Il dramma del mese
Dissènten di Gabriele Paolocà
- Scritto da Damiano Pignedoli
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I miei testi arrivano per rabbia, mai per scelta. La rabbia arriva quando il Circostante è più forte e non mi permette un’inquadratura, un assestamento. Allora scrivo. Scrivo per fare chiarezza, non per trovare una soluzione – che quella capirai… – ma per dare luce a una mancanza. Infatti il cinismo imperversa nei miei testi, in ogni carattere, in ogni pausa. Mi sono ripromesso che scriverò del Bello, prima o poi… Lo farò per rendere conto a chi pensa che noi, a fare il nostro lavoro, ci si diverte e basta. Lo farò per essere finalmente capro espiatorio.
Bene. DISSèNTEN è la storia di tre Cessi. Tre loculi accessoriati. Un luogo oscuro, un “non luogo” che potrebbe essere ovunque: da un autogrill ai sotterranei di Montecitorio. Un luogo ideale per parole che non possono avere spazio altrove, perché troppo esplicite, fatalmente vere. Due uomini (o quel che ne resta) fuoriescono dal buio e, ciascuno nella sua cella, cominciano le regolari procedure: guanti di lattice e perlustrazione del cesso. Rumore di passi che si avvicinano. Una terza deformità si appresta ad occupare il cesso rimasto vuoto: il cesso centrale, il cesso del Comando. Una riunione ai massimi Vertici, una riunione tra tre emeriti pagliacci, degni rappresentanti di chi il potere l’inventa, lo promuove e lo detiene. L’oggetto della riunione è nero come lo spazio che avvolge i suoi partecipanti, gli intenti sono esageratamente inverosimili e il male che ne scaturirebbe sarebbe il parossismo del declino politico, civile e sociale.
DISSèNTEN è una favola acerba, da raccontare quando si vuole impartire una lezione, quando si vuole che un errore non venga più commesso. Una favola che si dovrebbe raccontare più spesso.
Si dovrebbe raccontare più spesso.
Gabriele Paolocà
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Il testo che qui si presenta, è anche uno spettacolo diretto e interpretato da Gabriele Paolocà, Michele Altamura e Riccardo Lanzarone. Un progetto della compagnia VicoQuartoMazzini (www.vqmteatro.com), da cui una serie di riconoscimenti e significative attestazioni: Premio della Critica al Play Festival 2013, finalista a InBox 2013 e al Premio Kantor 2010, selezionato al Festival Internazionale Castel dei Mondi 2012 e all’Argot Off 2011, nonché vincitore del Next > Generation Festival 2013 “Per aver redatto un testo” – recita la motivazione della vittoria – “di singolare forza e suggestione, soprattutto nell’evocare criticità e pericoli di una quotidianità, quella italica in cui i volti e i comportamenti dei protagonisti appaiono sempre più paradossali e concorrenti alle maschere grottesche portate in scena in questo spettacolo. Per la messinscena suggestiva e puntuale, in cui spicca il rigore per la partitura fisica, pur essendo questo aspetto inserito in un contesto scenico complessivamente molto curato. Per aver elaborato un linguaggio poetico originale capace di valorizzare il profondo aspetto simbolico delle parole”.
Gabriele Paolocà nasce a Roma nel 1985. Ancora scapigliato studia recitazione con Stefania De Santis che lo inizia a Beckett, Camus, Ionesco e Canetti. Capisce che il teatro non è una cosa seria e decide di approfondire. Frequenta la Civica Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine dove fonda – assieme ad altri allievi – la compagnia VicoQuartoMazzini, attiva ormai da quattro anni. Oltre a DISSèNTEN, scrive e poi mette in scena – sempre con la sua compagnia – BOHEME! nel 2013, in coproduzione con Festival Internazionale Castel dei Mondi e Teatro dell’Orologio-Progetto Goldstein ed il sostegno di Straligut Teatro, Teatro Kismet Opera, La Luna nel Letto, Teatro Minimo; mentre è dell’anno prima la realizzazione, coprodotta con Teatro Minimo, de IL SOGNO DEGLI ARTIGIANI scritto da Michele Santeramo per la regia di Michele Sinisi.
