Il dramma del mese
Penelopeide di Patrizia Monaco
- Scritto da Administrator
- Visite: 4103
Penelopeide è stato rappresentato lo scorso anno dalla Compagnia La Perla del Tigullio Teatro diretta da Viola Villa al Teatrino Strehler di Portofino interpretato da Viola Villa, Rachele Ghersi (del Teatro stabile di Genova) e dalla danzatrice Melissa Cosseta. Regia di Fabrizio Lo Presti. Ha vinto il premio Fara Nume e sarà premiato sabato 3 ottobre 2009 a Paullo (MI) come secondo testo classificato nella settima edizione del Premio Letterario Nazionale "Lago Gerundo".
Presentazione
di Elisabetta Nepitelli Alegiani
Avevo da anni il desiderio di un testo teatrale su Penelope, da quando cioè avevo letto il romanzo di Silvana La Spina “Penelope”.
“Chi è Penelope, un mito consacrato alla tradizione? Una donna paziente, fedele, onorata, che attende il marito lontano? O forse…”
E quel forse Silvana La Spina lo coniugava con il racconto di una donna che ribaltava completamente il mito di Ulisse. La sua “versione dei fatti” è un racconto fatto di furore, passione e ferocia: Penelope diventa la voce di tutte le donne violate e umiliate.
Nulla di più facile per me, quindi, che rimanere agganciata all’istante al testo di Patrizia Monaco “Penelopeide”.
Lei si ispira liberamente al libro di Margaret Atwood “Penelopied”, e qui la protagonista è ormai nell’ADE, lontana dai giorni di Itaca, con una visione della propria storia al tempo epica e privata.
La “versione di Penelope” in questo testo è meno rabbiosa, vendicativa. Una donna invece delusa, tradita. Relegata per sempre nella vita al ruolo di “seconda”.
Seconda in bellezza rispetto alla cugina Elena. Seconda nella scelta di Ulisse che le avrebbe preferito la cugina. Seconda nella reggia, dove il vero controllo è esercitato dalla potende Euriclea, fedele nutrice di Ulisse. Seconda, sempre, nelle scelte di Ulisse durante il suo viaggio di ritorno a Itaca.
Eppure le lo ama, Ulisse, e realmente lo attende, fedele, tessendo la sua tela.
Ma non è cieca. E cova rancore, anche. E smonta uno dopo l’altro con rabbiosa razionalità, i prodigiosi racconti che arrivano all’isola sull’iinfinito viaggio di Ulisse, invenzioni di una mente furba abituata ad ottenere ciò che vuole attraverso qualunque inganno.
La ragione contro il mito.
La donna innamorata e tradita che si chiede perché.
Perché tutti quegli anni?
Perché tutte quelle menzogne?
E perché la bellissima Calipso, e la misteriosa Circe?
Ma Penelope ama. E come tutte le donne che amano giustifica il suo uomo.
Unica vendetta, più che altro ripicca, è non gettare subito le braccia al collo del marito, appena arrivato, pur avendolo riconosciuto.
Lo fa aspettare, prolunga il suo dubbio di essere riconosciuto, e forse accettato, fino alla fine.
PENELOPEIDE, l’Odissea di una donna
di Laura Santini
(Da Mentelocale.it)
«Del testo di Margaret Atwood - afferma Patrizia Monaco - mi aveva colpito l'ironia ma, soprattutto, poter vedere una storia conosciuta da un altro punto di vista». Lo stesso coup de foudre ha colpito Lo Presti. «Pensa che non esiste ancora in Italia una traduzione italiana della novella della scrittrice canadese (nel titolo originale The Penelopiad, 2005), che presenta una donna estremamente moderna e soprattutto ci dà un'idea diversa di una storia che conosciamo da sempre, ma che siamo abituati ad ascoltare solo dal punto di vista di Ulisse». Dopo una prima versione più generosa con l'apporto dell'intero gruppo - oltre a Lo Presti e Monaco - anche le attrici Viola Villa e Rachele Ghersi, l'adattamento «si è discostato completamente - spiega Monaco - da alcune componenti dell'originale come la mitologia e le 12 figure delle ancelle», arrivando a una versione piuttosto concisa (un'ora e un quarto di spettacolo) giocata su due personaggi principali Penelope (Viola Villa) e la nutrice di Ulisse Euriclea (Rachele Ghersi). «L'azione si svolge in uno spazio anonimo - prosegue Lo Presti - ed è un racconto a distanza di trecento anni quando entrambi le protagoniste si trovano nell'Ade. La forza emotiva del racconto però è tale che le due narratrici diventino presto protagoniste della loro storia come accadesse oggi». Due racconti in parallelo di due donne che non dialogano ma «lavorano effettivamente su una dinamica di botta e risposta». Fondamentale elemento della regia è l'intervento della danzatrice Melissa Cossetta «vero e proprio motore danzante dello spettacolo - aggiunge Lo Presti - che prende parte come corpo agli eventi, trasformandosi in alcuni dei personaggi (per es. Elena, le ancelle) ma anche dare tridimensionalità a oggetti evocati (la nave, per esempio)».
