Il dramma del mese
Il memorioso di Bigatto Speziani Nissim
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Il testo teatrale che presentiamo trae corpo e anima da uno straordinario novero di persone d’eccezione, realmente esistite. Le quali, prima ancora di diventare fonte d’ispirazione per una drammaturgia e una messinscena – interpretata da Massimiliano Speziani, per la regia di Paola Bigatto, prodotta da Gariwo-Comitato Foresta dei Giusti nel 2010 – sono state raccontate con dovizia e attenzione da Gabriele Nissim in un paio di pubblicazioni: IL TRIBUNALE DEL BENE e LA BONTÀ INSENSATA (Mondadori, Milano 2003 e 2011). Opere intese a non rassicurare circa l’intrinseca natura del Bene, bensì volte a metterne in luce i risvolti di ambiguità e quindi l’impossibilità di darne una definizione univoca, a senso unico.
Il XX Secolo – trascorso da non molto – è stato tragicamente segnato da orrori quali guerre, totalitarismi, genocidi, deportazioni, intolleranze e crimini d’ogni genìa. Tra queste tragedie s’evidenziano soprattutto quelle legata alla Shoah e all’antisemitismo repressivo e micidiale. Sicché, è fondamentale ricordare tali incubi del passato affinché non cadano nel diluvio di un qualsivoglia oblio, tenendo altresì presente il tremendo potenziale umano di potere compiere il male in qualunque momento.
Ma c’è anche una Memoria del Bene ricevuto di cui è importante parlare, e che si integra costruttivamente con tale necessità primaria di non dimenticare. Ed essa mostra la sua grazia e urgenza quando fa scoprire come il Bene, laddove sembrava impossibile che potesse apparire, invece si è manifestato. Piccola fiamma nel buio, luce flebile nell’oscurità circostante: eppure che dimostra – tramite la sua sempiterna presenza – la possibilità continua del Bene di riuscire a esprimersi e a vivere. Anche nelle condizioni più avverse. Pure in quelle in cui esso, se non è riuscito a rovesciare la Storia, è stato però in grado di salvare i destini di singole persone: scampandole dalla morte e dalla perdita di fiducia negli esseri umani. Tutto ciò significa che questi ultimi, peraltro, hanno sempre a disposizione la scelta di dire un Sì oppure un No: da cui ne deriva di conseguenza una precisa responsabilità morale per chi ha voluto scegliere il male, rinunciando alle proprie opzioni decisionali aperte a delle possibilità alternative.
E così come il male non viene compiuto necessariamente da persone malvagie, perverse o sadiche, così il Bene non è compiuto solo da santi, eroi o persone perfette. Il più celebre esempio di uomo Giusto, Oskar Schindler – un faccendiere dominato da ogni sorta di vizio, ma che ha salvato più di mille ebrei – ne è il più lampante esempio.
Ecco, dunque: l’azione dei Giusti. Centrale, per il testo IL MEMORIOSO, è soffermarsi su un aspetto inerente a questi soggetti esemplari e sulla loro condotta esposta in continuazione all’affermazione di ideologie totalitarie. L’esempio dei Giusti, cioè, ci ricorda – per citare Vaclav Havel – che “il potere su di sé, per quanto limitato dal carattere, dall’origine, dal grado di cultura e di autocoscienza di ciascuno, è l’unica cosa che anche il più impotente di noi possiede, ed è, al tempo stesso, l’unica cosa che nessuno potrà mai portarci via”.
Una nota finale su una figura di riferimento per la creazione del monologo indiziato: Moshe Bejski, per anni presidente della Commissione dei Giusti presso il Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme. L’obiettivo di questo paradossale tribunale consisteva nel rintracciare tutti quegli uomini che avevano rischiato la vita per aiutare gli ebrei durante la persecuzione nazista, e di ricordarli per sempre attraverso il radicamento di un albero nel giardino del Memoriale stesso. Similmente a Bejski, il protagonista della pièce in questione ha l’appassionato bisogno di ricordare il Bene, la medesima mania compilatoria, un identico desiderio di esaustività e una scrivania perennemente in disordine.
