Il dramma del mese
Brennero Crash di Alessandro Berti
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Il testo di BRENNERO CRASH sono parole che ho messo in bocca ai personaggi di un plot ideato da Michela Lucenti per una coproduzione Balletto Civile / Neuköllner Oper / Teatro Due. Il partner berlinese, un teatro d’opera, ancorché comique o comunque aperto al contemporaneo, ci ha spinti verso un pastiche linguistico sulla scia di quelli che io e Michela facevamo da giovani ai tempi dell’Impasto - Comunità Teatrale Nomade, di cui siamo stati fautori dal 1995 per quasi un decennio.
Il testo, come si vedrà, è scritto in italiano – principalmente – con inserti dialettali del nord Italia e in lingua tedesca. Il mio tentativo, come scrittore, è stato quello di tutelare un elemento di poesia delle parole all’interno di una dialettica, talvolta piuttosto complicata, tra dramaturg del teatro committente e regista della compagnia commissionaria.
Lo sforzo è stato divertente, spesso addirittura appassionante e, rileggendo il lavoro, ha dato vita a un risultato strano e perciò forse di qualche interesse. Ricorda, secondo me, quelle opere cifrate che si scrivevano sotto dittatura. Ovviamente il testo è davvero soltanto uno degli elementi di un’opera anche molto fisica e musicale, perciò – come spiego nella presentazione dei caratteri – vi ho messo un poco mano per renderlo leggibile da solo.
Di che si tratta? Di un lavoro che parla, balbetta, grida, dell’inesausta ricerca di significato che ognuna e ognuno di noi intraprende per vivere in maniera sensata la propria esistenza terrena: consapevoli che qualsiasi senso o non-senso si voglia dare al mistero assoluto che è essere al mondo, questo rivestimento (o nocciolo) misterioso delle cose c’è e determina completamente il corso degli eventi. I quali, sono condizionati a loro volta dall’ambiente generale, storico, in cui hanno luogo e, in questo caso, da un momento piuttosto deprimente in cui l’ordine sociale ed economico ci schiaccia sempre di più in un calcolato grigiore. Al quale sfuggiamo proprio abbandonandoci alla gioia che dà lo scavo interiore, nelle relazioni: una sorta di nozze coi fichi secchi di ognuna e ognuno con se stessa e se stesso e poi insieme, nel tentativo di dare vita a una comunità allegramente impoverita materialmente ma mai moralmente, spiritualmente, poeticamente, che è quanto di più ardito e difficile il Presente ci chiede.
Io mi occupo delle retrovie, sono ormai poco adatto alle prime linee e mi appassiona il funzionamento del dispositivo umano in condizioni particolari, cioè di invenzione ordinaria del quotidiano, sempre necessaria, e di rinnovamento in tempo reale delle vite di ognuna e ognuno di noi. Da cui il mio essere cristiano, ancorché critico, mistico, perciò sempre da diffidare, come è giusto, da una parte e dall’altra, cioè cattolica e laicista. In mezzo si sta belli caldi e belli in pace. “Sii sconosciuto dove vivi e vivrai bene”, diceva un padre del deserto. A questo motto mi attengo da sempre.
Alessandro Berti (nella foto di Fabio Perroni) è nato a Reggio Emilia all’inizio degli anni ’70, in una casa di cura dove esercitava un medico amico di famiglia. Essendo nato prematuro tuttavia, si rese necessario un suo trasferimento al grande ospedale pubblico cittadino, dotato di incubatrici. Tutto ciò segnerà la sua vita, sempre in bilico tra elemento privato e pubblico, familiare e politico, spirituale e sociale.
Appassionato di traslochi, cambia città ogni tre anni circa e invariabilmente, alterna momenti di vita urbana a mesi di isolamento alpestre. Pur parlando perfettamente quasi tutte le lingue europee (lo studio approfondito delle lingue fu ciò che da adolescente dovette intraprendere perché la famiglia tollerasse la sua passione teatrale), Berti si annoia mortalmente a nord delle Alpi, specialmente invecchiando.
Ha un figlio di cinque anni che pochi giorni fa gli ha dato una testata a una costola, incrinandogliela. Da qui in poi, a quanto pare, saprà dunque prevedere con qualche certezza i cambi di stagione.
