I libri del mese
Per la segnalazione in questa rubrica inviare esclusivamente libri di teatro o drammaturgia a
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Autori in scena di Tiberia De Matteis
- Scritto da Marcello Isidori
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Autori in scena
Sei drammaturgie italiane contemporanee
di Tiberia De Matteis
La fenice dei teatri
Bulzoni Editore
pp. 215 €
Percorrendo la ricognizione critica elaborata da Tiberia De Matteis attraverso la scrittura scenica di Roberto Cavosi, Edoardo Erba, Ugo Chiti, Giuseppe Manfridi, Ruggero Cappuccio e Spiro Scimone non si può fare a meno di pensare, ad intervalli regolari, al coraggio messo in campo dall’autrice. Perché, se il risultato visibile di questa impresa sembra una ricerca interessante e necessaria, condotta con attenzione scrupolosa e talento agile e partecipato, un breve spazio di riflessione induce ad altre considerazioni. E’ sufficiente soffermarsi sull’elenco sterminato degli inediti rintracciati e presi in esame per comprendere con quanta cura sia stata affrontata questa indagine, che si propone invece, formalmente, con grande discrezione. O, anche, si può scegliere di sintonizzarsi sull’ agilità del discorso praticato da una scrittura all’altra, da una ricorrenza tematica all’altra, per leggervi la felice competenza sedimentata e l’empatia e la solidarietà con gli autori presi in esame, “tutti rappresentati, premiati e pubblicati regolarmente, nonostante le enormi difficoltà che ostacolano l’emancipazione dall’anonimato degli artisti impegnati nelle attività teatrali”. Dunque un libro pubblicato da Bulzoni non a caso all’interno della collana “ La fenice dei teatri”, nata per stabilire un ponte fra luoghi significativi e sintonici di elaborazione della cultura teatrale; libro che individua e descrive il percorso creativo di sei drammaturghi contemporanei, di differenti provenienze geografiche e culturali, con logica pertinente alle premesse della collana editoriale e alla necessità storica di un approccio panoramico. In virtù dell’impianto attribuito dalla De Matteis alla sua ricerca, viene fatto di considerare subito come ci si trovi in presenza di un curioso fenomeno, non raro nella storia della cultura, per cui a un felice periodo di ripresa e di sviluppo economico e sociale, corrisponde una fortunata fioritura di talenti. Possiamo notare immediatamente che tre degli autori nascono negli anni ’50 (Cavosi, Erba e Manfridi), e due nel ’64 (Cappuccio e Scimone), configurando la loro appartenenza epocale ai cosiddetti “favolosi anni 50-60”, un decennio largamente considerato “periodo chiave” per la crescita del nostro Paese. Il solo Chiti si colloca nell’immediato dopoguerra della campagna toscana e sembra intraprendere un cammino assai diverso, che parte dal teatro classico e poi borghese, per rovesciarsi in un percorso di recupero e ricerca delle radici, tutto addentrato, con intelligenti contaminazioni classiche o moderne, nella tradizione orale chiantigiana. Nell’articolare la sua ricerca intorno alle caratteristiche di fondo individuate nei drammaturghi prescelti, (Roberto Cavosi e il destino dei diversi; Edoardo Erba e le sorprese dell’immaginario; Ugo Chiti e i paesaggi della memoria;Giuseppe Manfridi e le anime parlanti; Ruggero Cappuccio e le partiture sonore della nostalgia; Spiro Scimone e i rituali del disagio), Tiberia De Matteis non trascura di esplorare la particolare posizione assunta da ognuno di loro, nei confronti della lingua teatrale adottata, considerando la mancanza di unicità dell’italiano medio parlato. Del resto gli autori in questione costituiscono un campione che percorre in lunghezza