Moshe Bejski – uno dei nomi della celebre lista di Schindler – si batté con pazienza, dedizione e caparbietà, per raccogliere e ricordare i nomi di tali Giusti, sognando un’enciclopedia che ne raccogliesse le storie e li rendesse popolari e amati dai giovani come le rock star e i divi del cinema. Gabriele Nissim ne ha raccontato la storia nel libro IL TRIBUNALE DEL BENE, mettendone in risalto l’appassionato e incessante lavoro e il suo continuo interrogarsi sulle caratteristiche che fanno di un’azione, l’azione di un uomo giusto. Contestualmente Paola Bigatto, da anni impegnata sull’opera di Hannah Arendt (colei che, assistendo ai processi contro i criminali nazisti della II Guerra Mondiale, parlò in un famoso libro di “banalità del male” ovvero della comoda obbedienza a un’ideologia, ancorché disumana e feroce), ha quindi proposto un lavoro a quattro mani su tali ricerche a Massimiliano Speziani: condividendo con lui il pensiero sul “Fare Teatrale” come relazione e rapporto con l’Altro da Sé, unitamente alla volontà di prendere la parola nella vita civile. Di qui, l’opera di drammaturgia – sentita, commovente e necessaria – che state per leggere.
Nell'immagine in alto, da sinistra: Gabriele Nissim, Paola Bigatto e Massimiliano Speziani.
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Paola Bigatto si è diplomata alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e ha debuttato come attrice con Giancarlo Cobelli. Ha lavorato con i più svariati registi nelle più svariate situazioni (dal Teatro delle Albe al Teatro della Tosse, da Andrea Taddei a Carmelo Rifici e molti altri). Ma la sua attività è legata particolarmente a due notevoli personalità: Luca Ronconi, che l’ha diretta in una lunga serie di spettacoli, chiamandola poi ad affiancarlo come didatta nella Scuola del Piccolo Teatro di Milano; e Renata Molinari, della quale ha seguito i laboratori di drammaturgia divenendo in seguito sua collaboratrice per diversi eventi, spettacoli e progetti didattici, nonché per la scrittura del libro L’ATTORE CIVILE (Titivillus, Corrazzano - Pisa 2011). Nel 2005, esordisce nella regia con LE MORBINOSE di Carlo Goldoni al Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Insegna recitazione presso l’Accademia Teatrale Veneta di Venezia e l’Accademia Teatrale Nico Pepe di Udine. Da anni è in scena con la lezione-spettacolo LA BANALITÀ DEL MALE, monologo tratto dal testo omonimo di Hannah Arendt.
Massimiliano Speziani. Diplomato presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, ha lavorato con i maggiori registi italiani tra cui Giancarlo Cobelli, Luca Ronconi, Massimo Castri, Alfonso Santagata e Federico Tiezzi. Nel 1992 riceve il Premio Luca Coppola e Giancarlo Prati e, nel 1997, il Premio Ubu per l’interpretazione particolarmente singolare in PETITO STRENGE di Alfonso Santagata. Tra gli ultimi spettacoli interpretati: IL CUSTODE DELLE PARTENZE, scritto e prodotto con Renata M. Molinari (2006); HAPPY FAMILY®, scritto e diretto da Alessandro Genovesi (2007, produzione di Teatridithalia); LE NUVOLE di Aristofane, per la regia di Antonio Latella (2009, Teatro Stabile dell’Umbria); QUESTI AMATI ORRORI di Renato Gabrielli, di cui cura anche la regia, così come avviene per IL TIGLIO - RITRATTO DI FAMIGLIA SENZA MADRE di Tommaso Urselli (che ottiene il Premio Fersen 2013); NATHAN IL SAGGIO di Gottold Ephraim Lessing e GIULIO CESARE di William Shakespeare, entrambi diretti da Carmelo Rifici per il Piccolo Teatro di Milano (2011 e 2012). Nella stagione 2013-2014, impersona Brighella nel SERVITORE DI DUE PADRONI goldoniano, reinventato da Antonio Latella sulla drammaturgia di Ken Ponzio (produzione di ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Stabile del Veneto e Teatro Metastasio di Prato), ed è regista di VOLO NOVE ZERO TRE - EMIL ZATOPEK, IL VIAGGIO DI UN ATLETA di Maddalena Mazzacut-Mis, produzione di ArteVOX e ASLICO - Teatro Sociale di Como. All’attività teatrale alterna quella di didatta, nonché di attore ed autore radiofonico.