Per il resto e per concludere, la sua ricerca negli ultimi anni riguarda la trascrizione in forma poetica della battaglia tra vita vissuta e vita raccontata, tra esperienza e testimonianza posteriore. Da cui, il suo interesse per la vita e la scrittura dei cosiddetti mistici. Pratica un cristianesimo essenziale e una vita semplice, che presentemente si volge perlopiù nel centro storico della città di Bologna, dove vive.
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BRENNERO CRASH è andato in scena per la prima volta assoluta il 16 agosto 2013 alla Neuköllner Oper di Berlino (www.neukoellneroper.de), teatro coproduttore assieme alla Fondazione Teatro Due di Parma (www.teatrodue.org) e al Balletto Civile di Michela Lucenti (www.ballettocivile.org), regista e coreografa dello spettacolo stesso. Una creazione che, dal 17 al 26 ottobre 2013, è stata rappresentata nello Spazio Bignardi del medesimo Teatro Due, ponendosi come uno degli eventi di punta del Teatro Festival Parma dell’annata appena trascorsa.
“Fa da cornice alle vicende un autogrill, tempio laico dell’umanità viandante, sperduto non-luogo che raccoglierà i nostri ammaccati viaggiatori, e night club all’occorrenza per performance burlesche. Punto focale dello spettacolo, il crash automobilistico diventa metafora di un incontro-scontro tra destini, dell’imprevedibilità di un evento che ferisce e nello stesso tempo ricompone storie. L’atto prettamente invalidante come quello di un incidente stradale diviene paradossalmente la principale causa di una narrazione fisica. Mentre la scena rimanda ad ambientazioni metafisiche e rarefatte, entrano in gioco scalcinate vite danzanti e cangianti, rivolte a una poetica grottesca, disperata a tratti, ma che non rinunciano a rivendicare una loro identità, per quanto visionaria e farsesca, curandosi le ferite e inscenando un cabaret di sconfitti, ma sopravvissuti. Al ciglio di una strada esseri incidentati si ritrovano così a condividere l’interruzione di un tragitto e la ricerca di una nuova meta, tra ritmi polifonici, idiomi forestieri e danze incagliate negli spazi freddi di una carreggiata, di un bagno di servizio o sul dorso di uno zerbino, che è anche la schiena di un individuo, figura narrante della vicenda”.
(Andrea Alfieri, da “Krapp’s Last Post - www.klpteatro.it”, 6 novembre 2013)
Aggiungendo che Alessandro Berti si è formato alla Scuola del Teatro Stabile di Genova divenendo subito dopo uno dei degli artisti più stimolanti, interessanti e autenticamente originali della new wave teatrale sorta durante gli anni ’90, bisogna qui menzionare alcune sue creazioni di cui è stato autore e interprete col suo gruppo de L’Impasto, venendo altresì prodotto da teatri quali il glorioso Crt di Milano diretto da Sisto Dalla Palma, il CSS - Centro Servizi e Spettacoli di Udine e da festival come le Orestiadi di Gibellina e quello di Santarcangelo. Pertanto, si ricordino almeno gli spettacoli SKANKRER (1996), TERRA DI BURRO (1997), TRIONFO ANONIMO (2000), IL QUARTIERE (2002); più di recente, CONFINE (2006), EROI (2007, dalle poesie di Claudio Damiani), CREATURA (2008, ancora con Michela Lucenti e Balletto Civile, per la Biennale Danza di Venezia), PIETRA, PIANTA (2009) e – con Casavuota, il suo nuovo progetto teatrale – L’ABBANDONO ALLA DIVINA PROVVIDENZA (2010, dal capolavoro spirituale di Jean Pierre de Caussade), COMBATTIMENTO SPIRITUALE DAVANTI A UNA CUCINA IKEA (2011, Premio I Teatri Del Sacro), MAESTRO ECKHART (2013, dai sermoni tedeschi del grande filosofo e mistico medievale). Nel 1998 si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria al Premio Riccione Ttv per SKANKRER O LA FAMIGLIA DELL’ARTISTA, felice trasposizione video dello spettacolo succitato, realizzata con Anna de Manincor; mentre, nel 2002, ha vinto il Premio Gherardi per il suo TEATRO IN VERSI (“La Riga”, “Rivedere le Stelle”, “Poema delle moltitudini”). Dal 2003 dirige a Udine la “Scuola Popolare di Teatro” e il progetto tematico legato al disagio mentale ARTE/SOCIETÀ/FOLLIA. Sui siti web “alessandroberti.blogspot.com” e “casavuota.blogspot.it”, si trovano informazioni, testi e immagini sulla sua attività.