Come attore collabora inoltre coi gruppi Le Belle Bandiere di Elena Bucci e Marco Sgrosso (vedi gli spettacoli ANTIGONE “ovvero Una strategia del rito” del 2012 e SMEMORANTES del 2013), Teatro Minimo di Santeramo e Sinisi (L'ARTE DELLA COMMEDIA di Eduardo De Filippo, che ha debuttato nel 2011) e Teatro dell’Orologio-Progetto Goldstein di Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi (LOVE - OVVERO L’AMORE AI TEMPI DELLA RAGIONE PERMANENTE del 2014).
A cura di Damiano Pignedoli
Antropolaroid di Tindaro Granata
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Sono nato a Tindari (Messina) alla fine della seconda metà del ’900.
Mi diplomo come Tecnico Geometra e appena ventenne m’imbarco su Nave Spica, pattugliatore d’altura, in qualità di Meccanico Artigliere.
Trascorro un anno in mare, traversando il canale di Sicilia, occupandomi della gestione e manutenzione delle armi di difesa della nave militare.
Dopo lo sbarco, mi trasferisco a Roma per fare l’attore.
Non conoscendo nessuno, nella capitale lavoro come commesso in diversi negozi di scarpe, poi in trattorie e ristoranti come cameriere.
Artisticamente non ho una formazione accademica, frequento corsi di recitazione ma il mio percorso teatrale inizia nel 2002 con Massimo Ranieri, in occasione della messa in scena dello spettacolo PULCINELLA.
Ho scritto ANTROPOLAROID per diversi motivi, ne elenco alcuni.
1) Questo mondo che i miei nonni mi hanno raccontato non voglio che vada perso. Ho perso da poco “loro” e ANTROPOLAROID è una forma di ringraziamento per tutto l’amore che mi hanno dato.
2) Voglio che il mio teatro nasca dalle mie radici e dalla realtà in cui vivo, e si nutra di esseri umani. Voglio che il mio teatro sia la mia vita, la mia passione, la mia donna e il mio uomo, insieme!
3) Ho scritto ANTROPOLAROID a poco più di trent’anni e in quel momento storico – come anche oggi – mi sentivo senza radici, senza casa, senza lavoro e sono convinto che questo disagio, comune alla maggior parte dei miei coetanei, possa essere superato vivendo, agendo, con la speranza che il nostro impegno a superare le tristezze della vita potrà veramente cambiare il destino. Ovviamente non sto “scoprendo l’acqua calda” se dico: non dobbiamo pensare che possiamo farcela da soli. Abbiamo bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di noi. Il futuro deve partire dal nostro passato, perché nel passato è nascosto il nostro dolore. Nel nostro passato è nascosta la gioia. Nel passato c’è tutta la nostra vita: il futuro.
Lo spettacolo nasce dalla mia esigenza di sviluppare e rielaborare la tradizione del Cunto, a me trasmessa inconsapevolmente dai miei nonni, entrambi contadini. Allontanandomi dal modello originario di tradizione orale, riscrivo e reinterpreto il passato della mia famiglia intrecciandolo ad episodi di cronaca avvenuti nel mio paese di nascita. L’intento è quello di appropriarmi del Cunto non attraverso lo studio delle tecniche che in questi anni sono state recuperate e utilizzate da diversi artisti, ma in maniera istintiva, proprio come i miei antenati avevano fatto prima di me. Questi Cunti li ho istintivamente memorizzati nel mio letto come si memorizzano le favole della buonanotte, riportati dai miei nonni – non consapevoli di utilizzare una tecnica antica, ma con il solo scopo di farmi addormentare o al fine di dimenticare, per un’ora, la loro solitudine.
Lo spettacolo, quindi, non ha l’obiettivo di recuperare una tradizione ma di carpire il segreto del racconto stesso come parte di un codice comune, di un DNA propriamente siciliano che si trasmette di nonno in nipote, comunque, e nonostante che il teatro contemporaneo se ne sia impossessato per trasformarlo in un’arte colta. ANTROPOLAROID, nella sua resa, resta un racconto grezzo di poesia popolare dove personaggi e voci – creati e portati in scena esclusivamente con l’aiuto del mio corpo, senza artifici scenografici – si alternano, si sommano, si rispondono, come legati da un comune cordone ombelicale.