Monaco, inizialmente, aveva già previsto tre coreografie «a partire dall'elemento mitico su cui opera la Atwood di fuoco, terra, vento e acqua, ma poi Fabrizio, un ottimo regista, ha deciso di usarla come trait d'union data la sua duttilità». E se c'è la danza di certo ci sarà della musica. «È l'elemento presente in ogni mio spettacolo a cui dedico molta attenzione in un equilibrio tra modernità e tradizione, in questo caso per esempio ho prediletto un'atmosfera genericamente mediterranea con sonorità del Salento per recuperare una grecità arcaica ma anche evitare il lato esclusivamente storico, prediligendo sonorità della tradizione popolare. Cossetta interagisce perferttamente con uno studio sulla pizzica e altri balli». E che lingua parlano queste donne dell'antichità? «Sono due i linguaggi adottati per Penelope: uno più spiccatamente moderno, a amomenti anche sguaiato, per parlare al passato dal presente dell'Ade. Quando invece si cala nei suoi antichi panni - 20 anni di attesa e assedio, i proci - il linguaggio si fa più aulico. Euriclea invece parla per frasi fatte, modi di dire comuni, e funge da contrasto comico nei confronti di Penelope, ma anche esprime una saggezza fine a se stessa».
Rec di Pietro Piovani
- Scritto da Administrator
- Visite: 1915
REC è stato messo in scena per la prima volta nel 2006 al teatro Piccolo Jovinelli di Roma, prodotto dalla Compagnia dell'Ambra. Nella parte della protagonista Silvia Siravo, regia di Norma Martelli, musiche di Pasquale Filastò.
Leggi
Presentazione
di Elisabetta Nepitelli Alegiani
"…adesso lui sente il telefono che non squilla, e sa che sono io che non lo sto chiamando…"
Una frase geniale che riassume la cecità e la sordità che prende un essere umano – ma, diciamocelo, specialmente noi donne - quando è innamorato. Ma in questo testo l’amore è forse solo uno spunto. La storia sentimentale come fuga da una realtà incombente e tragica. Pietro Piovani, che non ama che nelle recensioni si racconti troppo della storia che ha scritto, ha voluto rappresentare il senso della rimozione, di fronte ad eventi troppo più grandi di noi. L’amore quindi, vero o immaginario, come fatto affrontabile, per non dover prendere atto di una situazione da “Day After Tomorrow”. La paura di non farcela, di non sopravvivere, viene accantonata e tutta l’attenzione si concentra sulla questione sentimentale. Una ragazza molto impegnata ad ascoltare se stessa, inadatta a vivere la solitudine ed il silenzio parla in modo bulimico con il suo registratore. Il terrore del vuoto è più forte di quello di soccombere. L'allestimento, che ha debuttato nel 2006 è stato ripreso nel 2007 e nel 2008, al Piccolo Jovinelli e in altre piazze italiane ed ha avuto un unanime consenso da parte della critica e del pubblico. Ed è una fortuna che un bravo giovane autore venga accolto in modo così positivo al suo ingresso a teatro, seppur forse aiutato dal nome, forte, che deve sicuramente averlo sostenuto nel trovare una produzione importante che credesse nella possibilità di produrlo e farlo circuitare.