A cura di Damiano Pignedoli
Sweet home Europa di Davide Carnevali
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Dopo le divisioni del secolo XX, nel vecchio continente il grande progetto politico del secolo XXI è quello di costruire la Grande Casa Europea. In un discorso davanti al Consiglio d’Europa, il 5 ottobre 1998, Michail Gorbaciov auspicava “un ampio spazio di cooperazione in cui tutti si sentiranno a proprio agio, come se si trovassero nella propria casa”. L’immagine della casa è ripresa anche da Benedetto XVI in un discorso davanti al rappresentante della Commissione delle Comunità Europee presso la Santa Sede, del 19 ottobre 2009, in cui parlava di un territorio che è “più di un continente, una ‘casa spirituale’”, rivendicando le radici cristiane dell’Europa.
SWEET HOME EUROPA è un testo sul problema dell’integrazione. Sulla possibilità e la capacità di accettare l’estraneo, lo straniero, l’altro.
Un Uomo, una Donna e un Altro uomo sono i protagonisti di differenti storie particolari e allo stesso tempo di una stessa storia collettiva – quella di una famiglia, di un popolo, dell’umanità intera – che, nel continuo incontro e scontro tra civiltà, sembra ripetersi in eterno.
Sull’Altro uomo ricade il peso delle generazioni precedenti e di quelle successive, il peso di una tradizione secondo la quale chi non può vivere nella propria terra ne cerca un’altra in cui fondare una casa e una famiglia, per un nuovo posto in una nuova società.
L’Uomo che nella propria comunità occupa invece una posizione di potere – politico, economico, culturale – farà di tutto per mantenere il privilegio di cui gode ed esercitarlo a suo vantaggio, a discapito del debole.
La Donna, dal canto suo, cercherà sempre il suo ruolo in una società occidentale che, mentre critica quella orientale, tarda ancora a riconoscere la reale parità tra i sessi.
A quasi vent’anni dalla nascita della UE, la Grande Casa Europea è un “cantiere ancora aperto”, come lo definiva Gorbaciov. Ma in che direzione stanno andando i lavori? Stiamo costruendo uno spazio privilegiato per la garanzia dei diritti umani, o stiamo solo recintando una proprietà privata per vietarne l’accesso a chi non è desiderato? Questa Casa sarà una casa accogliente? A chi sarà davvero disposta ad aprire le sue porte?
Davide Carnevali
Presentato inizialmente al Festival Internazionale di Letteratura di Berlino e finalista al Premio Riccione per il Teatro 2011, SWEET HOME EUROPA è andato in scena per la prima volta assoluta l’11 maggio 2012 al Schauspielhaus Bochum, che lo ha prodotto con la regia di Jana Miletić. Il 15 gennaio dello stesso anno, la Deustchlandradio Kultur ne ha prodotto e trasmesso una versione in forma di radiodramma diretta da Giuseppe Di Maio. Mentre nel 2013 sono da ricordare la lettura scenica avvenuta in giugno al Théâtre du Vieux-Colombier di Parigi per la Comédie Française (regia di Fréderique Plain), e quella secondo Fabrizio Arcuri realizzata al Piccolo Teatro di Milano durante il festival di settembre Tramedautore: primo passo verso la produzione di uno spettacolo dell’Accademia degli Artefatti prevista per il 2014. Debutta, infine, in questi giorni in Argentina (precisamente il 6 novembre) all’ELKAFKA espacio teatral, un teatro molto conosciuto della scena off di Buenos Aires, la messinscena del regista Horacio Banega che ha tradotto il testo insieme all’autore.