Gabriele Nissim. Saggista e scrittore, è fondatore e presidente di Gariwo - La Foresta dei Giusti. Per Mondadori ha pubblicato: EBREI INVISIBILI (1995, con Gabriele Eschenazi); L’UOMO CHE FERMÒ HITLER (2001); IL TRIBUNALE DEL BENE (2003); UNA BAMBINA CONTRO STALIN (2007); LA BONTÀ INSENSATA e LA MEMORIA DEL BENE E L’EDUCAZIONE ALLA RESPONSABILITÀ PERSONALE (2013). È co-autore di STORIE DI UOMINI GIUSTI NEL GULAG (Bruno Mondadori, Milano 2004). Nel 1988 è stato nominato Cavaliere di Madara, la massima onorificenza culturale bulgara, per la scoperta della figura di Dimitar Peshev. Nel 2003 ha vinto il Premio Ilaria Alpi per il documentario IL GIUDICE DEI GIUSTI e ha ricevuto una menzione speciale dalla Regione Lombardia per l’impegno sul tema dei Giusti. Nello stesso anno, ha promosso a Milano la costruzione del Giardino dei Giusti di tutto il mondo e l’intitolazione del Parco Valsesia alle vittime del Gulag. A Levashovo, inoltre, ha inaugurato il memoriale per le mille vittime italiane del totalitarismo sovietico. Nel 2014 ha inaugurato il Giardino dei Giusti a Varsavia.
Gariwo – Comitato Foresta dei Giusti è un’associazione nata a Milano nel 2000 per iniziativa di Gabriele Nissim – ebreo – e Pietro Kuciukian – armeno – con l’intento di ricordare le figure esemplari di resistenza morale ai regimi totalitari nella storia del ‘900 in Europa e nel mondo, anche attraverso la creazione di Giardini dei Giusti ovunque. L’esperienza di Gariwo (sito ufficiale: www.gariwo.net) ha dimostrato inoltre l’importanza della comunicazione sul web nella diffusione delle informazioni sui Giusti. Il nuovo progetto europeo WeFor, con la costituzione di Giardini virtuali dei Giusti nel sito www.wefor.eu, coniuga queste due linee di intervento: facendo intervenire direttamente gli utenti, soprattutto i giovani e gli insegnanti con i loro studenti, nei Giardini virtuali con dediche e contributi.
A cura di Damiano Pignedoli
Dissènten di Gabriele Paolocà
- Scritto da Damiano Pignedoli
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I miei testi arrivano per rabbia, mai per scelta. La rabbia arriva quando il Circostante è più forte e non mi permette un’inquadratura, un assestamento. Allora scrivo. Scrivo per fare chiarezza, non per trovare una soluzione – che quella capirai… – ma per dare luce a una mancanza. Infatti il cinismo imperversa nei miei testi, in ogni carattere, in ogni pausa. Mi sono ripromesso che scriverò del Bello, prima o poi… Lo farò per rendere conto a chi pensa che noi, a fare il nostro lavoro, ci si diverte e basta. Lo farò per essere finalmente capro espiatorio.