Giulio Cesare è morto di Fabio Sanvitale
- Scritto da Administrator
- Visite: 1647
Giulio Cesare è morto ha debuttato il 28 aprile scorso al Teatro dell'orologio di Roma con la produzione di Florian Teatro Stabile d’Innovazione. Diretto e interpretato dall'autore con la partecipazione in voce di Susanna Costaglione, Domenico Galasso, Umberto Marchesani, Edoardo Oliva, Massimo Vellaccio. Consulenza scientifica di Valerio Massimo Manfredi.
Nota dell'autore
Sono anni che rifletto intorno a Cesare. E alla fine ho asciugato, condensato questa lunga ricerca in un lavoro che mi vede solo sul palcoscenico. Non è tanto il raccontare una storia che conosciamo. È molto di più. È parlare delle nostre vite. La storia c’è tutta, ma ho voluto andare oltre e cercare il senso di quelle esistenze – e delle nostre. Cicerone, Bruto, Cassio, Casca, Cleopatra, Cesare: ad ognuno do voce e pensieri. Le parole, i drammi, la vita quotidiana e i desideri dei protagonisti di quei mesi a cavallo tra il 45 e il 44 a.c. li ho raccolti in ottanta minuti. Una ricostruzione delle loro vite, certo. Alla quale ho aggiunto l’indagine svolta dal Colonnello Luciano Garofano del Ris di Parma sull’attendibilità della tesi storica che vuole che Cesare, quel giorno, sia andato volontariamente incontro alla morte. Due ricostruzioni, insomma: una della vita, una della morte. Entrambe appassionanti, entrambe verosimili. Cosa sia davvero successo quel giorno, chi siano davvero stati i protagonisti di quella storia, non lo sapremo mai. È passato troppo tempo. Ma trovo straordinario avere la possibilità di approfondire i libri di storia, per dire quello che i manuali non possono dire. Cercare nella mente e nelle emozioni di Cesare, nei suoi ultimi sette mesi. Gli ultimi mesi di un Dio. E scoprire un uomo che, per la prima volta nella sua vita, proprio mentre è finalmente padrone del mondo, inizia a farsi le domande che non si è mai posto. Cos’è l’amore? Gli dei esistono? Dove vanno gli uomini? Che senso ha la libertà? Qual è il senso profondo della responsabilità? Perché il Re del Mondo fa tutte queste domande ad un uomo che vive da anni isolato da tutti, a Capri: e che non gli risponde mai? Intorno a lui, Bruto, Cassio, iniziano a pianificare quello che accadrà alle Idi di Marzo. E poi le parole del suo medico, Sostene, di Cicerone, di Cleopatra. Cesare ha davvero cercato la morte, quella mattina di 2052 anni fa? Che motivo aveva? Quanto erano importanti onore e dignità per lui? Qual è il mistero della vita e della morte di quest’uomo? Siamo così diversi dagli uomini e dalle donne di quella mattina di marzo a Roma? Perché le domande sono ancora le stesse? Possiamo davvero conoscere chi ci è accanto o davvero vince l’impossibilità della conoscenza? Cercare nella mente e nell’anima di Cesare, in gioco di vero e di falso, in un mondo così vero e così falso, nell’anno 2009 d.c.
Presentazione
di Elisabetta Nepitelli Alegiani
Sembra che nessuno dei capi della congiura che portò all’uccisione di Caio Giulio Cesare alle Idi di Marzo gli sopravvisse per più di tre anni.