Davide Carnevali (nella foto di Pino Montisci) è nato a Milano nel 1981. Vive e lavora tra Berlino e Barcellona, dov’è dottorando in Teoria del Teatro presso la Universitat Autònoma e l’Institut del Teatre, con un periodo di studi alla Freie Universität Berlin. La sua ricerca si concentra sull’analisi di strutture drammatiche che si oppongono ai principi aristotelici di coerenza, linearità cronologica e relazione causa-effetto, nell’ambito della drammaturgia europea contemporanea. Sviluppa, inoltre, l’attività di docente impartendo seminari di scrittura drammatica e teoria del teatro; nel 2012 è stato Guest Professor presso l’Instituto Universitario Nacional de las Artes di Buenos Aires. Dal 2013 è parte del Comitato di Drammaturgia del Teatre Nacional de Catalunya; inoltre è membro del consiglio di redazione della rivista catalana “Pausa” e scrive per diverse riviste italiane e latinoamericane, occupandosi di teatro tedesco, catalano, spagnolo e argentino. È traduttore dal catalano e dal castigliano all’italiano.
Come autore, si forma con Laura Curino in Italia e con Carles Batlle alla Sala Beckett di Barcellona; amplia poi i suoi studi in Spagna e Germania con Martin Crimp, Biljana Srbljanović, José Sanchis Sinisterra, Hans-Thies Lehmann, John von Düffel, Simon Stephens, Martin Heckmanns. Con la pièce VARIAZIONI SUL MODELLO DI KRAEPELIN si è aggiudicato nel 2009 il premio Theatertext als Hörspiel al Theatertreffen di Berlino ed il Premio Marisa Fabbri al Premio Riccione per il Teatro, mentre nel 2012 ha vinto il Premio de les Journées de Lyon des auteurs. Sempre nel 2009, il suo testo breve CALCIOBALILLA ha ottenuto il Premio Sassetti Cultura Teatro. COME FU CHE IN ITALIA SCOPPIÒ LA RIVOLUZIONE MA NESSUNO SE NE ACCORSE ha ricevuto invece il Premio Scintille del Festival Asti Teatro 2010 e il Premio Borrello alla nuova drammaturgia 2011.
Forte anche dei nuovi riscontri e successi ottenuti con la prima parte del dittico sull’Europa, ossia SWEET HOME EUROPA, nel 2013 è stato incluso tra i 35 autori più rappresentativi della storia dello Stückemarkt del Theatertreffen che – per l'occasione – ha incaricato e sovvenzionato la scrittura della seconda parte del dittico: ovvero, PRELUDE TO AN END OF A WORLD. Le sue opere sono state presentate in diverse rassegne internazionali e sono tradotte in catalano, estone, fiammingo, francese, inglese, spagnolo e tedesco.
Il 3 novembre 2013 è stato proclamato vincitore della 52a edizione del Premio Riccione per il Teatro per la sua drammaturgia RITRATTO DI DONNA ARABA CHE GUARDA IL MARE.
A cura di Damiano Pignedoli
Non voltarti indietro di Chiara Boscaro
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Orfeo ed Euridice, Lui e Lei, sono una coppia, sono giovani, hanno tutto il tempo del mondo.
A Lei, tuttavia, succede qualcosa di traumatico, tremendo – “una cosa terribile della nostra società, una piaga del mondo” – e si rinchiude in se stessa e nella propria casa: un personale oltretomba. Da tale inferno Lui viene escluso, anzi, cacciato. “La storia è finita”, gli viene detto, e che si cerchi un altro passatempo. Ma Lui non la lascerà scivolare via. Con l’arroganza di quello che chiama Amore si presenta davanti a una porta chiusa, a reclamare la sua donna, la sua amata. Non ha altre parole per dirlo, se non quelle dei film, non ha parole per definire nulla di quello che sta per scoprire. Il male. La porta è chiusa. Lui minaccia, prega, blandisce. Ci va da vivo, da ignaro, non sa che dovrà mettere in gioco molto, e pure perdere qualcosa, per riavere indietro la sua Euridice. Non sa che dovrà aspettare, non sa che dovrà affrontare una verità orrenda, prima di poterla convincere a tornare alla luce.