Tindaro Granata
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Un’epopea famigliare scritta in un siciliano di grande immediatezza e comprensibilità, portata in scena dallo stesso autore-attore tramite un assolo di emozionante successo, che gli è valso il Premio ANCT - Associazione Nazionale Critici di Teatro nel 2011, con la seguente motivazione: “[…] spettacolo di cupa bellezza, struggente, attraversato da un’inquietudine dolorosa, dove a tratti si coglie ugualmente, amaramente, l’occasione di ridere, per la caratterizzazione dei personaggi, il loro susseguirsi veloce sulla scena, per l’abilità stessa dell’attore nel trasformarsi […]. Straordinario Tindaro Granata che da solo racconta di figure familiari, di generazioni, di una terra, la Sicilia, da cui poi anche allontanarsi […]. Perché dentro questo spettacolo ad alta condensazione e intelligenza teatrali, ci sono, rielaborate con molta sensibilità, schegge di storia dello stesso interprete in scena, con quel titolo che fonde insieme la ricerca antropologica con lo scatto fotografico, la memoria trattenuta nell’immagine, racconto tramandato, vissuto profondamente. ANTROPOLAROID è creazione teatrale colma di molte emozioni, per il testo, la recitazione, per la concretezza e l’universalità della narrazione, il ritmo avvolgente. Tindaro Granata passa attraverso i decenni in molteplici ruoli, ad ogni età, maschio e femmina, tra giochi, balli, lavoro, relazioni familiari, paure, brevi passaggi ogni volta a comporre dialoghi, legami, situazioni, lui solo e tanti: davvero magnifico”.
Tindaro Granata, oltre al menzionato PULCINELLA secondo Maurizio Scaparro e con Massimo Ranieri, ha interpretato Bertoldo nell’ENRICO IV pirandelliano messo in scena da Roberto Guicciardini per SiciliaTeatro nel 2006. Al BITEF di Belgrado del 2008 viene diretto invece da Nikita Milivoievic in NOUSHURID FRUIT e, nello stesso anno, conosce Cristina Pezzoli prendendo parte al suo progetto “PPP teatro”. Nel 2009, è lui stesso a cimentarsi con una regia: ovvero BLITZ, testo di Letizia Russo.
Ma è soprattutto col regista Carmelo Rifici che lavora, come attore, in parecchie messinscene: IL NEMICO di Julien Green (2007, produzione Istituto Dramma Popolare di San Miniato), IL GATTO CON GLI STIVALI da Ludwig Tieck (2009, Piccolo Teatro di Milano), LA TESTA DEL PROFETA di Elena Bono (2009, ancora per San Miniato), FEDRA (IPPOLITO PORTATORE DI CORONE) di Euripide (2010, Istituto Nazionale del Dramma Antico), BUIO di Sonia Antinori (2010, Fondazione Teatro Due), lo shakespeariano GIULIO CESARE (2012, di nuovo Piccolo Teatro di Milano) e CHI RESTA (2013, Proxima Res). Nel 2011 è nello spettacolo di Jacopo Serafini MUSIQUE POUR TOI SEUL ed è tra i protagonisti della trasmissione televisiva L’ALMANACCO DEL GENE GNOCCO con Gene Gnocchi, mentre – infine – scrive, dirige e interpreta ANTROPOLAROID con il quale vince la Borsa Teatrale Anna Pancirolli, il citato Premio ANCT e il Fersen 2012 in quanto “Attore Creativo”.
Del 2013 è il suo nuovo testo ispirato ad un caso di pedofilia, INVIDIATEMI COME IO HO INVIDIATO VOI, di cui fa anche la regia realizzando uno spettacolo corale (dove lui stesso recita) prodotto da BIBOteatro: un applaudito sold out nelle date di debutto al Teatro Elfo Puccini di Milano. È davvero un momento d’oro per il giovane attore-autore siciliano, insignito ultimamente anche del Premio Mariangela Melato come “Miglior Attore Emergente” e altresì del Fersen per la “Miglior Regia 2013”, mentre il prossimo 30 agosto riceverà il Premio Enriquez come autore del miglior testo d’impegno civile. Il 12 marzo 2014, per chiudere, è stato il protagonista della mise en espace (in prima nazionale) de IL LIBRO DEL BUIO di Tahar Ben Jelloun: andato in scena al Festival Dedica di Pordenone, per la regia di Serena Sinigaglia.