E se Giulio Cesare non fosse stato ucciso forse, riuscendo a portare a termine il suo proposito di sedare le popolazioni del Nord e soggiogare i Germani, avrebbe cambiato totalmente il corso della storia. Come si può non rimanere affascinati, sedotti, dal racconto di una delle fasi della nostra storia antica più indagata, descritta, rappresentata. Forse ad agganciarmi a questo testo è stato anche il “mood” creato dalla rilettura, proprio in quei giorni” di “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar. Ma vero è che Fabio Sanvitale affronta la morte di Cesare con la curiosità di un giallista, che indaga minuziosamente sui fatti. Da quelli documentati dalle cronache, alla “temperatura” politica di quegli ultimi mesi di vita dell’Imperatore, ai percorsi psicologici dei protagonisti principali della vicenda: lui, il dittatore; Cicerone, che mal sopporta l’impulsività e l’immediatezza del suo carattere, la divina Cleopatra, fanciulla appassionata e regina divina che gli fa vivere momenti di autentica passione; e poi Cassio, Ligario, Marc’Antonio, Bruto. E percorre una pista spiazzante: se fosse stato lo stesso Giulio Cesare, consapevole della congiura, a decidere di mettere fine alla sua vita, marchiata dalla “Malattia Sacra”? Se il dittatore avesse preferito finire così tragicamente la sua esistenza, pur di non essere trascinato nella decadenza fisica e mentale causata dai suoi attacchi di epilessia? Attraverso questo testo uno squarcio di storia ci arriva come contemporaneità. Quando un uomo di potere finisce col credersi un Dio? Fino a dove arriva la capacità di creare il destino di una nazione, o quanto invece sono il fato e la casualità a “determinare le cose del mondo”? Dubbi di un imperatore, ma anche di un uomo, che si pone gli stessi interrogativi di qualsiasi altro uomo. Nostro contemporaneo.
Confessioni di un broker di Elisabetta Fiorito
- Scritto da Administrator
- Visite: 6715
Confessioni di un broker ha debuttato il 4 marzo scorso al Teatro 7 di Roma interpretato da Stefano Pesce. Una versione breve del monologo è andata in onda su "Niente di personale", la trasmissione de La 7 condotta da Antonello Piroso.
Presentazione
di Elisabetta Nepitelli Alegiani
Elisabetta Fiorito, nata a Roma nel 1964 è laureata in Lingue e Letteratura Inglese e Tedesca e diplomata in Giornalismo alla Luiss di Roma. Dopo un praticantato in Canada ed esperienze radiofoniche presso la CNR, Channel News Radio, e Radio Capital, da dieci anni è giornalista parlamentare per Radio 24 – Il Sole 24 Ore. Conduce inoltre un suo programma settimanale “La Quota Rosa”, dedicato alle donne nel difficile cammino per le pari opportunità. “Confessioni di un Broker” è nato dalla sua passione per il teatro, e dall’incontro con l’attore Stefano Pesce, con il quale ha fissato riflessioni comuni sui paradossi economici e finanziari, culminati con il crollo della Borsa a causa dei Derivati Finanziari – i Muti Subprime. Insieme hanno cercato di individuare le origini del crack finanziario ed economico. Hanno poi affiancato la crisi economica mondiale con la crisi della vita privata di un broker senza scrupoli. Tutto questo per denunciare come l'avidità e l'assenza di etica nel mondo finanziario hanno causato il dissesto economico che stiamo vivendo in questi mesi. Il monologo affronta quindi le deviazioni del capitalismo, l'impossibilità di tornare ad un’utopia comunista, nella speranza di giungere ad un futuro con un sistema economico dal volto più umano. Elisabetta Fiorito è sicuramente aiutata nella scrittura dalla lunga esperienza maturata su questi temi dalla sua professione di giornalista, ma riesce a trovare una giusta misura e una verve ironica non indifferente nell’affrontare un tema che rischierebbe altrimenti di risultare non immediatamente comprensibile e certamente non coinvolgente per uno spettatore non preparato in materia economica. Una versione breve del monologo è andata in onda su "Niente di personale", la trasmissione della 7 condotta da Antonello Piroso. E' disponibile su You Tube cliccando su "Confessioni di un broker".
Stefano Pesce
Diplomatosi nel 1996 presso la Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi, nel 1998 ha conseguito la specializzazione seguendo un corso con Luca Ronconi. È noto soprattutto per aver recitato nella serie tv R.I.S. - Delitti Imperfetti, in cui interpreta il ruolo di Davide Testi. Precedentemente ha preso parte a numerose altre produzioni teatrali, cinematografiche e televisive, tra cui le serie tv Incantesimo 4, Distretto di Polizia 4 e Cuore contro cuore, i film Ma che colpa abbiamo noi, Amore a prima vista, Da zero a dieci, e vari cortometraggi. Tra il 2007 e il 2008 ha partecipato alle fiction televisive: Tutti i rumori del mondo, Il commissario De Luca e Amiche mie.