Con questo lavoro cerco di parlare della difficoltà linguistica della mia generazione di fronte al dolore. NOI le guerre le seguiamo su internet. NOI il collo a una gallina non lo abbiamo mai tirato. NOI i bambini che muoiono di fame li conosciamo solo come monito prima del ben peggiore “A letto senza cartoni”. NOI sfuggiamo alle definizioni, troppo banali per un inquadramento e troppo fluidi per l’identificazione.
Una cosa è chiara, viviamo nel terrore del dolore. Se non ne parliamo, non esiste. Ma poi, quando c’è davvero, non abbiamo più parole per parlarne.
Chiara Boscaro
Testo finalista al Premio Hystrio 2011 Scritture di Scena_35, NON VOLTARTI INDIETRO è andato in scena per la prima volta assoluta il 23 giugno 2013 al Giardino delle Esperidi Festival per la regia di Marco Di Stefano e le interpretazioni di Valeria Sara Costantin e Diego Runko. Un progetto della compagnia La Confraternita del Chianti, per la produzione di Teatro In-folio, selezionato e sostenuto da ScarlattineTeatro - Campsirago Residenza Progetto Cantiere Campsirago.
Info: www.laconfraternitadelchianti.eu, www.teatroinfolio.it e www.scarlattineteatro.it.
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Chiara Boscaro (in alto nella foto di Mara Boscaro) nasce a Milano nel 1985. Si laurea in Scienze Umanistiche per la Comunicazione presso l’Università degli Studi di Milano e in Scrittura Drammaturgica presso la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi. Partecipa a progetti di scambio con artisti europei (“Short Latitudes” - British Council; “Free our mind” - NGO Forum Theatre, Estonia) e italiani (Laboratorio di drammaturgia “Menzogna” condotto da Antonio Latella). Lavora come drammaturga con Roberto Rustioni (ATTI UNICI DA ANTON ČECHOV) e Francesco Saponaro (OCCHI GETTATI). Ultimi suoi testi messi in scena sono THE ITALIAN FACTORY (produzione di Teatro In-folio, 2012. Premio degli Allievi Ed. 2011 Giovani Realtà del Teatro), UN GIORNO TORNERANNO (L’Accademia dei Lunanzi, 2013), SANTA LA TERRA (Impresa Teatrale Fratelli Meucci, 2011. Premio Goldoni Opera Prima 2010, Premio Lodi di Pace 2011), 150 OVVERO ITALIAN DARK CABARET OVVERO LA MACABRA STORIA DELL’ITALICA PENISOLA DALL’UNITÀ AL FEDERALISMO FISCALE (La Confraternita del Chianti, 2010. Menzione speciale a Scintille 010, finalista ad Avamposti d’Autore 2010). Nel 2010 ha fondato con Marco Di Stefano La Confraternita del Chianti, gruppo che si occupa di nuova drammaturgia (¡VIVA LA REVOLUCIÓN!, menzione al concorso Una commedia in cerca di autori 2012), teatrodanza (LE SACRE DU PRINTEMPS, a Suburbia in Fabula 2012), radiofonia (MICAP, vincitore Crediti d’Autore 2012) e progetti di integrazione sociale per adolescenti e pre-adolescenti.
A cura di Damiano Pignedoli
Non la smettevano mai di cantare di Antonio Ianniello
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Dalle note di poetica dell’autore: Figlio si appresta ad abbandonare la casa di Padre e Madre, i suoi genitori.
La vicenda si snoda lungo una spirale drammatica che si avvolge verso il fondo, dove emergono rapporti vampireschi, dipendenze affettive, vincoli e sbarre.
Al centro, la storia di un processo di liberazione ed emancipazione dell’uomo che – a un tratto – si riconosce come Essere mutilato, incastrato nella cesura tra Dio e il Mondo.
Spirali e ripetizioni, nell’incedere di una sotterranea esasperazione tramata di allusivi non detti, costituiscono così arcipelaghi di senso che impongono al lettore (potenziale spettatore) di individuarne punti e coordinate da potere connettere, agendo attivamente per tracciare una mappa rappresentativa del Mondo stesso e delle sue geografie vitali: giacché questo, un senso, non lo ha se non glielo si dà e s’imprime con forza.