il territorio nazionale, (Cavosi è di Merano, Erba di Pavia, di Tavarnelle Val di Pesa Chiti, romano Manfridi, napoletano Cappuccio, di Messina Sciamone) restituendone i locali cromatismi di innesto linguistico, insieme ai punti di vista, volta a volta, metropolitano ( cittadino e di quartiere), provinciale (di centro e di confine), oppure agricolo. Con felice disposizione psicologca , la studiosa restituisce in pochi tratti le diverse personalità degli scrittori in argomento, che si riconoscono, taluni, dapprima una natura attoriale di forte spessore (Cavosi, Chiti, Scimone), per approdare solo in seguito alla soddisfazione liberatoria dell’ espressione drammaturgica; oppure che nascono immediatamente visionari e ispirati alla ricerca del significato profondo della vita, incanalando queste pulsioni nell’elaborazione di un linguaggio che può essere rassicurante e spiazzante insieme (Erba), lirico e antintellettualistico (Cappuccio), progressivamente rivelatore del nucleo profondo dell’identità del personaggio (Manfridi). Ragioni di spazio non consentono di ripercorrere in questa sede l’evoluzione del percorso creativo dei singoli drammaturghi, sulle orme dell’analisi dell’autrice, poiché la larghezza dell’esposizione si ridurrebbe qui ad una congerie di dati. Nel rimandare alla lettura di quelle pagine, ci sembra significativo riportare invece una considerazione che Tiberia De Matteis dedica all’opera dei drammaturghi, dimostrando il talento e la sensibilità con i quali sa mirare dritta al cuore del teatro : “ Assumersi la paternità di un’opera, significa nascere una seconda volta, aggiungendo alla propria identità storica e umana un ulteriore mondo fantastico in cui confrontarsi con il diverso e con l’altrove. Le responsabilità aumentano nel caso degli autori teatrali che non si limitano a realizzare una proposta letteraria, ma aspirano a vederla incarnata sulla scena in una forma autonoma e complessa, dotata di una sua incontrollabile vitalità”.
Daniela Pandolfi
Il dramaturg a cura di Teatro aperto
- Scritto da Marcello Isidori
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Il dramaturg
a cura di Teatro aperto
Il principe costante Editore
pp. 144 € 10,00
Chi è il dramaturg? Che cosa significa «dramaturg»? La traduzione italiana «drammaturgo» non restituisce la complessità del termine tedesco. Questa semplice parola racchiude in sé funzioni, ruoli, capacità e saperi artistici, culturali e organizzativi spesso ignorati o misconosciuti, ma che alimentano da secoli la creazione teatrale. Nominare è già un primo passo per riconoscere. Walkie-Talkie nasce per iniziativa di Teatro Aperto come convegno dedicato all’indagine del rapporto fra testo e scena, e si sviluppa come quaderno che ne raccoglie i materiali. Il primo di questi appuntamenti, ospitato alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano nel novembre del 2003, ha avuto lo scopo di delineare una figura professionale, a partire dal dato della sua clandestinità nella scena italiana. Gli atti qui presentati non si limitano a ripetere teorie o concezioni estetiche. Essi cercano di restituire la dialettica emersa nel corso del convegno, di presentare una pluralità di voci impegnate a individuare il possibile «dramaturg italiano», invitando a tentare vie ancora inesplorate. Tra gli altri sono intervenuti: Ferdinando Bruni, Jens Hillje, Claudio Meldolesi, Roberto Menin, Renata Molinari, Enzo Moscato, Massimo Navone, Oliviero Ponte di Pino, Antonio Tarantino. Questa prima pubblicazione con Il principe costante Edizioni inaugura la collana «i quaderni di i», dove troveranno spazio gli esiti degli appuntamenti teorici ideati da Teatro Aperto.