Bene. DISSèNTEN è la storia di tre Cessi. Tre loculi accessoriati. Un luogo oscuro, un “non luogo” che potrebbe essere ovunque: da un autogrill ai sotterranei di Montecitorio. Un luogo ideale per parole che non possono avere spazio altrove, perché troppo esplicite, fatalmente vere. Due uomini (o quel che ne resta) fuoriescono dal buio e, ciascuno nella sua cella, cominciano le regolari procedure: guanti di lattice e perlustrazione del cesso. Rumore di passi che si avvicinano. Una terza deformità si appresta ad occupare il cesso rimasto vuoto: il cesso centrale, il cesso del Comando. Una riunione ai massimi Vertici, una riunione tra tre emeriti pagliacci, degni rappresentanti di chi il potere l’inventa, lo promuove e lo detiene. L’oggetto della riunione è nero come lo spazio che avvolge i suoi partecipanti, gli intenti sono esageratamente inverosimili e il male che ne scaturirebbe sarebbe il parossismo del declino politico, civile e sociale.
DISSèNTEN è una favola acerba, da raccontare quando si vuole impartire una lezione, quando si vuole che un errore non venga più commesso. Una favola che si dovrebbe raccontare più spesso.
Si dovrebbe raccontare più spesso.
Gabriele Paolocà
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Il testo che qui si presenta, è anche uno spettacolo diretto e interpretato da Gabriele Paolocà, Michele Altamura e Riccardo Lanzarone. Un progetto della compagnia VicoQuartoMazzini (www.vqmteatro.com), da cui una serie di riconoscimenti e significative attestazioni: Premio della Critica al Play Festival 2013, finalista a InBox 2013 e al Premio Kantor 2010, selezionato al Festival Internazionale Castel dei Mondi 2012 e all’Argot Off 2011, nonché vincitore del Next > Generation Festival 2013 “Per aver redatto un testo” – recita la motivazione della vittoria – “di singolare forza e suggestione, soprattutto nell’evocare criticità e pericoli di una quotidianità, quella italica in cui i volti e i comportamenti dei protagonisti appaiono sempre più paradossali e concorrenti alle maschere grottesche portate in scena in questo spettacolo. Per la messinscena suggestiva e puntuale, in cui spicca il rigore per la partitura fisica, pur essendo questo aspetto inserito in un contesto scenico complessivamente molto curato. Per aver elaborato un linguaggio poetico originale capace di valorizzare il profondo aspetto simbolico delle parole”.
Gabriele Paolocà nasce a Roma nel 1985. Ancora scapigliato studia recitazione con Stefania De Santis che lo inizia a Beckett, Camus, Ionesco e Canetti. Capisce che il teatro non è una cosa seria e decide di approfondire. Frequenta la Civica Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine dove fonda – assieme ad altri allievi – la compagnia VicoQuartoMazzini, attiva ormai da quattro anni. Oltre a DISSèNTEN, scrive e poi mette in scena – sempre con la sua compagnia – BOHEME! nel 2013, in coproduzione con Festival Internazionale Castel dei Mondi e Teatro dell’Orologio-Progetto Goldstein ed il sostegno di Straligut Teatro, Teatro Kismet Opera, La Luna nel Letto, Teatro Minimo; mentre è dell’anno prima la realizzazione, coprodotta con Teatro Minimo, de IL SOGNO DEGLI ARTIGIANI scritto da Michele Santeramo per la regia di Michele Sinisi.
Come attore collabora inoltre coi gruppi Le Belle Bandiere di Elena Bucci e Marco Sgrosso (vedi gli spettacoli ANTIGONE “ovvero Una strategia del rito” del 2012 e SMEMORANTES del 2013), Teatro Minimo di Santeramo e Sinisi (L'ARTE DELLA COMMEDIA di Eduardo De Filippo, che ha debuttato nel 2011) e Teatro dell’Orologio-Progetto Goldstein di Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi (LOVE - OVVERO L’AMORE AI TEMPI DELLA RAGIONE PERMANENTE del 2014).
A cura di Damiano Pignedoli
Antropolaroid di Tindaro Granata
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Sono nato a Tindari (Messina) alla fine della seconda metà del ’900.
Mi diplomo come Tecnico Geometra e appena ventenne m’imbarco su Nave Spica, pattugliatore d’altura, in qualità di Meccanico Artigliere.
Trascorro un anno in mare, traversando il canale di Sicilia, occupandomi della gestione e manutenzione delle armi di difesa della nave militare.
Dopo lo sbarco, mi trasferisco a Roma per fare l’attore.