A cura di Damiano Pignedoli
È tutto sporco nel Paese delle Meraviglie di Ana Cândida de Carvalho Carneiro
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Questo è il mio primo testo, scritto nel 2006 e presentato come saggio di fine corso alla Scuola d’Arte Drammatica di Milano. L’anno dopo è stato finalista al Premio Riccione per il Teatro. L’ho scritto a partire dalla necessità di raccontare l’esperienza dell’immigrazione, della discriminazione e della clandestinità con lo sguardo di chi le ha vissuta in prima persona. Sono stata clandestina in Italia per tre anni a causa di kafkiane questioni burocratiche. Lavoravo, studiavo e pagavo religiosamente le tasse, ma la legge Bossi-Fini intralciava i tentativi di mettermi in regola. Le mattinate in Questura non erano piacevoli. Per farsi trattare un po’ meglio, bisognava andarci accompagnata da un cittadino italiano e fare finta di niente se l’ispettore ci provava offrendo qualche agevolazione. Nel 2009 mi è arrivato il foglio di via, che custodisco in una cartelletta. Dopo quasi quattordici anni di residenza in Italia, sei di procedura amministrativa e molti soldi spesi per l’avvocato, mi hanno concesso la cittadinanza. In potenza: perché dal Comune non giunge segnale o notizia alcuna sulla data in cui potrò giurare fedeltà alla Repubblica Italiana.
Chissà cosa pensano di tutto questo i miei bisnonni lombardi che, emigrati in Brasile per povertà, hanno zappato la terra per venticinque anni? Saranno felici di questo ritorno?
Un centro di permanenza temporanea. Una cella. Due figure femminili.
Fino a che punto ci si può compromettere per realizzare un sogno?
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Ana Cândida de Carvalho Carneiro è nata a Rio Claro, in Brasile, nel 1977. Si laurea in Giurisprudenza presso l’Università di San Paolo e compie studi accademici di Letteratura Brasiliana, Inglese e Francese. Nel 2000 emigra in Italia per studiare Lettere all’Università Statale di Milano mentre, nella stessa città, sei anni dopo si diploma in Drammaturgia presso la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi. Nel 2007, il suo testo È TUTTO SPORCO NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE è finalista al Premio Riccione per il Teatro assieme alle opere di autori rilevanti quali Ugo Chiti, Dacia Maraini, Antonio Tarantino ed Enzo Moscato. L’anno seguente è invitata a partecipare alla residenza internazionale per autori teatrali del prestigioso Royal Court Theatre di Londra, da cui nasce il testo ANCHE I TOPI BALLANO IL TIP TAP. Nel 2010, collabora con il compositore messicano Javier Torres Maldonado scrivendo il radiodramma QUEL PROFONDO OCEANO... che debutta a Parigi nel maggio 2011 al Festival Extensions, trasmesso da Radio France. Sempre nel 2010, scrive il testo PLASTIC DOLL (segnalato al Premio Hystrio 2012) ed è invitata a partecipare come speaker al 1° Incontro Internazionale di Giovani Drammaturghi a Hangzhou in Cina. Diversamente, nel 2011, l’opera teatrale BABELE vince il Premio Hystrio per giovani drammaturghi; mentre, con la pièce breve SUONI PER UNA FORESTA DIGITALE, partecipa al workshop internazionale per autori teatrali emergenti della Sala Beckett di Barcellona, tenuto da Simon Stephens. Attualmente sta lavorando con la compositrice argentina Analia Llugdar e la regista canadese Alice Ronfard sull’adattamento musicale del suo testo teatrale APPENA PRIMA/APPENA DOPO, avendo vinto una residenza artistica della Fondazione Rockefeller a Bellaggio dovuta a tale suo progetto. È dottoranda in Drammaturgia presso l’Università Cattolica di Milano, con una tesi sul Teatro Post-drammatico. Ha tradotto opere del drammaturgo brasiliano Nelson Rodrigues per la casa editrice Ubulibri di Franco Quadri, rimaste tuttavia inedite. Lungo il suo percorso formativo ha studiato con José Sanchis Sinisterra, Ugo Chiti, Renata Molinari, Renato Gabrielli, Karlheiz Stockhausen, Martin Crimp e Simon Stephens, partecipando anche a incontri con Harold Pinter e Tom Stoppard. Diverse sue drammaturgie sono state tradotte in inglese, francese, catalano e spagnolo. Scrive sia in portoghese che in italiano e ha un suo spazio web al link “anadrammaturga.blogspot.it”.