Wordstar(s) di Vitaliano Trevisan
- Scritto da Marcello Isidori
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Wordstar(s)
Vitaliano Trevisan
Sironi Editore
pp. 160 € 10,50
I tre drammi raccolti in questo volume hanno per titolo: “scandisk”. “defrag”, “wordstar(s)”. Parole familiari a chiunque adoperi un personal computer. Scandisk è lo strumento che verifica l’integrità del disco fisso (la sede della memoria del pc). Defrag è ciò che riorganizza e riscrive i dati conservati nel disco fisso, WordStar è un glorioso programma di videoscrittura, il più diffuso fino all’avvento di Microsoft Word. In “scandisk” gli operai di un magazzino di prodotti metallici, mentre spostano e riordinano pile di bancali, progettano un “colpo’ che dovrebbe permettere loro di cambiare radicalmente vita, eliminare gli errori, fare tabula rasa. In “defrag” tre voci sole, in una lenta e dolorosa scansione delle relazioni tra madre e figlie, parlano della vita di ciascuna di loro, dei loro rapporti fallimentari con gli ex mariti e amanti. All’ultima giornata di vita di Samuel Beckett è dedicata la terza pièce della trilogia: “wordstar(s)”. Il grande scrittore irlandese è rappresentato in una situazione al limite fra il grottesco e il tragico: incalzato dal ricordo della moglie, morta senza che lui quasi se ne accorgesse, e dalla presenza del direttore di una rivista di studi beckettiani in cerca di una finale e illuminante dichiarazione del ‘maestro’. Vi sono momenti delle vita nei quali bisogna — siamo costretti a — trattare la nostra memoria come quella di un pc: scomporne la continuità, afferrarne le sbavature, modellarne le crepe, per rendere il nuovo vissuto puro o, almeno, sopportabile. Con questa tesi avvincente si misura la nuova esplorazione letteraria di Vitaliano Trevisan.
Vitaliano Trevisan è nato neI 1960. Abita a Vicenza. Ha pubblicato i romanzi “Un mondo meraviglioso” (Theoria 1997, Einaudi 2003) e “I quindicimila Passi” (Einaudi 2002). Ha scritto le raccolte di racconti “Trio senza pianoforte/Oscillazioni” (Teoria 1998), “Standards vol. I” (Sironi 2002), “Shorts” (Einaudi 2004). È autore della sceneggiatura del film “Primo amore”, di Matteo Garrone (2004), di cui è anche attore protagonista.
Il crepuscolo della ragione di Drazan Gunjaca
- Scritto da Marcello Isidori
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Il crepuscolo della ragione
Drazan Gunjaca
Prospettivaeditrice
pagg: 88
Prezzo: euro 10,00
“Tutti gli uomini sono fratelli, anche quelli che hanno
dimenticato di essere uomini.
Loro hanno maggiormente bisogno di aiuto, sebbene non
Siano coscienti di questa necessità.”
D.G.
In questo dramma l’autore offre ai lettori “un intero e straniante tubo catodico dalla distruzione, dalle guerre dell’ex-Jugoslavia, la possibilità di vivere o rivivere l’immensa tragedia della martoriata terra balcanica”. La scena si svolge nel presidio di frontiera tra la Croazia e la Bosnia Erzegovina nell’estate 1993. All’interno del presidio si trova una prigione provvisoria in cui è rinchiuso Ante, croato, cinquantenne professore di storia, insieme a Husein, musulmano, recluta dell’esercito bosniaco, trentenne giurista.
“L’atmosfera di base del dramma è comica, e si tratterebbe infatti di una commedia se in gioco non ci fossero delle vite umane. Questa capacità che Gunjaca ha di dare un senso all’assurdo, proprio ricercando elementi comici nei destini umani altrimenti tragici dei suoi eroi, dà ai suoi drammi una dimensione ‘esistenziale’, una percezione del mondo distaccata e spostata. I suoi personaggi sono sempre perdenti felici, perdenti che trovano il senso della sconfitta. Così pure i protagonisti di questo dramma, che nonostante le circostanze ed il loro cambiamento, sono sempre condannati alla prigionia, non perché essa dipenda dalle circostanze ma perché è parte delle fondamenta della vita umana. E se è già così, come Gunjaca sembra volerci dire, non vale la pena prenderla in modo troppo tragico. L’atmosfera comica è in diretto conflitto con la sensazione di claustrofobia che si vive durante la lettura del dramma. Un’ossessiva sensazione di mancanza di spazio, soffocamento e colpa che non è razionale; viene da dentro e ci scuote al pensiero che tutti noi, anche se con minore intensità, giornalmente viviamo e sopravviviamo a situazioni simili a quella in cui si sono trovati i protagonisti di Gunjaca” (dalla prefazione di Srdja Orbanic).