Non conoscendo nessuno, nella capitale lavoro come commesso in diversi negozi di scarpe, poi in trattorie e ristoranti come cameriere.
Artisticamente non ho una formazione accademica, frequento corsi di recitazione ma il mio percorso teatrale inizia nel 2002 con Massimo Ranieri, in occasione della messa in scena dello spettacolo PULCINELLA.
Ho scritto ANTROPOLAROID per diversi motivi, ne elenco alcuni.
1) Questo mondo che i miei nonni mi hanno raccontato non voglio che vada perso. Ho perso da poco “loro” e ANTROPOLAROID è una forma di ringraziamento per tutto l’amore che mi hanno dato.
2) Voglio che il mio teatro nasca dalle mie radici e dalla realtà in cui vivo, e si nutra di esseri umani. Voglio che il mio teatro sia la mia vita, la mia passione, la mia donna e il mio uomo, insieme!
3) Ho scritto ANTROPOLAROID a poco più di trent’anni e in quel momento storico – come anche oggi – mi sentivo senza radici, senza casa, senza lavoro e sono convinto che questo disagio, comune alla maggior parte dei miei coetanei, possa essere superato vivendo, agendo, con la speranza che il nostro impegno a superare le tristezze della vita potrà veramente cambiare il destino. Ovviamente non sto “scoprendo l’acqua calda” se dico: non dobbiamo pensare che possiamo farcela da soli. Abbiamo bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di noi. Il futuro deve partire dal nostro passato, perché nel passato è nascosto il nostro dolore. Nel nostro passato è nascosta la gioia. Nel passato c’è tutta la nostra vita: il futuro.
Lo spettacolo nasce dalla mia esigenza di sviluppare e rielaborare la tradizione del Cunto, a me trasmessa inconsapevolmente dai miei nonni, entrambi contadini. Allontanandomi dal modello originario di tradizione orale, riscrivo e reinterpreto il passato della mia famiglia intrecciandolo ad episodi di cronaca avvenuti nel mio paese di nascita. L’intento è quello di appropriarmi del Cunto non attraverso lo studio delle tecniche che in questi anni sono state recuperate e utilizzate da diversi artisti, ma in maniera istintiva, proprio come i miei antenati avevano fatto prima di me. Questi Cunti li ho istintivamente memorizzati nel mio letto come si memorizzano le favole della buonanotte, riportati dai miei nonni – non consapevoli di utilizzare una tecnica antica, ma con il solo scopo di farmi addormentare o al fine di dimenticare, per un’ora, la loro solitudine.
Lo spettacolo, quindi, non ha l’obiettivo di recuperare una tradizione ma di carpire il segreto del racconto stesso come parte di un codice comune, di un DNA propriamente siciliano che si trasmette di nonno in nipote, comunque, e nonostante che il teatro contemporaneo se ne sia impossessato per trasformarlo in un’arte colta. ANTROPOLAROID, nella sua resa, resta un racconto grezzo di poesia popolare dove personaggi e voci – creati e portati in scena esclusivamente con l’aiuto del mio corpo, senza artifici scenografici – si alternano, si sommano, si rispondono, come legati da un comune cordone ombelicale.
Tindaro Granata
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Un’epopea famigliare scritta in un siciliano di grande immediatezza e comprensibilità, portata in scena dallo stesso autore-attore tramite un assolo di emozionante successo, che gli è valso il Premio ANCT - Associazione Nazionale Critici di Teatro nel 2011, con la seguente motivazione: “[…] spettacolo di cupa bellezza, struggente, attraversato da un’inquietudine dolorosa, dove a tratti si coglie ugualmente, amaramente, l’occasione di ridere, per la caratterizzazione dei personaggi, il loro susseguirsi veloce sulla scena, per l’abilità stessa dell’attore nel trasformarsi […]. Straordinario Tindaro Granata che da solo racconta di figure familiari, di generazioni, di una terra, la Sicilia, da cui poi anche allontanarsi […]. Perché dentro questo spettacolo ad alta condensazione e intelligenza teatrali, ci sono, rielaborate con molta sensibilità, schegge di storia dello stesso interprete in scena, con quel titolo che fonde insieme la ricerca antropologica con lo scatto fotografico, la memoria trattenuta nell’immagine, racconto tramandato, vissuto profondamente. ANTROPOLAROID è creazione teatrale colma di molte emozioni, per il testo, la recitazione, per la concretezza e l’universalità della narrazione, il ritmo avvolgente. Tindaro Granata passa attraverso i decenni in molteplici ruoli, ad ogni età, maschio e femmina, tra giochi, balli, lavoro, relazioni familiari, paure, brevi passaggi ogni volta a comporre dialoghi, legami, situazioni, lui solo e tanti: davvero magnifico”.