A cura di Damiano Pignedoli
Brennero Crash di Alessandro Berti
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Il testo di BRENNERO CRASH sono parole che ho messo in bocca ai personaggi di un plot ideato da Michela Lucenti per una coproduzione Balletto Civile / Neuköllner Oper / Teatro Due. Il partner berlinese, un teatro d’opera, ancorché comique o comunque aperto al contemporaneo, ci ha spinti verso un pastiche linguistico sulla scia di quelli che io e Michela facevamo da giovani ai tempi dell’Impasto - Comunità Teatrale Nomade, di cui siamo stati fautori dal 1995 per quasi un decennio.
Il testo, come si vedrà, è scritto in italiano – principalmente – con inserti dialettali del nord Italia e in lingua tedesca. Il mio tentativo, come scrittore, è stato quello di tutelare un elemento di poesia delle parole all’interno di una dialettica, talvolta piuttosto complicata, tra dramaturg del teatro committente e regista della compagnia commissionaria.
Lo sforzo è stato divertente, spesso addirittura appassionante e, rileggendo il lavoro, ha dato vita a un risultato strano e perciò forse di qualche interesse. Ricorda, secondo me, quelle opere cifrate che si scrivevano sotto dittatura. Ovviamente il testo è davvero soltanto uno degli elementi di un’opera anche molto fisica e musicale, perciò – come spiego nella presentazione dei caratteri – vi ho messo un poco mano per renderlo leggibile da solo.
Di che si tratta? Di un lavoro che parla, balbetta, grida, dell’inesausta ricerca di significato che ognuna e ognuno di noi intraprende per vivere in maniera sensata la propria esistenza terrena: consapevoli che qualsiasi senso o non-senso si voglia dare al mistero assoluto che è essere al mondo, questo rivestimento (o nocciolo) misterioso delle cose c’è e determina completamente il corso degli eventi. I quali, sono condizionati a loro volta dall’ambiente generale, storico, in cui hanno luogo e, in questo caso, da un momento piuttosto deprimente in cui l’ordine sociale ed economico ci schiaccia sempre di più in un calcolato grigiore. Al quale sfuggiamo proprio abbandonandoci alla gioia che dà lo scavo interiore, nelle relazioni: una sorta di nozze coi fichi secchi di ognuna e ognuno con se stessa e se stesso e poi insieme, nel tentativo di dare vita a una comunità allegramente impoverita materialmente ma mai moralmente, spiritualmente, poeticamente, che è quanto di più ardito e difficile il Presente ci chiede.
Io mi occupo delle retrovie, sono ormai poco adatto alle prime linee e mi appassiona il funzionamento del dispositivo umano in condizioni particolari, cioè di invenzione ordinaria del quotidiano, sempre necessaria, e di rinnovamento in tempo reale delle vite di ognuna e ognuno di noi. Da cui il mio essere cristiano, ancorché critico, mistico, perciò sempre da diffidare, come è giusto, da una parte e dall’altra, cioè cattolica e laicista. In mezzo si sta belli caldi e belli in pace. “Sii sconosciuto dove vivi e vivrai bene”, diceva un padre del deserto. A questo motto mi attengo da sempre.
Alessandro Berti (nella foto di Fabio Perroni) è nato a Reggio Emilia all’inizio degli anni ’70, in una casa di cura dove esercitava un medico amico di famiglia. Essendo nato prematuro tuttavia, si rese necessario un suo trasferimento al grande ospedale pubblico cittadino, dotato di incubatrici. Tutto ciò segnerà la sua vita, sempre in bilico tra elemento privato e pubblico, familiare e politico, spirituale e sociale.
Appassionato di traslochi, cambia città ogni tre anni circa e invariabilmente, alterna momenti di vita urbana a mesi di isolamento alpestre. Pur parlando perfettamente quasi tutte le lingue europee (lo studio approfondito delle lingue fu ciò che da adolescente dovette intraprendere perché la famiglia tollerasse la sua passione teatrale), Berti si annoia mortalmente a nord delle Alpi, specialmente invecchiando.
Ha un figlio di cinque anni che pochi giorni fa gli ha dato una testata a una costola, incrinandogliela. Da qui in poi, a quanto pare, saprà dunque prevedere con qualche certezza i cambi di stagione.
Per il resto e per concludere, la sua ricerca negli ultimi anni riguarda la trascrizione in forma poetica della battaglia tra vita vissuta e vita raccontata, tra esperienza e testimonianza posteriore. Da cui, il suo interesse per la vita e la scrittura dei cosiddetti mistici. Pratica un cristianesimo essenziale e una vita semplice, che presentemente si volge perlopiù nel centro storico della città di Bologna, dove vive.