Attraverso la ciclicità e il disseminare indizi, il compito del drammaturgo è quello di creare territori e tragitti dove chi intende seguirlo trova ristoro per un poco, prima di essere precipitato nel buio su slavine e terreni sdrucciolevoli, al fine di faticare alla conquista degli spersi significati.
Il Teatro deve correre il rischio di porsi altresì in una posizione di semioscurità. Stando sul limite della sparizione per qualche istante – oscillando nel buio – ha il dovere di restituire non una visione sensata e completa della realtà, ma piuttosto quella di una frammentarietà: con la consapevolezza che l’essere umano ha il compito etico di raccoglierne e unirne i pezzi per ricomporre un itinerario che conduce a un abbaglio, a un istante di luminosa comprensione per poi essere ripiombato nell’oscura notte.
Il Teatro deve dunque restituire la frantumazione del Mondo, però proprio per tentare di non cadere nella trappola della resa vana alla sua mancanza di senso, il quale non si può fare a meno di cercare. Alla stessa stregua, cioè, del messaggio dell’Imperatore che non giungerà mai e tuttavia si rimane alla finestra ad aspettarlo.
Perdersi in tale frammentazione quindi, tra baratri di mistero e incompletezza, dimodoché la creazione teatrale spinga poi ognuno a conoscere e comprendere, a colmare e risalire, ritracciando autonomamente percorsi e possibilità inespresse.
Nella pratica scenica pertanto, come regista dei miei testi, voglio indurre lo spettatore ad avvertire e a guardare se stesso come soggetto che percepisce, che acquisisce conoscenza ed è artefice della costruzione complessiva di una nuova realtà dinamica, viva e diversamente aperta.
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Antonio Ianniello (Salerno, 1979) si forma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, diplomandosi nel 2003 per poi approfondire e ampliare la propria formazione presso Susan Batson alla Black Nexxus di New York. Nel suo percorso artistico alterna l’attività teatrale a quella televisiva e cinematografica, dove si distingue in alcuni film italiani (IL SIERO DELLA VANITÀ di Alex Infascelli, BALLETTO DI GUERRA di Mario Rellini, IL SOLE NERO di Krzysztof Zanussi) e note serie TV (DISTRETTO DI POLIZIA 3 e 6, IL MARESCIALLO ROCCA 4, IL CAPITANO 1 e 2, GLI ULTIMI DEL PARADISO). Autore di varie drammaturgie, tra queste si ricordano soprattutto: NON LA SMETTEVANO MAI DI CANTARE, pièce finalista al Premio Riccione per il Teatro 2009, da lui messa in scena e interpretata l’anno seguente al festival Quartieri dell’Arte; e SHOSTAKOVICH IL FOLLE SANTO, scritta insieme a Francesco Saponaro che ne ha curato la regia per la produzione di Teatri Uniti nel 2010. Il suo testo DEVI ESSERE FORTE, invece, è andato in scena come finalista al progetto Nuove Sensibilità sempre del 2010; anno in cui accede pure alle finali del Premio Kantor al CRT di Milano e a quelle del Premio Dante Cappelletti al Teatro India di Roma, rispettivamente coi suoi lavori inediti QUESTA TOSSE e ANCORA OGGI (rappresentato due stagioni dopo, per la sua regia e l’interpretazione, tra gli altri di Paolo Graziosi). Oltre a superare l’ammissione e a frequentare il quarto La MaMa International Playwright Retreat condotto da Lynn Nottage, vince diversi riconoscimenti: il Premio Piero Natoli 2005 come Miglior Attore Emergente e, nel 2007, il Premio Napoli Cultura Classic e quello di Migliore Attore Protagonista al San Giò Video Festival di Verona. Nel 2011 fonda la compagnia Teatri Sbagliati (www.teatrisbagliati.com), subito protagonista al Premio Scenario e selezionata per il festival di Santarcangelo; mentre si è appena conclusa l’esperienza di coproduzione internazionale della giovane compagine, che ha visto Ianniello attore e co-autore di THE BOOK OF LIVING & DYING: spettacolo che ha debuttato nel 2012 al Singapore Arts Festival, dove è stato da poco riproposto con successo.
A cura di Damiano Pignedoli