Tindaro Granata, oltre al menzionato PULCINELLA secondo Maurizio Scaparro e con Massimo Ranieri, ha interpretato Bertoldo nell’ENRICO IV pirandelliano messo in scena da Roberto Guicciardini per SiciliaTeatro nel 2006. Al BITEF di Belgrado del 2008 viene diretto invece da Nikita Milivoievic in NOUSHURID FRUIT e, nello stesso anno, conosce Cristina Pezzoli prendendo parte al suo progetto “PPP teatro”. Nel 2009, è lui stesso a cimentarsi con una regia: ovvero BLITZ, testo di Letizia Russo.
Ma è soprattutto col regista Carmelo Rifici che lavora, come attore, in parecchie messinscene: IL NEMICO di Julien Green (2007, produzione Istituto Dramma Popolare di San Miniato), IL GATTO CON GLI STIVALI da Ludwig Tieck (2009, Piccolo Teatro di Milano), LA TESTA DEL PROFETA di Elena Bono (2009, ancora per San Miniato), FEDRA (IPPOLITO PORTATORE DI CORONE) di Euripide (2010, Istituto Nazionale del Dramma Antico), BUIO di Sonia Antinori (2010, Fondazione Teatro Due), lo shakespeariano GIULIO CESARE (2012, di nuovo Piccolo Teatro di Milano) e CHI RESTA (2013, Proxima Res). Nel 2011 è nello spettacolo di Jacopo Serafini MUSIQUE POUR TOI SEUL ed è tra i protagonisti della trasmissione televisiva L’ALMANACCO DEL GENE GNOCCO con Gene Gnocchi, mentre – infine – scrive, dirige e interpreta ANTROPOLAROID con il quale vince la Borsa Teatrale Anna Pancirolli, il citato Premio ANCT e il Fersen 2012 in quanto “Attore Creativo”.
Del 2013 è il suo nuovo testo ispirato ad un caso di pedofilia, INVIDIATEMI COME IO HO INVIDIATO VOI, di cui fa anche la regia realizzando uno spettacolo corale (dove lui stesso recita) prodotto da BIBOteatro: un applaudito sold out nelle date di debutto al Teatro Elfo Puccini di Milano. È davvero un momento d’oro per il giovane attore-autore siciliano, insignito ultimamente anche del Premio Mariangela Melato come “Miglior Attore Emergente” e altresì del Fersen per la “Miglior Regia 2013”, mentre il prossimo 30 agosto riceverà il Premio Enriquez come autore del miglior testo d’impegno civile. Il 12 marzo 2014, per chiudere, è stato il protagonista della mise en espace (in prima nazionale) de IL LIBRO DEL BUIO di Tahar Ben Jelloun: andato in scena al Festival Dedica di Pordenone, per la regia di Serena Sinigaglia.