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BRENNERO CRASH è andato in scena per la prima volta assoluta il 16 agosto 2013 alla Neuköllner Oper di Berlino (www.neukoellneroper.de), teatro coproduttore assieme alla Fondazione Teatro Due di Parma (www.teatrodue.org) e al Balletto Civile di Michela Lucenti (www.ballettocivile.org), regista e coreografa dello spettacolo stesso. Una creazione che, dal 17 al 26 ottobre 2013, è stata rappresentata nello Spazio Bignardi del medesimo Teatro Due, ponendosi come uno degli eventi di punta del Teatro Festival Parma dell’annata appena trascorsa.
“Fa da cornice alle vicende un autogrill, tempio laico dell’umanità viandante, sperduto non-luogo che raccoglierà i nostri ammaccati viaggiatori, e night club all’occorrenza per performance burlesche. Punto focale dello spettacolo, il crash automobilistico diventa metafora di un incontro-scontro tra destini, dell’imprevedibilità di un evento che ferisce e nello stesso tempo ricompone storie. L’atto prettamente invalidante come quello di un incidente stradale diviene paradossalmente la principale causa di una narrazione fisica. Mentre la scena rimanda ad ambientazioni metafisiche e rarefatte, entrano in gioco scalcinate vite danzanti e cangianti, rivolte a una poetica grottesca, disperata a tratti, ma che non rinunciano a rivendicare una loro identità, per quanto visionaria e farsesca, curandosi le ferite e inscenando un cabaret di sconfitti, ma sopravvissuti. Al ciglio di una strada esseri incidentati si ritrovano così a condividere l’interruzione di un tragitto e la ricerca di una nuova meta, tra ritmi polifonici, idiomi forestieri e danze incagliate negli spazi freddi di una carreggiata, di un bagno di servizio o sul dorso di uno zerbino, che è anche la schiena di un individuo, figura narrante della vicenda”.
(Andrea Alfieri, da “Krapp’s Last Post - www.klpteatro.it”, 6 novembre 2013)
Aggiungendo che Alessandro Berti si è formato alla Scuola del Teatro Stabile di Genova divenendo subito dopo uno dei degli artisti più stimolanti, interessanti e autenticamente originali della new wave teatrale sorta durante gli anni ’90, bisogna qui menzionare alcune sue creazioni di cui è stato autore e interprete col suo gruppo de L’Impasto, venendo altresì prodotto da teatri quali il glorioso Crt di Milano diretto da Sisto Dalla Palma, il CSS - Centro Servizi e Spettacoli di Udine e da festival come le Orestiadi di Gibellina e quello di Santarcangelo. Pertanto, si ricordino almeno gli spettacoli SKANKRER (1996), TERRA DI BURRO (1997), TRIONFO ANONIMO (2000), IL QUARTIERE (2002); più di recente, CONFINE (2006), EROI (2007, dalle poesie di Claudio Damiani), CREATURA (2008, ancora con Michela Lucenti e Balletto Civile, per la Biennale Danza di Venezia), PIETRA, PIANTA (2009) e – con Casavuota, il suo nuovo progetto teatrale – L’ABBANDONO ALLA DIVINA PROVVIDENZA (2010, dal capolavoro spirituale di Jean Pierre de Caussade), COMBATTIMENTO SPIRITUALE DAVANTI A UNA CUCINA IKEA (2011, Premio I Teatri Del Sacro), MAESTRO ECKHART (2013, dai sermoni tedeschi del grande filosofo e mistico medievale). Nel 1998 si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria al Premio Riccione Ttv per SKANKRER O LA FAMIGLIA DELL’ARTISTA, felice trasposizione video dello spettacolo succitato, realizzata con Anna de Manincor; mentre, nel 2002, ha vinto il Premio Gherardi per il suo TEATRO IN VERSI (“La Riga”, “Rivedere le Stelle”, “Poema delle moltitudini”). Dal 2003 dirige a Udine la “Scuola Popolare di Teatro” e il progetto tematico legato al disagio mentale ARTE/SOCIETÀ/FOLLIA. Sui siti web “alessandroberti.blogspot.com” e “casavuota.blogspot.it”, si trovano informazioni, testi e immagini sulla sua attività.
A cura di Damiano Pignedoli