa è casa mia di Alessandro Blasioli
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Un dinamico monologo che intreccia le storie di una famiglia e di due amici inseparabili, nel quadro doloroso e problematico seguente al terremoto che sconvolse l’Abruzzo e la città de L’Aquila nell’aprile 2009.
I coniugi Solfanelli e il loro figlio Paolo, amico strettissimo di Marco, tutti travolti non solo dalla potenza della natura, ma anche dall’iniquità degli esseri umani.
Fra inefficienze e resistibili condotte della macchina statale italiana, umanità varia di dubbia sensibilità ed ethos morale, si snoda un racconto di taglio civile che offre una visuale inconsueta sulla realtà del capoluogo abruzzese e, a un livello più ampio, su quella di altri luoghi versanti in un’analoga condizione post-sismica.
L’Italia d’altronde è uno dei paesi europei a più alto rischio sismico e, a oggi, non esiste una legge che regolamenti come reagire e condursi a seguito di catastrofi naturali quale quella in questione e che riguardi, dunque, la gestione degli sfollati, la riclassificazione delle macerie e in sostanza la ricostruzione tout court. Una mancanza che peraltro contribuisce al verificarsi di episodi di sciacallaggio, corruzione e infiltrazioni mafiose.
E tutto questo nodo di temi emerge dall’intarsio drammatico di Questa è casa mia - Dolor Hic Tibi Proderit Olim («Un giorno questo dolore ti sarà utile»): sulle ali di un teatro di narrazione animato dalla vivacità colorata di uno sguardo ironico e screziato, su cui trova risonanti sponde anche il parlato roccioso e caparbio del dialetto abruzzese.
Attraverso gli occhi giovani di Marco e Paolo, insieme a quelli più vissuti di adulti e anziani che rivivono di parola in parola, si possono così vedere e percepire le dolenti vicende e implicazioni sottese a uno scenario che va dagli hotel della costa alle “militaresche” tendopoli, dal ‘Progetto CASE’ alle spersonalizzanti New Town, sino al sollevarsi fragoroso del Movimento delle Carriole. Affinché, un giorno, questo dolore possa davvero servire a qualcosa di meglio: a chi lo vive e ha vissuto, e a chi no.
(dp)
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Naturale evoluzione del corto teatrale A Vostra completa disposizione!, il monologo che leggerete di Alessandro Blasioli è altresì uno spettacolo diretto e recitato dall’autore stesso, con la supervisione artistica di Giancarlo Fares. Tuttora in tournée, il lavoro è stato insignito del Premio Nuovo Imaie “Miglior interprete maschile” al festival Dominio Pubblico 2017 di Roma.
Alessandro Blasioli. Attore e cantante, nasce a Chieti in Abruzzo nel 1992. Studia canto con i maestri Loris Medoro, Nunzio Fazzini e Angela Bucci. Come attore ottiene un Bachelor in Acting presso l’Università del Galles nel 2014 ed è subito in scena, al Todi Festival, nello spettacolo L'Abbecedario del Conte Tolstoj diretto da Riccardo Reim. Studia Commedia dell'Arte a Parigi con Carlo Boso, mentre in Italia segue workshop di Giorgio Bongiovanni e fonda la Compagnia Sasiski! con alcuni colleghi: assieme ai quali porta in scena per l’intera penisola i canovacci inediti Duello in casa de’ Bisognosi e Sogno d’Amor Perduto, nati proprio dalla collaborazione con il maestro Boso. Con la stessa Compagnia va in scena all’edizione 621 del Carnevale di Putignano, alla XX del FontanonEstate di Roma e a quella dalla VI alla VIII della Giornata Mondiale della Commedia dell'Arte di Padova. Nel 2015 si aggiudica in Russia la “Menzione d'Onore” del Presidente di Giuria del Festival Internazionale Silver Sword di Mosca e, diversamente, è Alcindoro nella tournée del musical Mimì è una civetta: una coproduzione di otto importanti realtà liriche e teatrali italiane, per la regia del newyorkese Greg Ganakas su ideazione e libretto di Cristina Mazzavillani Muti. Dal 2016 invece, come artista indipendente, scrive e interpreta i monologhi di teatro civile Questa è casa mia - Dolor Hic Tibi Proderit Olim, DPR - Web sommerso (“Menzione Speciale” della Giuria al festival romano InDivenire 2017) e Sciaboletta (“Miglior Testo” al Festival ShortLab di Roma). Infine, nel 2018, entra a far parte del progetto di teatro itinerante dal titolo Notturni della città, a cura di Andrea Maurizi e con la supervisione artistica di Marco Baliani. Altre informazioni e news sono reperibili al website “alessandroblasioli.wordpress.com”.