A cura di Damiano Pignedoli
È tutto sporco nel Paese delle Meraviglie di Ana Cândida de Carvalho Carneiro
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Questo è il mio primo testo, scritto nel 2006 e presentato come saggio di fine corso alla Scuola d’Arte Drammatica di Milano. L’anno dopo è stato finalista al Premio Riccione per il Teatro. L’ho scritto a partire dalla necessità di raccontare l’esperienza dell’immigrazione, della discriminazione e della clandestinità con lo sguardo di chi le ha vissuta in prima persona. Sono stata clandestina in Italia per tre anni a causa di kafkiane questioni burocratiche. Lavoravo, studiavo e pagavo religiosamente le tasse, ma la legge Bossi-Fini intralciava i tentativi di mettermi in regola. Le mattinate in Questura non erano piacevoli. Per farsi trattare un po’ meglio, bisognava andarci accompagnata da un cittadino italiano e fare finta di niente se l’ispettore ci provava offrendo qualche agevolazione. Nel 2009 mi è arrivato il foglio di via, che custodisco in una cartelletta. Dopo quasi quattordici anni di residenza in Italia, sei di procedura amministrativa e molti soldi spesi per l’avvocato, mi hanno concesso la cittadinanza. In potenza: perché dal Comune non giunge segnale o notizia alcuna sulla data in cui potrò giurare fedeltà alla Repubblica Italiana.
Chissà cosa pensano di tutto questo i miei bisnonni lombardi che, emigrati in Brasile per povertà, hanno zappato la terra per venticinque anni? Saranno felici di questo ritorno?
Un centro di permanenza temporanea. Una cella. Due figure femminili.
Fino a che punto ci si può compromettere per realizzare un sogno?
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Ana Cândida de Carvalho Carneiro è nata a Rio Claro, in Brasile, nel 1977. Si laurea in Giurisprudenza presso l’Università di San Paolo e compie studi accademici di Letteratura Brasiliana, Inglese e Francese. Nel 2000 emigra in Italia per studiare Lettere all’Università Statale di Milano mentre, nella stessa città, sei anni dopo si diploma in Drammaturgia presso la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi. Nel 2007, il suo testo È TUTTO SPORCO NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE è finalista al Premio Riccione per il Teatro assieme alle opere di autori rilevanti quali Ugo Chiti, Dacia Maraini, Antonio Tarantino ed Enzo Moscato. L’anno seguente è invitata a partecipare alla residenza internazionale per autori teatrali del prestigioso Royal Court Theatre di Londra, da cui nasce il testo ANCHE I TOPI BALLANO IL TIP TAP. Nel 2010, collabora con il compositore messicano Javier Torres Maldonado scrivendo il radiodramma QUEL PROFONDO OCEANO... che debutta a Parigi nel maggio 2011 al Festival Extensions, trasmesso da Radio France. Sempre nel 2010, scrive il testo PLASTIC DOLL (segnalato al Premio Hystrio 2012) ed è invitata a partecipare come speaker al 1° Incontro Internazionale di Giovani Drammaturghi a Hangzhou in Cina. Diversamente, nel 2011, l’opera teatrale BABELE vince il Premio Hystrio per giovani drammaturghi; mentre, con la pièce breve SUONI PER UNA FORESTA DIGITALE, partecipa al workshop internazionale per autori teatrali emergenti della Sala Beckett di Barcellona, tenuto da Simon Stephens. Attualmente sta lavorando con la compositrice argentina Analia Llugdar e la regista canadese Alice Ronfard sull’adattamento musicale del suo testo teatrale APPENA PRIMA/APPENA DOPO, avendo vinto una residenza artistica della Fondazione Rockefeller a Bellaggio dovuta a tale suo progetto. È dottoranda in Drammaturgia presso l’Università Cattolica di Milano, con una tesi sul Teatro Post-drammatico. Ha tradotto opere del drammaturgo brasiliano Nelson Rodrigues per la casa editrice Ubulibri di Franco Quadri, rimaste tuttavia inedite. Lungo il suo percorso formativo ha studiato con José Sanchis Sinisterra, Ugo Chiti, Renata Molinari, Renato Gabrielli, Karlheiz Stockhausen, Martin Crimp e Simon Stephens, partecipando anche a incontri con Harold Pinter e Tom Stoppard. Diverse sue drammaturgie sono state tradotte in inglese, francese, catalano e spagnolo. Scrive sia in portoghese che in italiano e ha un suo spazio web al link “anadrammaturga.blogspot.it”.
A cura di Damiano Pignedoli